INLAND #18 Rote Armee Fraktion

Claudio Bartolini
2025-04-15 13:50:16
INLAND #18 Rote Armee Fraktion

È il 7 aprile del 1977, una Mercedes blu è ferma al semaforo rosso sulla strada per la Corte di cassazione di Karlsruher. Appostata in una stazione di servizio, una moto di grossa cilindrata scatta sull’asfalto. I due passeggeri sconosciuti indossano tute da biker ed il volto celato da caschi integrali.
Non appena l’auto riprende la sua corsa, la Suzuki si affianca: una raffica di colpi trapassa le lamiere, i proiettili scuotono l’aria e strappano carne. L’auto, colpita, rantola agonizzante sul palo di una vicina recinzione.
Il procuratore generale federale della Germania Ovest, Siegfried Buback, apre la portiera ed esce dall’auto per guardare un’ultima volta il cielo prima di emettere il suo ultimo respiro. Insieme a lui saranno assassinati l’autista Wolfgang Gobel e il capo della scorta Georg Wurster.
Con questa azione militare l’autunno tedesco conosce la sua drammatica escalation di attentati e morte. Il nome della RAF, Rote Armee Fraktion, si imprime indelebile e a caratteri di fuoco nella storia della Germania Federale.
Sarà solo l’inizio di fatti di sangue e radicali rivendicazioni politiche. Nei mesi successivi verrà ucciso in casa sua, dopo un efferato tentativo di rapimento, il banchiere Jurgen Ponto, presidente del Consiglio di amministrazione della Dresdner Bank, e nel settembre del 1977 verrà rapito, con conseguenze tragiche, l’uomo d’affari e presidente della Confindustria tedesca Hanns-Martin Schleyer.
Il cammino di sangue della RAF troverà, senza spegnersi, il suo acuto di fiamma nell’ottobre dello stesso anno con il dirottamento del volo Lufthansa 181 e il suicidio collettivo dei leader della prima generazione della Rote Armee Fraktion nel carcere speciale di Stammheim. Solo il 20 aprile 1998 la stessa organizzazione annuncerà il definitivo scioglimento. Ma chi erano i giovani uomini e donne che in nome della rivoluzione antimperialista portarono la guerriglia urbana nella Germania federale?
Le origini della RAF
I natali del terrorismo politico tedesco affondano le loro radici e sviluppo in un magmatico humus che lega strettamente il destino della Repubblica federale tedesca con le vicende internazionali post seconda guerra mondiale. Tale natura non è casuale ma sintomo del carattere specifico della RFT, nata dalla ceneri della Germania unitaria, accanto alla gemella socialista RDT, nell’articolarsi della cortina di ferro e dei venti freddi della guerra tra USA e URSS.
Tale carattere definirà anche le vicende della radicalizzazione del movimento studentesco ed extra parlamentare tedesco, nelle cui ombre prenderà corpo la prima generazione RAF, organizzazione stratificata nel tempo su più entità corpuscolari diverse per età e scopi.
Come spiega in modo particolareggiato il libro di Stefan Aust, da considerarsi uno dei più testi più completi sulla banda Baader-Meinhof, e riedito con nuovi aggiornamenti da Bietti, la miccia storicamente riconosciuta del passaggio alla latitanza politica e al terrorismo sarà la morte dello studente Benno Ohnesorg il 2 giugno 1967, dieci anni prima dello scoppio dell’autunno caldo.
La morte di Ohnesorg avviene in circostanze violente durante la manifestazione studentesca contro la visita istituzionale dello Scià iraniano Reza Pahlavi nella Germania Federale. Durante le proteste davanti all’Opera di Berlino, la polizia tedesca reprime duramente i giovani contestatari, tra cui spuntano anche agenti in borghese del servizio segreto iraniano, Savak, armati di bastoni.
Nella calca delle cariche pesanti e negli scontri rimane invischiato Benno, studente di filologia romanica alla sua prima manifestazione. Il giovane viene raggiunto nella mischia da un colpo di pistola che gli trapassa mortalmente il cranio. L’arma è quella del poliziotto di Berlino Ovest Karl-Heinz Kurras.
Solo quarantadue anni dopo, si scoprirà che, oltre ad essere un agente di Polizia, Kurras era anche membro della STASI, il Ministero per la Sicurezza di Stato della RDT, ponendo grandi interrogativi sulla possibile volontà politica di provocare una crisi nella Germania Federale attraverso l’omicidio Benno.  Come scrive Aust, quella morte segnerà la definitiva evoluzione della militanza nel movimento di protesta in militanza nella lotta armata: il 2 giugno 1967 è la data spartiacque tra un prima e dopo il terrore.
Il Manifesto della RAF
Seppur operativamente attiva come organizzazione già dal maggio del 1970 con la liberazione dal carcere del principale leader del gruppo, Andreas Baader, la definizione ideologica e simbolica della RAF avviene con la pubblicazione del primo manifesto del 1971, “Das Konzept Stadtguerilla” (“Il concetto di guerriglia urbana”).
Nel testo, redatto dalla giornalista e voce intellettuale dell’organizzazione Ulrike Meinhof, viene per la prima volta utilizzato il nome RAF e il suo simbolo, la stella a cinque punte rivoluzionaria con il fucile d’assalto, non il classico Kalashnikov sovietico ma un similare Heckerl&Koch tedesco.

Nel documento la Meinhof mise in evidenza come l’azione della Rote Armee Fraktion nascesse per combattere l’imperialismo americano e il capitalismo occidentale, rivendicando la necessità della lotta armata contro il finto governo democratico della RFT,  tacciato di autoritarismo e con profondi legami in continuità con il nazismo.

