Dio salvi la Regina! Elisabetta II sovrana di iconologia tra fiction e realtà
Anna Maria Pasetti
La tv salvi la Regina
6 febbraio 1952, re Giorgio VI moriva. E l’amata figlia Lilibet gli succedeva all’età di 25 anni. Iniziava l’era di Elisabetta II, anche se l’incoronazione sarebbe avvenuta più di un anno dopo, il 2 giugno 1953. Significa che per lei, The Queen, scatta in questi giorni il giubileo di platino, con celebrazioni che raggiungeranno il culmine a maggio 2022. Si dice che saranno fastose e indimenticabili. Questo però è anche un momento di grande fragilità per la sovrana. Per via dell’età, per la recente perdita del compagno e sostegno di una vita Filippo, e per via delle preoccupazioni che continuano ad arrivarle dalla famiglia: il processo a New York all’amato figlio Andrea accusato di molestie ai danni di una minorenne, la lontananza e i dissapori con il nipote prediletto Harry e la moglie americana Meghan, l’incertezza sul proprio erede, se Carlo o William. E poi c’è la potenziale rogna The Crown. A novembre, dopo due anni di attesa, pochi rumors e molte foto rubate dai set, tornerà la serie che racconta le vicende della regina e per estensione della casa reale. Quella in arrivo sarà la stagione di Diana Spencer (e sul fronte politico di John Major primo ministro). La fine della quarta coincideva con la caduta della Thatcher nel 1990, la proclamata infelicità della principessa e l’annuncio del divorzio da Carlo. Con un cast completamente rinnovato – Imelda Staunton nei panni della Regina, Jonathan Pryce di Filippo, Dominic West Carlo e l’australiana Elizabeth Debicki Diana -, nella quinta si racconterà la trasformazione della principessa timida e triste nella Lady D aggressiva e vendicativa, con annesse e connesse guerre mediatiche: un intero episodio sarà dedicato alla famosa intervista estorta da Martin Bashir della BBC, e questo malgrado William stesso abbia chiesto che non ci fosse. A seguire verrà realizzata una sesta e ultima stagione dai contenuti e dalla cronologia indefinita, a partire dalla notte del 31 agosto 1997 (25 anni fa, ormai), in cui Diana moriva tragicamente a Parigi: in quale delle due? Il creatore dello show Peter Morgan aveva detto in un’intervista: «Quando abbiamo iniziato a discutere le trame per la stagione 5, è diventato subito chiaro che, per rendere giustizia alla ricchezza e complessità della storia, avremmo dovuto tornare al piano originale e farne sei». Aggiungendo: «Per essere chiari, la 6 non ci avvicinerà maggiormente ai giorni nostri, ma ci consentirà di coprire lo stesso periodo in modo più dettagliato». Quello che è certo è che in questo arco di tempo si incastrano altri due eventi importanti nella biografia della sovrana: il divorzio della figlia Anna da Mark Phillips e di Andrea da Sarah (da qui potrebbero iniziare le cattive frequentazioni del principe fin lì tenuto in riga dalla sposa: ma l’argomento Epstein è minato, difficilmente entrerà nella serie). Quindi, stagione cruciale in un momento cruciale. Si dice sia pronta da tempo, ma che diplomaticamente Netflix abbia preferito spostarla più avanti nel corso del 2022 per non confliggere con i 25 anni dalla morte di Diana né con la grande festa per la Regina (per lei Morgan avrebbe un vero culto: vedasi i precedenti cinematografici e teatrali da lui firmati, The Queen, il film del 2006 di Stephen Frears con un’iconica Helen Mirren, e la pièce The Audience del 2013, sui settimanali incontri della regina con i suoi Primi ministri, sempre con Mirren nel ruolo regale). La rete si starebbe anche armando contro eventuali azioni legali dei Windsor e dei loro amici (non di Elisabetta, che non farebbe mai una cosa tanto volgare come citare in giudizio una serie tv). A detta dei tabloid inglesi, amici della famiglia avrebbero già allertato gli avvocati e sarebbero pronti a fare fuoco e fiamme. Mentre Jemima Khan, ex moglie del premier pakistano e grande amica di Diana, esce dal team degli sceneggiatori della serie perché contrariata per come la principessa viene raccontata negli episodi inediti. E poi, ancora da interpretare, c’è il contratto multi-multi milionario firmato dalla stessa Netflix con i Sussex Harry e Meghan: un modo per tenerli buoni in caso di controversie? Intanto di Elisabetta siamo qui a magnificare i 70 anni di regno: tenace e silenziosa (nulla ha mai detto su The Crown, solo si disse agli inizi che la vedesse con Filippo molto divertendosi), The Queen continua la sua attività a favore della nazione e in favore di telecamere in un mondo inesorabilmente mutato. Il suo è lavoro in crisi di immagine e funzione, per cui bisogna essere operativi ventiquattr’ore su ventiquattro, un’arte. Sono in molti a chiedersi che ne sarà della monarchia britannica quando lascerà. Forse se lo chiede anche lei, ed è per questo che continua a tenere duro sul trono. Lunga vita alla Regina.
