
Zie, nipoti, cognatine, belle matrigne, cameriere, insegnanti e governanti. Di colore, talvolta. Il rosario dei titoli dei primi Settanta si può mandare a memoria come i tamburini sui quotidiani delle vecchie sale a Milano: Abadan, Abanella, Abanera, Abc…
Memorie del cinema (erotico) e delle “parentele maliziose”, che come quello delle “professioni domestiche” è univocamente riconducibile al Samperi prima maniera, sessantottino, e al suo fondamentale Grazie zia (1968). Tempi di pugni in tasca e calci al perbenismo. Amore e rabbia, sogni e bisogni. C’era l’alto e c’era il basso, il triviale, l’osceno. Come dire che se i panni sporchi si lavano in famiglia, quelli puliti si sfila(va)no volentieri tra due camere e cucina. C’era e c’è Aldo Lado, che nel 1974 s’inserisce in un filone da una trentina di miliardi di allora (nel periodo 1969-1975, secondo «Il Giornale dello Spettacolo»). La cugina fa parte dell’ampio campionario, elevandosi dalla media per stile, interpreti, ispirazione. Cioè il racconto di Ercole Patti, romanzo di formazione di un amore giovanile. Pubblicato nel 1965, è il primo capitolo della “trilogia siciliana” completata da Un bellissimo novembre (1967), portato al cinema da Mauro Bolognini, e Graziella (1970), diventato La seduzione (1973) con Fernando Di Leo. Samperi aveva cominciato come aiuto di Marco Ferreri proseguendo sull’onda della rabbia giovane di Agosti, Faenza, Pasolini, Bellocchio. E aveva lanciato Lisa Gastoni, prima che l’icona della Malizia diventasse Laura Antonelli. Se l’era presa con la famiglia come istituzione in crisi, luogo di follie e violenze. Non dev’essere un caso se Lado fu sodale proprio di Samperi, come aiuto e sceneggiatore. E del regista padovano mantiene un po’ di quel piglio di critica e satira ai riti e miti, ai vizi (tanti) e alle virtù (poche) dell’istituzione familiare. Qui è il tema dell’adolescenza a farsi centrale, con i primi friccicori della pubertà in un crescendo di tensione erotica, un lungo tira e molla di infinita attesa del piacere (che è essa stessa il piacere). Massimo Ranieri, con la voce di Roberto Chevalier che sarà di Tom Cruise, offre una tribolata allegrezza a Enzo, studente gaudente, scapolo, felice nelle campagne che ha ereditato, beato fra le cosce di contadine e cameriere che lavorano per lui. Dayle Haddon è Agata, formidabile cugina, indecisa se dare retta al senso dei sensi (e quindi a Enzo) o all’interesse per Ninì Scuderi, grassoccio e imbranato, ma ancora appartenente a quel che resta di un’aristocrazia in decadenza e comunque appetibile agli occhi della giovane rampante. Lo interpreta un debuttante Christian De Sica: «Un film importante per me perché mi ha messo per la prima volta di fronte, come se fossi stato nudo, alla macchina da presa» spiegò lui, ai tempi, non senza ironia, riferendosi alla scena in vasca da bagno di fronte a Laura Betti, sua madre nel copione. Ranieri, invece, all’epoca era già idolo di Canzonissima, al cinema passato senza indugio da Bolognini a Mariano Laurenti.
Tutto accade nell’atmosfera calda e polverosa del profondo Sud di un secolo fa. Ogni cosa sembra sonnecchiare, ma le passioni covano sotto la cenere, ispirate al naturalismo di Patti: «Quell’odore di sacco, di noci schiacciate, di sorbe appese a maturare, di pollaio, di foglie di castagno ammucchiate…». Esterni di sole e d’azzurro e interni di grandi case di aristocrazie in decadenza e signorotti, dove le dame della buona borghesia all’ora del tè si trovano a cinguettare di facezie e doppi sensi, ginecologi e uso del diaframma, in un tripudio di cannoli da assaporare sporcandosi la bocca. La macchina da presa di Lado s’intrufola fin da subito sotto le gonne e nelle scollature. L’occhio impuro è proprio quello di Nino, dieci anni o poco più all’inizio del film, che spia da un buco nel muro. Che finge di studiare sfogliando disegni erotici e sospirando per Agata: «Ah, che cugina!». È con lei che vive la prima cotta in una Sicilia in cui gli echi della politica e i grandi accadimenti della Storia arrivano solo per radio. L’illibatezza è il più grande dei problemi di scapoli e sposine, per loro che non devono mettere insieme il pranzo con la cena. «Le ragazze che arrivano vergini al matrimonio sono le più pericolose, pretendono di guadagnare dopo il tempo che hanno perduto prima».
