Narrativa: Le influenze letterarie di Walt Disney

Massimiliano Gobbo
Walt Disney – Il mago di Hollywood n. 10/2015
Narrativa: Le influenze letterarie di Walt Disney

Fu allora che la letteratura sussurrò all’orecchio del grande costruttore di sogni. L’universo disneyano immaginifico, variopinto e multidimensionale ha da sempre esercitato una malia irresistibile, grazie al suo grande vitalismo narrativo che si fa immagine ed azione, attraverso le sorprendenti suggestioni dei mezzi espressivi del fumetto, dei cartoons e del cinema.

La tendenza – anzi, si potrebbe dire, la predilezione – per il soggetto letterario e fiabesco da parte del grande genio americano attraversa buona parte della sua vastissima e variegata produzione artistica.

Valgano a titolo d’esempio le varie, riuscitissime e gustose riproposizioni, nonché gli adattamenti in chiave fumettistica di numerosi classici della letteratura. Solo nel nostro Paese, a partire dal 1957, per Arnoldo Mondadori Editore e, successivamente, per la Walt Disney Company Italia sono usciti capolavori come I Promessi Paperi, Paperodissea, L’Inferno di Topolino, Paperino e Don Chisciotte e Paperino e i Tre Moschettieri.

A tal proposito non bisogna dimenticare, fra le altre, la celebre riduzione cinematografica de La spada nella roccia (1963), ultimo classico prodotto dagli Studios prima della scomparsa di Walt. In questo film d’animazione viene affrontato un tema leggendario attraverso l’incontro tra cartone animato e grande letteratura (il Ciclo Bretone e Arturiano).

«Merlino: Vedi giovanotto, questa faccenda dell’amore… è una cosa potentissima! / Artù: Più forte della gravità? / Merlino: Be’, sì figliolo, in un certo senso… io direi che è la forza più grande sulla terra!» Sono battute come queste a reintrodurre tematiche letterarie (in questo caso, legate addirittura all’epica cavalleresca medievale!) all’interno dell’universo Disney, ovviamente rielaborate e reinterpretate in base allo spirito dei tempi. Ed è appunto la figura di Artù e la sua Excalibur (simbolo di regalità e di potere) a fornire a Disney motivo ispiratore e momento narrativo. I protagonisti della vicenda sono naturalmente Merlino e Artù, presentati in modo del tutto nuovo: il primo è un simpatico vecchietto occhialuto con tanto di barba matusalemmica, in discontinuità coll’immagine solenne e severa del potente mago; il secondo un giovinetto timido e maldestro che ha però in nuce i semi della nobiltà e dell’eroismo che farà germogliare una volta raggiunto il trono.

In modo analogo l’opera del cineasta americano ruota attorno al mondo della fiaba, sia per costruzione narrativa che per suggestioni, trovandovi anzi ambientazione ideale per il suo modus operandi cinematografico. Nascono così capolavori come Biancaneve e i sette nani (1937), Pinocchio (1940), Fantasia (1940), Cenerentola (1950), Il libro della giungla (1967) e Il re leone (1994).

«Dimenticali Wendy, dimenticali tutti, vieni con me dove non dovrai mai, mai pensare alle cose dei grandi…» A parlare è ovviamente Peter Pan, nel film Disney del 1953. Parole che potrebbero essere applicate al regno della letteratura, specie per come inteso dal protagonista di questa storia. Si potrebbe perciò affermare che l’arte disneyana, nel suo insieme, sia stata grandemente influenzata (e forse nutrita) soprattutto dalla grande letteratura. Tuttavia, secondo quanto insegnano scienza e filosofia, come pure l’umana esperienza, in ogni rapporto dinamico d’interazione avviene sempre una mutua influenza tra le parti in causa.

Così la redazione di «Antarès» si è posta il seguente quesito: se è vero, come è vero, quanto più sopra sostenuto, è allora ipotizzabile che la letteratura – o, in modo meno pretenzioso, la narrativa – possa trarre motivo ispiratore e parimenti suggere vigore dal cosmo disneyano?

Per dare degna risposta a detta domanda abbiamo lasciato la parola, o meglio la tastiera (un tempo avremmo detto “carta bianca”), a tre scrittori, che hanno accettato di cimentarsi nella non facile impresa di stabilire se i sogni del grande costruttore americano potessero essere anche i loro.

E ora, come di consueto, prima di lasciarvi alla lettura, un breve sguardo ai tre racconti proposti in questo numero di «Antarès». Dalle atmosfere sognanti tipiche della fiaba alle tetre suggestioni del gotico, dalle influenze letterarie del postmodernismo di matrice americana all’aroma umoristico e disincantato della commedia all’italiana: ecco dispiegarsi il variegato repertorio narrativo e stilistico messo in campo dai nostri autori. Tre risposte ad un’unica domanda, tre racconti di qualità in cui, nonostante le variazioni sul tema, si respira inalterata la magica atmosfera dell’opera disneyana.

Una storia imprevedibile e inconsueta dal tratto alla Salce è quella tratteggiata con arguta ironia da Donato Altomare nel suo Io sono un creativo, racconto in cui un calciatore con ambizioni da pubblicista si presenta a una sorta di provino che però nulla c’entra con lo sport. La vicenda prende le mosse da dinamiche aziendali presupponenti un arrivismo e una competitività esasperati, logiche cui il protagonista tenta inutilmente di sottrarsi. Un mondo lontano anni luce dallo spirito originario di Walt Disney, che però viene coinvolto per il tramite della sede italiana della compagnia omonima. Altomare mette in scena un dramma tragicomico che restituisce intatto l’aroma inconfondibile della commedia all’italiana.

Un’inedita versione di Cenerentola è invece quella proposta da Ugo Ciaccio, in cui grazie a un’immaginifica analessi politicamente scorretta si dipana una vicenda dal soma gotico, che rammenta le cupe atmosfere aleggianti sulla filmografia burtoniana. Una fiaba nera che sorprende e agghiaccia.

Due narrazioni che s’incrociano, con in mezzo il dramma del Vietnam e trent’anni di storia statunitense. Una singolare coppia di fratelli immersi nei loro ricordi, tragici e melanconici, che si stanno recando per l’ultima volta al capezzale del padre. Questi gli elementi e lo sfondo della Sad Symphony di Gianpiero Mattanza, racconto che giunge a Walt Disney percorrendo le lacerazioni del secolo americano. Un dialogo, d’altra parte, mantenuto sempre ben vivo da quello che fu e che resta uno dei sommi geni del Novecento.

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