L'arte invisibile del montaggio. Intervista a Valerio Bonelli

Elisa Torsiello
2021-03-04 15:06:06
L'arte invisibile del montaggio. Intervista a Valerio Bonelli

Bravo Valerio Bonelli, che se un personaggio piange troppo lo taglia. Chapeau.

“Se un personaggio tende a piangere troppo, lo taglio di netto”. Valerio Bonelli può farlo, lavora al cinema come montatore. Bravo, perché subito precisa: “Non è importante insistere sul suo sguardo bagnato di lacrime. L’importante è commuovere lo spettatore”. Bravissimo, perché ha lavorato quasi un anno sulla docuserie “SanPa” diretta da Cosima Spender (sua moglie, figlia dello scultore Matthew Spender, a sua volta figlio del poeta Stephen Spender). In corso d’opera, le puntate da sei sono state ridotte a cinque, e i 19 intervistati sono stati ridotti a 15.

Ottimo. Dice infatti la regola numero uno del montaggio, o quella che del montaggio dovrebbe essere la regola numero uno: “Quel che non c’è, non si vede”. Nessuno spettatore verrà mai a lamentarsi “ma perché hai tolto quella scena, era tanto bella…”. Quel che resta deve risplendere funzionare. Vale sullo schermo, vale per i libri (se non togliete le pagine meno riuscite il lettore ricorderà soltanto quelle). Vale per gli articoli (anche se, qualunque riga un caporedattore elimini, il giornalista protesterà “era fondamentale”). Vale per la radio: un collega, di cui mai faremo il nome, riascoltava sistematicamente i pezzi di intervista tagliati, trovandoli indispensabili (cosicché un servizio da cinque minuti ne durava dieci).

Nato a Napoli e cresciuto in Toscana, Valerio Bonelli ha avuto Stephen Frears come tutor alla National Film and Television School. Parla di lacrime, e di molte altre faccende che riguardano il montaggio, nel volumetto L’arte invisibile del montaggio, intervistato da Elisa Torsiello (l’editore è Bietti, serviva qualche taglio nell’introduzione e soprattutto nei ringraziamenti dell’autrice, davvero non è possibile imbattersi in frasi come “questo testo è figlio di una visione di natura quasi epifanica”). Con Stephen Frears ha lavorato su “Philomena”, la storia di una ragazza che in Irlanda rimane incinta senza un marito e viene mandata in convento, le suore danno il neonato in adozione, fingendo poi che i registri son bruciati e il bambino diventato adulto non sia più rintracciabile. Cuore di mamma ostinata, viene ritrovato 50 anni dopo negli Stati Uniti.

Oltre ai film montati per Stephen Frears (ci sono anche “The Program” e “Florence”), e un gustoso ritratto del regista che evita la sala di montaggio, sennò gli verrebbe voglia di rifare tutto), Valerio Bonelli racconta il suo lavoro per Joe Wright, cominciato con un episodio della serie “Black Mirror”. Prima di arrivare a “L’ora più buia”, con Gary Oldman che molto impolpato faceva Winston Churchill. Altri due film siglati Wright-Bonelli – “La donna alla finestra” con Amy Adams e il musical “Cyrano” con Peter Dinklage – sono in arrivo. Valerio Bonelli monta i film durante le riprese, secondo il modello anglosassone. Gli europei preferiscono andare in sala di montaggio una volta finito il loro sul set (malignamente si potrebbe dire che a loro non capita mai di dover rifare una scena, loro sono artisti). Ovviamente il montatore osserva da vicinissimo il lavoro dell’attore. “Capisco se ha fatto teatro e quanto teatro ha fatto”. Menomale che lavora all’estero, nei film italiani la “speciale partecipazione” dell’attore teatrale – “manierato e caricaturale” – arriva come una condanna.

 

Mariarosa Mancuso  ©Il Foglio, 18 febbraio 2021

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