Il metodo di lotta scelto dalla RAF sarà quello della guerriglia urbana, secondo il modello ispirato ai testi di Carlos Marighella e alla rivoluzione cubana: piccolo gruppi autonomi e militarmente addestrati in grado di colpire i punti nevralgici dello Stato rifiutando forme di partecipazione istituzionale. In tale cornice la violenza rivoluzionaria venne ritenuta fondamentale ed imprescindibile.
I legami internazionali: Al-Fatah e  FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina)
Le vicende della RAF, come già accennato, si muovono all’ombra dei grandi sconvolgimenti storici della sua epoca come la guerra in Vietnam e il conflitto israelo-palestinese. Connessi da una visione comune e spirito di solidarietà, i membri della prima generazione RAF e della seconda stringeranno un forte sodalizio con la causa per l’indipendenza della Palestina.
Tale rapporto si concretizzerà non solo in un comune astio verso Israele, ritenuto avamposto dell’imperialismo USA, ma anche materialmente in un addestramento nella guerriglia militare dei membri della RAF in Giordania, Libano e Yemen.
Il sodalizio ideologico e operativo si manifesterà con tutta la sua forza con il dirottamento dell’aereo di linea Lufthansa 181 nell’ottobre del 1977.  Il velivolo, un Boeing 737-200, era partito da Palma di Maiorca ed era diretto a Francoforte con a bordo un totale di 91 persone. L’obiettivo del Commando Martire Halimeh, guidato dal palestinese Zohair Youssif Akache, nome di battaglia “Captain Mahmud”, era la liberazione degli undici detenuti in Germania, tra questi Baader, Ensslin e Raspe, leader in carcere della RAF.
Il suicidio collettivo in carcere
Il fallimento del tentativo di scambio dei passeggeri del volo Lufthansa segnerà anche la tragica scelta del suicidio collettivo dei leader della prima generazione RAF il 18 ottobre 1977.
La “notte di Stammheim”, nome del carcere di massima sicurezza in cui vennero reclusi per 5 anni ,in condizioni di isolamento, Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe, sarà fondamentale per alimentare il mito iconico dell’organizzazione.
Le ambiguità sul loro suicidio, ad esempio il modo in cui vennero fatte entrare le armi nelle celle dei reclusi, saranno alla base della teoria dell’omicidio di massa perpetrato dalle trame oscure della RFT.
La loro morte, a prescindere da quelle che furono accuse ed elucubrazioni, rappresenterà un estremo gesto politico, l’ultimo urlo di protesta contro uno stato di diritto mai riconosciuto e un sistema statale ritenuto nemico assoluto.
Film (e i libri sui film) dedicati alla Rote Arme Fraktion
Se si volesse approfondire il cinema che ha raccontato la Banda Baader Meinhof (a partire dall’omonimo, fortunatissimo, film di Uli Edel), lo spettatore più analitico scoprirà ben presto di non avere materiale per delle letture di supporto al testo filmico, perlomeno in italiano.
Esistono, certo, numerose monografie e miscellanee, esistono manuali sul cinema tedesco o saggi verticali specificatamente dedicati ai registi che hanno saputo raccontare questo momento storico (su tutti, da segnalare i Castorini dedicati a Edgar Reitz e a Rainer Fassbinder).
Ma poco o nulla si era fatto per soddisfare i palati di chi il cinema dedicato alla RAF voleva affrontarlo con un approccio analitico. E in soccorso di chi denunciava questa mancanza è arrivato l’irrinunciabile volume edito da Bietti, che a questa particolare stagione del cinema tedesco dedica uno dei suoi quaderni, Inland.
Il che è comunque una – seppur gradita – forzatura della linea editoriale iniziale, visto che i quaderni di Inland nascevano come studi monografici dedicati a registi del cinema d’autore internazionale. Eppure, in questa momentanea deviazione, si ritrova tutta l’accuratezza storica e l’attenzione metodologica già vista nei precedenti capitoli.
Allora fa bene Claudio Bartolini, nel suo editoriale di apertura del numero, a rievocare l’esplosione nel finale di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Così come in quel film gli oggetti che schizzavano via dalla casa borghese erano il preludio di una riscrittura dei rapporti di forza imposti dal capitalismo, questo numero allo stesso modo, mira a riscrivere gli equilibri alla base della collana per approdare a risultati del tutto inediti.
Potrebbe sembrare un fatto ovvio, visto che la materia del libro è uno dei gruppi terroristici più attivi in Europa negli anni ’70, ma di esplosioni si continua a parlare nel corso del libro con una certa attenzione. Su tutte, quella non filmanta in The Phantom, lungometraggio televisivo con Jürgen Vogel diretto dal regista Dennis Gansel, il quale riprende la tesi alla base del libro che ispira la pellicola: non è mai esistita una Terza generazione della Rote Armee Fraktion.
Analisi a tutto tondo, tra le cui pagine si legge anche del rapporto con la Heimat affrontato da uno dei padri del Nuovo Cinema Tedesco, il già citato Edgar Reitz.
Nel 1978 il regista di Morbach partecipa al film collettivo che bene rappresenta le atmosfere di quel momento storico. Il film è Germania in autunno, lavoro a episodi che vede la partecipazione, oltre a lui, di autori come Rainer Fassbinder, Alexander Kluge e Volker Schlöndorff, in una riflessione sul desiderio di fuga che si scontra con il concetto di fedeltà alla patria che è forse uno dei punti chiave di questo cinema bombarolo e adrenalinico.

Damiano Rossi ©2duerighe.com aprile 2025

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