Metapolitics: «L’impero antimoderno»

Giorgio Galli
2015-04-14 14:09:30
Metapolitics: «L’impero antimoderno»

L’opera di Giorgio Galli piacerebbe di sicuro, se fosse ancora tra noi, a Vilfredo Pareto. Perché? Per la semplice ragione che i libri di Galli sono pieni zeppi di preziosi riferimenti al ruolo delle azioni non logiche degli uomini: una sfera sociologica freddamente dissezionata dal “Solitario di Céligny”. E non ci riferiamo soltanto ai bellissimi testi del politologo e storico milanese sui rapporti tra politica ed esoterismo. Ma al suo approccio complessivo, altrettanto chirurgico, che tiene in debito conto l’uso ideologico delle passioni umane: consapevolezza euristica già evidente nel giustamente famoso studio sul “bipartitismo imperfetto”.

Parliamo, per farla breve, di un “metodo” che si impone di trovare il bandolo della matassa sociologica: quell’imbroglio rappresentato dagli effetti perversi delle azioni sociali, anche le più logiche e perfino nobili, quando costrette a valicare l’invalicabile: la montuosa e sconosciuta terra di mezzo della hegeliana eterogenesi dei fini. Si pensi ad esempio alla tragica parabola costruttivista del comunismo, dottrina razionalmente costruita in biblioteca. E per il bene dell’umanità…

Ma torniamo a Galli. Si prenda come esempio la sua ultima fatica: L’impero antimoderno. La crisi della modernità statunitense da Clinton a Obama (Bietti). Qui l’approccio, per così dire, paretiano-hegeliano è esteso a tre valori tipicamente americani: l’individualismo, la democrazia politica e la libertà economica. Il primo valore rischia di trasformarsi in individualismo armato, il secondo in vuota ritualità, il terzo nel predominio dei grandi monopoli privati. Il tutto sembra trovare, sempre a detta di Galli, il denominatore comune in una democrazia imperiale che, dalla presidenza Clinton, vive sempre più male la novecentesca contraddizione, causata (anche) dal declino europeo, di dover “esportare” la democrazia a suon di bombe: una modernità politica antimoderna, perché basata non sul libero e ragionato convincimento ma sulla pura forza incarnata dalle portaerei.

Esiste una via d’uscita all’impero delle bombe controvoglia? Galli, che si definisce un «illuminista aggiornato», ritiene innanzitutto, prendendola giustamente da lontano, che «forse l’errore maggiore è consistito nel passare dal tentativo di prevedere il corso degli eventi (della storia) alla presunzione di poterli forzare, un miraggio che va da Robespierre a Lenin». Insomma, saremmo davanti alla crisi del costruttivismo. Argomento sul quale varrebbe la pena di leggere anche le illuminanti pagine del grandissimo Hayek di Legge, legislazione e libertà.

Comunque sia, si tratta di una resa di conti che rischia di travolgere l’intero Occidente. Tuttavia, prosegue Galli, «non si tratta di essere “contro” il mondo moderno», di opporsi alla «modernità», ma di riscontrare «segnali di difficoltà in quella che è una sua tipica manifestazione, oggetto specifico di questa trattazione, cioè il funzionamento della democrazia rappresentativa» (p. 93).

Ora, al di là dei rimedi “empirici” suggeriti da Galli alla democrazia americana e indirettamente alle democrazie europee (un mix di buon elitismo politico e partecipazionismo economico), resta ancora più importante il basso continuo metodologico che caratterizza non solo L’impero antimoderno ma, come dicevamo, la sua intera opera: la necessità di fare i conti con il lato oscuro e quindi imprevedibile degli uomini. Detto altrimenti: con l’impero antimoderno che è dentro ciascuno di noi. Il che, di questi tempi, non è poco.

 

(Carlo Gambescia, «Metapolitics», 14 novembre 2013)

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