Il miracolo di una generazione in esilio
Adolfo Morganti
Nel panorama ricco solo di rovine dell’Europa post-1945, in cui andava solidificandosi quel muro fra Est e Ovest che avrebbe segnato per decenni non solo una separazione politica, ma anche la sincope dell’Europa stessa – vittima tanto delle ideologie sconfitte durante la guerra quanto di quelle vincitrici –, il particolarissimo caso della generazione dell’esilio, che dalla Romania si disseminò in tutto il mondo (particolarmente a Parigi e negli USA), rimane una sfida per la logica e la storia. Si trattò infatti di un autentico miracolo.
L’unico evento affine è forse la fecondissima diaspora degli intellettuali grecofoni in Italia e in altre zone dell’Europa mediterranea occidentale, dopo la caduta di Costantinopoli del 1453. Mai, però, negli ultimi secoli era accaduto che da un popolo potesse sorgere e prendere vita un’ondata di pensiero e azione simile, in grado addirittura di scuotere – nella condizione meno favorevole, quella dell’esilio – le fondamenta spirituali della quieta diarchia comunismo-capitalismo, fino a contribuire meravigliosamente al suo superamento. Il popolo di cui stiamo parlando ha custodito lungo i secoli il limes orientale del continente, sebbene non fosse particolarmente numeroso (si pensi, ad esempio, alle cifre dell’emigrazione polacca postbellica) né in precedenza molto noto per la diffusione e la profondità della grande Cultura continentale (diversamente dall’Ungheria, caratterizzata da un secolare rapporto con Vienna e la tradizione del Sacro Romano Impero) e fondato su una peculiare eredità linguistica – isola neolatina nel grande mare slavo, ai confini del non meno grande mare turcofono – tanto orgogliosamente preservata quanto minoritaria. È da questo popolo che scaturisce quella schiera d’intellettuali feriti dalla lontananza dalla propria patria, dalla costruzione di una “nuova Romania” comunista sulle ceneri della civiltà romena, dall’urto scientifico della dittatura ideologica e della diffamazione verso ogni reprobo, dalla stessa viltà e imbarazzo di un Occidente che a lungo ha finto di opporsi al comunismo in realtà sostenendolo, nascondendo per vergogna quella penna che aveva firmato gli osceni patti di Yalta.
L’intera élite romena si mise in cammino – fuori dall’Egitto di un esperimento sociale e politico sempre più soffocante, feroce, implacabile, profondamente paranoico e idiota – alla ricerca non tanto di un paradiso terrestre, quanto di uno spazio sufficiente di libertà, in primo luogo intellettuale e spirituale. E in questo spazio continuò a operare, scavando un solco profondo in tutti gli ambiti della cultura umanistica contemporanea e seminando senza tregua, consentendo così a generazioni di europei (e non solo) di nutrirsi di frutti, forse non noti a tutti, ma ancor oggi preziosi. Il pensiero della generazione romena dell’esilio fu difatti, fin dal principio, europeo, capace di mantenersi profondamente radicato nel proprio tessuto storico, antropologico e spirituale, e proprio per questo in grado di “essere ponte” con il mondo intero, dentro e fuori dall’Europa.
Questo numero di «Antarès» è acutamente concentrato sulle testimonianze e le tracce che questa “generazione-miracolo” ha lasciato nel corpo vivo della cultura europea, in parte già a partire dagli anni Venti e Trenta, e massimamente dopo la “prova del Labirinto” dell’esilio stesso. I nomi che riempiono fittamente queste pagine sono oramai in buona parte noti a ogni lettore colto italiano, ma costituiscono l’avanguardia di una falange ben più numerosa. Accanto agli allori degli storici delle religioni Mircea Eliade e Ioan Culianu, dei filosofi Emil Cioran, Nae Ionescu e Constantin Noica, dei letterati Paul Celan, Ion Barbu, Lucian Blaga, Eugene Ionesco (il grande innovatore del teatro contemporaneo, che qualche buontempone continua ancor oggi a spacciare per francese) e Vintilă Horia, fino a singolari e preziose figure di mistici del XX secolo come Dumitru Stăniloae e Nicolae Steinhardt (quest’ultimo solo ultimamente riscoperto in Italia), è necessario ricordare come anche il nostro Paese abbia conosciuto nel medesimo periodo una qualificata e costante presenza culturale romena, rappresentata da alcune istituzioni come l’Ambasciata di Romania presso la Santa Sede, l’Accademia di Romania a Roma e l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia. Centri che ancor oggi stupiscono per la qualità – oltre che per il ritmo – della proposta culturale rivolta a tutti gli interessati (provare per credere!), tenuta sempre viva, sovente con grande sacrificio, a dispetto di tutte le vicissitudini che la Romania ha dovuto attraversare negli ultimi ottant’anni. Tutto ciò attesta ulteriormente il legame profondo che unisce la cultura romena a Roma, “quella Roma onde Cristo è romano”, che per secoli ha difeso e della quale si è fatta testimone.
Quanto detto basterebbe per salutare con grande favore questa iniziativa di «Antarès». Ma a tutto ciò si unisce provvidenzialmente un ulteriore motivo di gratitudine, perché quest’occasione ci consente di ricordare con profondissimo affetto un’altra grande figura di artista romeno dell’esilio: Camilian Demetrescu, scomparso due anni fa. Fu a lui che dovemmo lo stimolo per la creazione, nel 1987, di una diffusa catena internazionale di solidarietà cristiana che ci consentì di ristampare in Italia uno dei grandi monumenti della cultura romena del XX secolo: la tradizionale versione romena della Sacra Bibbia, opera massima di Gala Galaction. Essa venne distribuita clandestinamente in Romania negli ultimi anni del regime, segno di un’identità immortale che si preparava a risorgere ancora una volta dalle catacombe. Quest’anno, in occasione del novantesimo anniversario della sua nascita, è nata in Italia un’associazione a lui intestata, e la Sua famiglia, che la anima, sa di poter contare su una rete di amici che ne valorizzeranno nel tempo l’opera e gli insegnamenti spirituali.
Il racconto così iniziato potrebbe continuare, ad esempio rammentando l’arte antica e la grande forza di un Maestro dell’Icona romena, Aurel Ionescu: da decenni ha scelto il nord Italia come sua nuova casa e ivi prosegue la tradizione (che è anche concreta trasmissione) di quest’antica arte pittorica, testimonianza della persistenza dell’Arte Sacra medievale europea, conservata e riportata dalla Romania, ma con profonde radici venete e mediterranee…
Che queste pagine possano servire al lettore per iniziare un viaggio verso il Limes Carpaticus. Esso custodisce da sempre meraviglie sublimi.