«L'Intellettuale Dissidente»: Un'estate invincibile per tutti noi
Riccardo Paradisi
Giovinezza, Giovinezza/Primavera di bellezza. Era l’inno più in voga tra i fascisti, che col mito della gioventù erano cresciuti. Mussolini, andato al potere nel 1922, fu allora il più giovane Presidente del Consiglio che l’Italia avesse mai avuto. All’indomani della marcia su Roma aveva infatti solo trentanove anni. La stessa età dell’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi quando, nel 2014, mise piede a Palazzo Chigi. E in lui ritroviamo la medesima retorica giovanilistica che animò l’ex-duce d’Italia. Sarà forse un caso? La gioventù è una stagione della vita, lo sappiamo, ed è per molti la più bella. Peccato che però non sia sempre verde, perché, alla fin fine, l’inverno arriva per tutti. Quella che per i giovani fascisti fu una “primavera di bellezza” agli occhi di Albert Camus è invece “un’estate invincibile”. È a questa idea di gioventù -invincibile appunto, che rimane e non passa mai- a cui si rifà l’autore del saggio che qui si vuole presentare. Un’estate invincibile. La giovinezza nell’età degli eterni adolescenti, appena uscito per Bietti, è un libro fondamentale per tutti coloro che sono nati tra l’inizio degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta. L’autore, Riccardo Paradisi, ha oggi quarant’anni. Giornalista di professione, ha diretto le pagine culturali deL’Indipendente; scrive per Libero e Panorama. Nato negli anni Settanta, è tra coloro che possono definirsi gli ultimi del Novecento.
“Qualcuno più bravo di noi mette su carta quello che oscuramente avevamo sempre pensato, dà forma chiara a quanto confusamente messo insieme, ci fa sentire meno soli, fratelli sconosciuti e separati di una stessa visione del mondo” osserva Stenio Solinas nella prefazione che impreziosisce il libro. A chi scrive capitò quanto appena letto nello sfogliare libri come Compagni di solitudine o Per farla finita con la destra, opere firmate proprio dall’autore appena citato. Ma la stessa cosa vale anche per Riccardo Paradisi che, una volta per tutte, ha messo nero su bianco tutto ciò che è stato detto e si poteva dire sulla giovinezza. Il saggio mostra, attraverso film, letteratura, filosofia e psicologia, il naufragio dell’ultima generazione nata sotto il segno del consumismo. Quella dei giovani che a vent’anni sono già disincantati, non immaginano un avvenire e si accontentano di vivere il presente… Già cinici eppure ancora giovani. E pare un controsenso. Perché il cinismo è il tratto distintivo della vecchiaia, dei disillusi. Sono le illusioni, i sogni, a render tale la giovinezza. E poi “restare fedeli alle illusioni è l’unico senso per un’esistenza che altrimenti non ne avrebbe”, si ricorda, richiamando nuovamente Solinas in aiuto. Dove sono finiti allora i sogni?
“Per lunghi anni, abbiamo vissuto nell’eminente dignità del provvisorio”. Questa è la celebre frase con cui Patrizio, alter ego di Robert Brasillach, ricorda la sua giovinezza nello splendido romanzo I sette colori. Perché, sottolinea Paradisi, a vent’anni si è ancora tutto per possibilità. E quindi tutto è provvisorio, tutto è possibile. Tutto è ancora da definirsi, niente è perduto perché è ancora davanti a noi. Eppure, questa dei giovani ventenni di oggi è quella che chiamano la generazione dei senza futuro. E seil futuro –per dirla con Nabokov- è soltanto un ciarlatano alla corte di Cronos, che senso ha averne paura? Ma Paradisi non dà retta ai ciarlatani. E pone davanti al lettore una serie di maestri di vita che lo aiutino a superare lo scoglio di un tempo che mira al naufragio. Attraverso autori come Papini, Eliade, Evola, Eliot, Brasillach, Chateaubriand, Wilde e, soprattutto, Jünger, l’autore ripercorre nel giro di duecentoventiquattro pagine, la genealogia e l’evoluzione (o l’involuzione, a seconda dei punti di vista) di tre generazioni. Partendo dagli anni Settanta, pesanti come il piombo, si passa per i più leggeri Ottanta, per poi arrivare al disincanto dei Novanta e ai “liquidi” anni Duemila.
Quello che ci tocca vivere è un presente in cui la malattia del giovanilismo ha contagiato tutti, soprattutto i meno giovani. Ma “coltivare la giovinezza non è voler restare per sempre ragazzi ma il rifiuto di relegare l’età adulta nel tempo del disincanto, la volontà di provare ogni giorno le proprie idee e passoni contro la realtà, per vedere se tagliano” scrive appunto l’autore. Riccardo Paradisi è nato negli anni Settanta, che sono stati anni violenti, anni giovani, proprio perché la gioventù di allora è stata la protagonista indiscussa di quella stagione. E la gioventù serba in sé un surplus di energia che, se aggiunta all’insicurezza e al fanatismo, sfocia appunto in violenza. Ecco il perché degli anni di piombo. Quella di oggi pare invece una gioventù per buona parte svirilita, senza molte energie. Perché forse i padri han detto loro che lottare non serve a nulla, che non te ne viene in tasca niente, tanto vale che pensi per te, a riempire il tuo portafoglio. Meglio pensare a godersi la vita, finché dura.