Un saggio di Anna Maria Pasetti ripercorre la sua vita tra fiction e realtà. The Queen trasformata in icona pop anche dai film che l’hanno raccontata
Regnare è importante quanto essere rappresentati. Potrebbe sembrare un paradosso di superficialità e invece, nella persistenza dell’icona Elisabetta II, il potere dell’immagine ha avuto ruolo cruciale, esattamente come la corona, il cambio della guardia a Buckingham Palace e tutte le altre, innumerevoli, cerimonie regali. L’unicità della sovrana più longeva dell’epoca moderna, 95 anni e quasi 70 di regno, è strettamente legata al modo con cui cinema e tv hanno continuato a celebrarla nel tempo, rinnovandone il mito. Dal suo impero di film e documentari, sitcom e serie tv, la Regina ha tratto risorse fondamentali: «Sua Maestà Elisabetta II – scrive Anna Maria Pasetti nel suo libro Dio salvi la Regina! (Bietti) – è un “unicum” capace non solo di generare uno straordinario immaginario collettivo, ma di ammantarlo di mistero e incanto presso popoli e generazioni indifferentemente collocati». Fotografia e audiovisivo sono stati i mezzi per raggiungere quest’immensa platea, dai tempi degli scatti di Cecil Beaton e Annie Leibovitz, fino al trionfo della serie The Crown, passando per l’ampia e variegata produzione cinematografica in cui spicca The Queen, il film di Stephen Frears con Helen Mirren protagonista e vincitrice dell’Oscar. Un successo talmente grande da attirare, come racconta il regista, critiche fieramente anti-monarchiche: «Siamo stati persino accusati di aver salvato la Regina… se la stavano cavando piuttosto male in quel periodo e invece il nostro film ha risollevato le sorti della sua reputazione… abbiamo cercato di mostrarla come un essere umano, un fatto che ha letteralmente scioccato il mondo, quantomeno noi britannici». Alla Regina il film è piaciuto, lo conferma lo stesso Frears, avvalorando la tesi della narrazione utile al potere. Sempre. Anche quando i toni sono sarcastici come nella parodia The Windsors in cui la Regina assente resta il fulcro di ogni avvenimento, comici come in Una pallottola spuntata dove Elisabetta II, travolta da Leslie Nielsen, precipita sulla tavolata sontuosamente imbandita in suo onore, dissacranti come in Spencer dove il cileno Pablo Larraìn sceglie di mettere in scena il rito della bilancia su cui Sua Maestà si pesa ogni anno, prima e dopo le festività natalizie. Se una monarca tanto influente accetta di apparire nello sketch celebrativo al fianco di Daniel Craig-James Bond, se diventa cameo animato nei Minions e in Peppa Pig, vuol dire proprio che il ritorno, in termini di popolarità, è enorme: «Il mondo è cambiato – afferma la Regina nel finale di The Queen -, e bisogna modernizzarsi». Impegno gravoso, come tanti di quelli che compongono la routine di Sua Altezza, in quell’altalena di pubbliche glorie e private insoddisfazioni che è diventata uno specifico genere giornalistico, oltre che materia di numerosi volumi. In quell’area, più sofferta e più difficile da sottomettere all’assioma del mostrarsi è bello, si è mosso Paolo Sorrentino, nel corto Voyage au bout de la nuit (inserito nel collage in 17 episodi Homemade) in cui immaginava, usando pupazzetti come attori, il lockdown della primavera 2020 vissuto dalla strana coppia formata dalla Regina e dal Papa: «Io e te siamo simboli – dice lei -, per questo non sappiamo fare niente». Una consapevolezza di inutilità cui Elisabetta II, spinta anche dal compianto Principe di Edimburgo, ha rimediato mostrandosi ogni volta che le condizioni storiche e politiche l’hanno richiesto, ma anche lasciando che la sua personalità regale fosse scarnificata da telecamere e macchine da presa. Registi, attori, sceneggiatori, hanno rafforzato la sua leggenda, anche quando pensavano di distruggerla.
Fulvia Caprara ©La Stampa 24 gennaio 2022