Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano

Marzia Gandolfi
2022-08-26 20:45:18
Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano

In questo saggio Marzia Gandolfi esplora la poetica di Barry Jenkins, regista che nel 2016 s’impone all’attenzione di tutti grazie al suo delicato Moonlight, un dipinto dalle sfumature blu di un giovane ragazzo nero omosessuale che cerca l’affermazione di sé all’interno della comunità. Come spiega l’autrice, il cinema di Jenkins sorprende per la sua autenticità disegnata attraverso una poetica fatta di movimenti di macchina fluidi e primi piani in cui scorgere l’intimità dei suoi protagonisti, personaggi fragili, lontani dai luoghi comuni del cinema dominante.
Dalla fine degli anni 60 sono molti i registi del black cinema che hanno rappresentato e denunciato la condizione del popolo afroamericano, cercando di uscire dai cliché hollywoodiani, da quel cinema per bianchi che ha sfruttato il corpo e la cultura del popolo nero. Jenkins però, come analizza Gandolfi, crea una rottura con il modo convenzionale di rappresentare gli afroamericani: non rivendica, non critica né muove accuse contro la società americana nel profondo ancora razzista, ma racconta l’essenza del suo personaggio Chiron che in tre atti, infanzia/adolescenza/età adulta, cambia nome e corpo per rivelare le sue emozioni, la sua esistenza. Jenkins eleva il corpo e la coscienza del suo eroe aldilà degli stereotipi, dei ghetti e del machismo dei gangster neri, per ricollegarsi a una realtà vera e fluida della società afroamericana.
In tre capitoli o movimenti (l’omaggio nel titolo che l’autrice fa a Miles Davis non è un caso) Gandolfi estrapola tutta la potenza immaginifica del cinema di Jenkins che costruisce una soggettività nera silenziosa, privata, parallela e complementare a quelle delle lotte antirazziste, come dimostra la vita intima dei protagonisti di Se la strada potesse parlare. Nei suoi film l’autore rifiuta la militanza politica, il gioco delle etichette contro cui combattere per uscire da una realtà subita; decide di abbandonare la rappresentazione consueta dell’afroamericano vittima e combattente, per mettere al centro della narrazione la natura intima dei suoi personaggi da cui scaturisce un flusso di emozioni in cui ogni spettatore può identificarsi. La violenza e le minacce che fanno parte della storia presente e passata dei suoi personaggi non sono edulcorate ma accettate, un atto d’amore come scrive l’autrice, per creare un cinema che si rivolga alle generazioni future.

Sarah-Hélèna Van Put ©Ragazzo selvaggio luglio-ottobre 2021

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