Dossier/1: È necessario che avvengano gli scandali!
Gianfranco de Turris
Sembrerà assurdo ai lettori delle due ultime generazioni sentir parlare di una polemica di quarant’anni fa. In effetti, sotto molti aspetti lo è. Presentando un nostro scritto (mio e di Sebastiano Fusco) del 1978 e una antologia di testi che lo accompagna, occorre tuttavia riferirsi proprio agli anni Settanta del secolo ormai da un pezzo trascorso, dato che, durante tutto questo tempo, le mie (le nostre) precisazioni e messe a punto non sono state in genere tenute in alcuna considerazione e su questa vecchia faccenda alcuni hanno continuato a scrivere imperterriti cose errate, interpretazioni nate allora e mai cambiate, sciocchezze e addirittura dati di fatto sbagliati sulle nostre intenzioni – come, tanto per non far nomi, Domenico Gallo su un numero speciale di fantascienza.com e Walter Catalano nella introduzione a una antologia di racconti italiani di qualche anno fa. In buona o mala fede, si è trattato di analisi e ricostruzioni fasulle e aprioristiche, inficiate da pregiudizi ideologici che hanno compromesso valutazioni e conclusioni – insomma, come se non fossero trascorsi trenta o quarant’anni dall’epoca di cui si occupavano e il clima fosse restato identico. Nessuna storicizzazione, per così dire, anche se l’argomento riguarda una realtà culturale minoritaria e settoriale come la fantascienza.
Cosa si proponeva il Malefico Duo de Turpis e Fosco (così venivamo chiamati in quegli ambientini, come abbiamo poi saputo) con le Intollerabili Introduzioni, scritte tra il 1971 e il 1981 per le varie collane di fantascienza dell’editore Fanucci in quel di Roma? Un duplice intento quanto mai semplice, considerando quel che si scriveva allora a livello critico di fantascienza & affini: dare un inquadramento ai libri pubblicati, giacché in genere non ne avevano (e, in caso contrario, era assai stringato), allo scopo di superare l’ambito specialistico e iper-specialistico; questo ampliamento di orizzonti, inoltre, veniva effettuato con riferimenti culturali che erano propri alla nostra personale preparazione e formazione. Il nostro intento principale era “tirar fuori” la letteratura dell’Immaginario dal ghetto in cui era stata confinata non solo dalla critica generalista e mainstream (fantascienza, letteratura di serie B, fantascemenza, secondo l’immortale definizione di Mike Buongiorno a “Lascia o raddoppia?”) ma anche da quella specializzata che, compiacendosi di questo ghetto, era diventata del tutto autorefenziale; in secondo luogo, il riferimento a certi autori, critici, filosofi e pensatori aveva lo scopo di dare uno spessore all’Immaginario, in modo tale da porlo in una condizione privilegiata, andando alla ricerca dei suoi “magnanimi lombi” – senza arrivare a definire come antesignani della fantascienza, per motivi puramente esteriori e non certo simbolici, che so, La repubblica, la Divina commedia o L’Orlando furioso, il che ci sembrava facesse cadere l’operazione nel ridicolo. Per far ciò era necessario ricercare fonti che non fossero di certo i sociologi o gli economisti marxisti citati senza alcuno scandalo nelle introduzioni a certi romanzi della collana Galassia. Ovviamente, questo non significava penalizzare l’aspetto più propriamente specialistico delle opere presentate: anzi, all’epoca, solo nelle collane da noi curate erano presenti biografia, bibliografia italiana e foto dello scrittore che si pubblicava.
Non vi era altro intento, ma allora – è bene ricordarlo ai lettori più giovani – si era nel pieno di quella “contestazione” che sarebbe poi tracimata nei sanguinosi “anni di piombo”, con morti e feriti: la contrapposizione Destra/Sinistra (spesso forzata, ma ciò allora non era importante) assumeva i toni di un vero e proprio furor, non solo nelle piazze, ma anche sul piano politico-ideologico-culturale. I riferimenti nelle nostre introduzioni – talvolta, veri e propri saggi di dieci o venti pagine con note – agli autori che ci servivano come base culturale per avanzare la nostra interpretazione della fantascienza intesa quale ultima facies del mito, e quindi la possibilità di analizzarla e interpretarla con un metodo che definimmo “simbolico-tradizionale”, molti dei quali rappresentati nell’antologia di «Antarès» (insieme ad altri che, successivamente, hanno confermato questo punto di vista), erano considerati da chi non gradiva come pericolosissimi: una operazione squisitamente “politica”, una vera e propria “intollerabile provocazione”, come si usava dire allora, di due loschi “fascisti” che portavano acqua al mulino della “reazione in agguato” (come minimo). Come abbiamo scoperto più di trent’anni dopo, ogni volta che usciva un libro di Fanucci in certi ambienti ci si riuniva intorno a un tavolo per leggere le nostre introduzioni, dissezionarle, esaminarle al microscopio ideologico, valutarle e rendersi conto di quali terribili “pericoli” comportassero, quali esecrate ideologie trasmettessero agli impreparati e ingenui lettori di fantascienza degli anni Settanta del secolo passato. Presupposto di simili assurdità era che “mito” fosse sinonimo di “fascismo”, stanti le teorie dell’ormai obsoleto filosofo marxista-leninista ungherese György Lukács, ancora oggi conclamate da tardissimi epigoni, con grande sprezzo del ridicolo. Insomma, dei “cattivi”, anzi pessimi, “maestri”, accusati di traviare giovani e vergini menti.
