Il fantastico che spiazza
Massimiliano Gobbo
La settimana scorsa, durante una lezione di scrittura creativa a un gruppo di giovani studenti, mi sono ritrovato a parlare (non poteva che essere così) di letteratura dell’immaginario. Nello specifico, cercavo di dirimere su due piedi l’annosa questione della differenza tra narrativa realistica e fantastica: roba da far venire il mal di testa al vecchio Todorov. E giù a dire che la prima parla di cose possibili, che riguardano la realtà di tutti i giorni o quasi. Così, ad esempio, un romanzo d’amore, un giallo o una spy story sono “roba” realistica. Per contro, fantascienza e fantasy, e in buona parte pure l’horror, vengono assegnati alla seconda categoria. A un certo punto, non so bene come o perché, mi viene in mente lui, Borges. Come mai? Be’, anzitutto perché a lui si deve un ragionamento assai particolare che calza a pennello con il tema della lezione – ma di questo parleremo tra poco. Poi c’era il fatto, non trascurabile, che avrei dovuto scrivere il presente editoriale. Ora, un editoriale è uno scritto che non di rado può risultare spinoso. Se poi ha per oggetto uno degli autori più straordinari del secolo ventesimo e la sua opera monumentale, ecco che l’impresa si fa oltremodo ardua. Eppure, di fronte a Borges, il cantore del fantastico sudamericano, tutto appare dannatamente semplice, perfino naturale. Parlare di lui, il grande narratore di sogni, può riuscire facile come respirare. Con le sue opere magnifiche dall’afflato fantasmagorico, è l’uomo che ha saputo rendere speciale un’epoca intera. Egli ha illuminato con la sua stella trascendente dal soma metafisico intere generazioni, tracciando con mano sicura la via dell’incanto.
Lavorare su questo editoriale mi è sembrato perciò una cosa maledettamente borgesiana. Quest’aggettivazione, divenuta oramai d’uso comune, può alludere a qualcosa di paradossale, una situazione a metà strada tra il surreale e il suo contrario. Ecco allora che discorrere di lui può apparire un’impresa da coraggiosi o da scriteriati: più i secondi, credo. E già te li vedi tutti quegli scriteriati che ci danno dentro come matti a scrivere editoriali borgesiani! Un’immagine folle, che sembra uscita da William Burroughs.
Dov’eravamo? Ah, sì, alla lezione di scrittura creativa e al fatto che l’idea del Nostro riguardo la natura del fantastico mi è sempre apparsa peculiare e, in egual misura, insopportabile. Scrive Borges nell’introduzione alla celebre Antologia della letteratura fantastica, curata assieme ad Adolfo Bioy Casares e Silvina Ocampo: «Tutta la letteratura è fantastica».
Quest’affermazione a tutta prima può lasciare interdetti, perfino sconcertati. Ma… come? Possibile che ogni forma di narrativa debba ascriversi a questa categoria, destinata così ad allargarsi a dismisura? Tuttavia, riflettendoci sopra, si intuisce che, dopotutto, lo scrittore argentino parlava a ragion veduta. Senza timore d’esagerare, si può dire che qualunque opera letteraria sia frutto d’invenzione, ovvero in varia misura scaturisca dalla capacità immaginativa dell’autore. Si potrebbe obiettare che talune forme di narrazione siano tutt’altro che fantastiche, e anzi si adeguino a un’imprescindibile oggettività. Però, a ben pensarci, uno stesso fatto osservato da due diversi cronisti aderirà alla realtà nella misura in cui costoro mutuamente divergeranno per gusti, personalità, cultura o educazione. Dunque, la realtà, seguendo un tipico assioma borgesiano, non può essere rappresentata in modo assolutamente fedele, in quanto filtrata dai nostri sensi fallaci e dalle nostre psicologie.
A fronte di ciò e altro ancora, il discorso propinato agli studenti di cui s’è detto sembra destinato a naufragare in un mare d’incertezza. Ne discende che la storia di questa determinata indeterminazione del fantastico borgesiano ha il potere di far venire il mal di testa a tutti coloro (compreso lo scrivente) che in fatto d’immaginario la pensano come Roger Caillois.
Le opere di Borges sono un caleidoscopio infinito d’immagini intrise d’una sur-realtà che fa dell’onirismo il suo tema preferito. Distante dai bizantinismi di certi autori coevi, rifuggendo tematiche scontate e approdando a dimensioni filosofiche ed etiche inedite, apre il sipario su un cosmo sognante. La sua influenza su intere generazioni di autori e lettori è stata così rilevante che, come già scritto, il termine borgesiano è divenuto sinonimo di elegante mistificazione dal timbro metafisico. Temi a lui cari, come il gioco degli scacchi, il labirinto, gli specchi o il mito, assurgono a simboli universali d’un nuovo modo d’intendere l’arte e la poesia, che fa d’un afflato sospeso tra realtà e sogno la propria dimensione più autentica.
Borges è il suo mito, presenza spiazzante e ingombrante del Novecento, così amabilmente controcorrente da sembrare un cuneo capace di far scricchiolare l’intero grottesco edificio della banalità e del pensiero unico dominante. Oggi, agli inizi d’un nuovo millennio, il più moderno cantore dell’antichità ci appare maledettamente attuale. Sarà anche per questo che, d’ora in avanti, di fronte ai miei studenti, farò molta attenzione prima di citarlo, quando si tratterà di parlare del mondo dell’immaginario.
E ora, come sempre, un rapido sguardo miscellaneo ai racconti scelti per questo numero di «Antarès». Il computer di Babele, racconto fantastico dal piglio surrealista di Pierfrancesco Prosperi, è chiaramente ispirato a una delle performance più celebri dello scrittore argentino, ovvero La biblioteca di Babele (contenuto in Finzioni). Si tratta d’una storia giocata in perfetto stile borgesiano che sorprende e avvince in egual misura. Ma attenzione a non perdersi nel labirinto di volumi. Una vera trappola per topi di biblioteca… Errico Passaro ci regala il suo Il bianco, il nero e il rosso: stavolta è un occhio spietato e indagatore puntato sull’animo oscuro d’un serial killer a dominare sulla scena. Un bellissimo affresco nero che sarebbe piaciuto molto all’autore di Storia di Rosendo Juárez. A seguire, Mario Farneti con il suo Labirinti cosmici, storia dal timbro fantascientifico incentrata, ancora una volta, sul tema assolutamente borgesiano del labirinto. Ma qui ci troviamo di fronte a un dedalo di trame cosmiche dal sapore escatologico. Un racconto che sembra alludere alle moderne teorie degli universi a stringhe e che gioca abilmente con il tema affascinante dei paradossi temporali. Infine, Il quarto scatto di Andrea Scarabelli, racconto intrigante scritto con eleganza e acume misterico. Cosa accadrebbe se una sera due amici nascondessero una speciale macchina fotografica capace di catturare i volti dei passanti (e non solo quelli)? Con un appropriato omaggio all’Uomo della folla di Edgar Allan Poe, Il quarto scatto sembra conformarsi alla psicomagia di Alejandro Jodorowsky. Dopo aver letto questo racconto ci penserete due volte prima di posare davanti a una macchina fotografica…