Massimo Fini nel suo magnifico Elogio della guerra ha osservato, forse per primo, come la generazione del Sessantotto sia stata la prima a non aver mai fatto la guerra. E questo è un fattore determinante, oltre che di grande novità, dal punto di vista sociologico. La generazione immediatamente successiva, invece, è stata la prima a non fare nemmeno il militare. Il servizio di leva, ha ricordato Domenico Quirico nel suo saggio Naja, fu l’ultimo capitolo del processo unitario che legò veramente tutti gli italiani, facendoli spostare per ogni parte d’Italia, obbligando i ragazzi di Ferrara a conoscere quelli di Molfetta che, magari non erano mai usciti da loro paese, non avevano parlato altra lingua che il dialetto locale, e via discorrendo… L’ultima generazione, che invece è stata esonerata dal servizio militare, si è sempre più chiusa in se stessa. E anziché giocare a pallone per le strade ha preferito passare qualche ora davanti alla consolle per giocare una partita virtuale alla Playstation. I padri li hanno lasciati fare, loro si sono seduti sulla poltrona a guardare la TV. Hanno forse dimenticato il compito che tutti i padri prima di loro si erano prefissati: quello di educare i figli, abituandoli a stare al mondo. Si legge infatti nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci come “nel succedersi delle generazioni […] può avvenire che […] manchi l’anello storico intermedio, la generazione che abbia potuto educare i giovani”. L’analisi gramsciana pare fare al caso nostro.
Ma il problema delle giovani generazioni italiane è reale. Pare che questi ragazzi siano costretti a vivere in un Paese che non li considera, che non li vuole. Per loro non c’è posto. Scrive in proposito l’autore: “L’Italia non è un Pase per giovani, s’è detto, ma è un eufemismo: è un sistema organizzatocontro i giovani, una piramide rovesciata che si regge sulla punta, in cui il grosso delle risorse del welfare si dirige verso la popolazione più anziana”. I responsabili vanno cercati tra “quei settori della classe dirigente che hanno deciso di non socializzare nessun sacrificio, trovando più giusto accollarlo su una generazione espiatoria”. Ma allora perché questa nuova generazione non si ribella e manifesta per le strade? Perché, dice Paradisi, “alle nuove generazioni […] manca un’ideologia unificante […] c’è l’oggettiva incapacità di fare massa critica a causa del pronunciato individualismo dei suoi componenti”, perché in fondo “l’interlocutore di queste generazioni è il nichilismo, l’enorme potenza del nulla che ha già dissolto le forme ereditate dal passato”.
Nelle pagine dedicate al cinema vengono ricordati film come Un mercoledì da leoni di John Milius o C’era una volta in America di Sergio Leone. Pellicole che, a detta dell’autore, hanno raccontano al meglio gli anni in fiore della vita. Film in cui l’amicizia è eterna proprio perché giovane; perché il Cinema ha raccontato tutto, anche la giovinezza, riuscendo a racchiudere in un paio d’ore le glorie, i sogni, le idee, le illusioni e le visioni del mondo di intere epoche, di intere generazioni passate. Niente Corazzata Potemkin oAmarcord, quindi, per questi giovani. Non ci sono sogni o illusioni da raccontare. Come fare quindi a raccontare il Nulla? “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!”. Sono le parole di Tyler, personaggio insieme letterario e cinematografico dell’ormai celebre Fight Club: il vero romanzo della generazione del consumismo. Mentre The Truman Show, Matrix e Vanilla Sky sono invece i film che meglio rappresentano il futuro che ci attende. La Tecnica e la Modernità hanno preso il sopravvento. E allora Riccardo Paradisi promuove Jünger a maestro supremo, a guida spirituale di questa generazione X che come l’Atreiu de La storia infinita ha il difficile compito di battersi contro il Nulla. Perché “è appunto una prova del vuoto quella che le generazioni nate a ridosso del XXI secolo sono chiamate ad affrontare”. E il Trattato del Ribelle può forse essere il manuale di vita più consono a questi giovani degli anni Zero. Se cinema e letteratura hanno caratterizzato la prima parte del saggio, dove è Ernst Jünger a fare da filosofo guida, la seconda è più psicologica, dove è invece Carl Gustav Jung a portarci sul lettino. Perché questo è un secolo malato, e qualche seduta è necessaria se vogliamo guarire.
Arrivati alla fine del saggio se ne esce con la convinzione che la gioventù non vada intesa come mera categoria biologica destinata ad esaurirsi, ma alla stregua di categoria dello spirito che il tempo non può vincere. Invincibile dunque è la giovinezza, racchiusa nell’eternità di un tempo percorribile a ritroso, attraverso il ponte della memoria: eterna compagnia di vita che ci riaccompagna a casa ogni volta che ci sentiamo smarriti. Il libro di Paradisi è un’ottima lettura per chi voglia trascorrere un’estate invincibile, qualunque sia la meta scelta per le vacanze. Un libro per chi vuole rimanere fedele a se stesso, al proprio “mito interiore”. Per chi non ha paura di essere. Perché gli “eccessi di adattamento, al conformismo del secolo” non sono altro che “la media ponderata del nulla”. Che dunque questa estate non passi mai. Che arrivi il sole a scaldarci il cuore, spingendo l’inverno un po’ più il là. E la nostra estate non sarà vinta dall’incedere del tempo. Parola di Riccardo Paradisi.
(Valerio Alberto Menga, «L’Intellettuale Dissidente», 20 luglio 2016)