I lettori di oggi possono constatare di persona la grande pericolosità di quei nostri scritti esaminando l’introduzione qui scelta come esemplificativa, anche perché intitolata proprio Fantascienza e mitologia, argomento di questo fascicolo della rivista. Vi si può vedere quale fosse il nostro metodo e a quali autori facessimo riferimento: proprio per dimostrare come tali critiche fossero mosse da ignoranti prevenuti, citammo volutamente due esponenti della cultura progressista italiana, utilissimi ai fini del nostro ragionamento, insieme a scrittori e critici di pura fantascienza. Le nostre tesi, insomma, non erano invenzioni campate per aria, ma avevano non banali fondamenta. Soltanto che noi le avevamo unificate e riorganizzate per primi, ricavando un metodo di analisi della narrativa dell’Immaginario.
Come dicemmo allora in una polemica sulla rivista «Robot», noi non facevamo politica di parte, né propaganda ad alcun partito, nessuna fazione ci aveva occultamente ingaggiati – a differenza di altri, accoglievamo sulle nostre pagine scrittori di tutte le tendenze e avevamo collaboratori italiani che scrivevano introduzioni o appendici d’idee molto diverse tra loro. Con quelle insopportabili indicazioni bibliografiche evidenziavamo soltanto la nostra visione dell’Immaginario, facendo – questo certamente sì – riferimenti ideali e culturali ad autori tabù, ostracizzati, ghettizzati, calunniati dalla intellighenzia dominante, egemone, che assai poco democraticamente li aveva messi all’indice, utilizzando metodi degni dell’Inquisizione papalina: alcuni sono ancora innominabili, mentre altri, grazie al tipico atteggiamento della sinistra italiana, sono stati “redenti” e considerati più o meno accettabili.
Ecco il sostanziale motivo dello scandalo: andavamo a esplorare territori proibiti dai veti di una intellighenzia ottusa e prevaricatrice, ma, come dice l’evangelista, oportet ut scandala eveniant: era necessario che lo scandalo si verificasse, per far emergere la pseudo-democrazia e l’intolleranza da un lato, la stupidità e l’ignoranza dall’altro, quello che oggi vien chiamato il “doppio standard” e che meglio si qualifica come “doppiopesismo”: la stessa cosa, se fatta da me, è lecita e giusta, ma se fatta da te, non lo è, in base a un metro puramente ideologico. Oggi non c’è più, come allora, il PCI, il Partito Comunista Italiano, ma ne è rimasta intatta la mentalità, transitata nel nuovo PCI, Pseudonimo Collettivo Italiano, che impazza sui blog, detta leggi, assolve o condanna, pontifica in nome di non si sa quale investitura umana o divina, comunque in nome di una presunta “superiorità antropologica”, ormai viepiù smentita dai fatti sul piano etico, politico e ideologico, cui purtroppo ancora crede la congerie dei followers, i moderni servi sciocchi, che fa da reggicoda.
Non c’era altro, né avrebbe potuto esserci, anche perché a livello personale non avevamo in tasca alcuna tessera, né frequentavamo sezioni di partito. Dipendevamo solo dalle nostre idee, ma avevamo la colpa di andare controcorrente e scrivere “intollerabili provocazioni”, scandalizzando i sinistri benpensanti. Allora, però, per certe mentalità condizionate era difficile credervi – e, a quanto pare, lo è ancora oggi, che non siamo più dei giovani di belle speranze. Grazie a Dio non abbiano traviato nessuno, ma – come si è avuto occasione di dire altre volte – nel corso di decenni abbiamo avuto la soddisfazione d’incontrare, in convegni, presentazioni e conferenze, persone sconosciute che ci hanno ringraziato per aver aperto loro la mente con quei nostri testi, grazie ai quali sono stati addirittura avviati su strade che hanno caratterizzato poi la loro vita: studiosi di letteratura romanza, linguisti, orientalisti, archeologi, artisti del fantastico, addirittura militari, e così via.
Il minimo che si possa dire è che tutto ciò ci inorgoglisce e ci fa considerare dieci anni di lavoro e quasi un centinaio di introduzioni/postfazioni brevi e lunghissime non come fatica sprecata ma come contributo alla crescita in Italia della consapevolezza che fantascienza, fantastico e orrore sono qualcosa di più che banali letture “escapiste”, di puro e semplice intrattenimento fine a se stesso.