Anni di case chiuse e gambe aperte. Francesca Romana Coluzzi è un’inconsolabile coscialunga, perché alle mogli degli onorevoli piacciono gli uomini (nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia). Ma tutto gira intorno ai due giovani parenti che a volte sono tentatori come serpenti, che si sfiorano e poi si perdono di vista, ritrovandosi solo diversi anni più tardi. «Il romanzo mi aveva particolarmente colpito per la sensualità che bagna questo rapporto insieme delicato e morboso», disse Lado. Agata sposa il barone anche se non lo ama e continua ad amoreggiare con Enzo, seppure in modo praticamente platonico. Il continuo rincorrersi culmina in un finalissimo, come raramente si è visto nelle tiepide abitudini del cinema di genere. I due amanti si ritrovano al balcone della villa. Lui, lei e tutto il mondo fuori.
Ninì, bambascione, che quando la moglie voleva fare all’amore lui s’intimoriva, adesso gongola per una nuova cavallina da far trottare. «Rannicchiato dietro l’alta finestra Enzo le si fece addosso e lei si piegò sul davanti per facilitare la manovra», scrive Patti, e ancora, «Il gusto di fare all’amore col cugino sotto gli occhi del marito». Lado sottolinea il climax girando al rallentatore, quasi a far perdurare quell’orgasmo atteso da una vita lunga un film. Che nel trailer diventa una sublime sinfonia per musica e piccole natiche. E decide di chiudere così, tralasciando quel cupio dissolvi che nel libro coinvolge i protagonisti. La solitudine, la noia, la bellezza che svanisce. La nascita di un figlio, frutto della colpa: «Quel senso di trionfo della vita sul limite del nulla»1. La chiave del regista, al contrario, è gioia di vivere l’assolata campagna, accompagnati dall’allegria dello swing. E con le note maliziose, ma pure malinconiche di Morricone, con quel refrain che torna, come si usava allora, ogni volta che le situazioni puntano al pruriginoso. Con pure un po’ di licenze rispetto al testo e a supporto della commedia, ad esempio il ruolo di Stefania Casini creato per il film: «All’epoca avevo il sacro fuoco dell’arte», ci ha raccontato lei, «sceglievo i film se c’era qualcosa che mi piaceva o se il regista mi era simpatico. Ci sono delle alchimie che nascono…». Onde di capelli fulvi, labbra carminio, pelle candida, la sua Lisa è imparentata con gli Scuderi. Scappa in camporella con Enzo: «Minchia, mi pare di fottere Rita Hayworth!».
Note
1 Marabini Claudio, in Zappulla Muscarà Sarah (a cura di), Ercole Patti, Maimone Editore, Catania 1989.
CAST & CREDITS
Regia: Aldo Lado; soggetto: Ercole Patti (dal suo omonimo romanzo); sceneggiatura: Luisa Montagnana, Massimo Franciosa; fotografia: Gábor Pogány; scenografia: Elio Balletti; costumi: Fabrizio Caracciolo; montaggio: Alberto Gallitti; musiche: Ennio Morricone; interpreti: Massimo Ranieri (Enzo), Dayle Haddon (Agata), Laura Betti (Rosalia Scuderi), Conchita Airoldi (cameriera, come Cristina Airoldi)), Luigi Casellato (Peppino), Stefania Casini (Lisa Scuderi), Loredana Martinez (Giovannella, come Loredana Martínez)), Francesca Romana Coluzzi (moglie del deputato), Christian De Sica (Ninì Scuderi), José Quaglio (Fragalà); produzione: Testa Gay Cinematografica, Unidis; origine: Italia, 1974; durata: 92’; home video: dvd Ripley’s Home Video, Blu-ray inedito; colonna sonora: Gdm Music.