Spettri della mia vita. Fenomenologia del fantasma nell’orrore contemporaneo, tra revenant e ghost

Saverio Felici
Mike Flanagan n. 16/2023

Vent’anni fa eravamo tutti pazzi per i giapponesi. Lo slasher moriva insieme alle sue novecentesche nevrosi, e mentre l’horror mainstream americano annaspava nei suoi compromessi con l’estetica Nineties imposta da MTV, a parlare dei nuovi, più reali incubi digitali era rimasto solo l’Estremo Oriente. E faceva paura, come sempre fa paura l’infiltrarsi di un elemento estraneo nella nostra fragile concezione di ordinario (è l’ormai celebre definizione di weird data da Mark Fisher – da cui prendiamo in prestito il titolo di questo intervento).
Ma il successo internazionale di Hideo Nakata, Takashi Shimizu, Daisuke Yamanouchi e Kiyoshi Kurosawa andava oltre la fascinazione esotica per i nuovi, stranianti manierismi asiatici. Paralizzato dal primo, violento riflusso economico dopo il trionfale trentennio precedente, il Giappone stava battezzando prima di tutti la nuova generazione di incubi che avrebbe caratterizzato gli anni a venire: non senza una vena reazionaria, il J-horror raccontò l’emergere di un invisibile computazionale senza forma né confini, immateriale e pertanto onnipotente. Il tono (più o meno) utopistico con cui il cyberpunk locale aveva raccontato il fondersi della tecnologia digitale nel quotidiano lasciava il posto alla più gretta paranoia: a rivelarla una nuova oggettistica maledetta, figlia dei tempi (camcorder, VHS, registratori, cellulari) e i fantasmi che la abitavano. Negli anni successivi saranno lo shock del terrorismo e il risvegliarsi della Storia nei deserti mediorientali a rimettere in moto gli ingranaggi del genere nel cinema occidentale, distolto momentaneamente dalla contemplazione di sé e dei propri spettri perché alle prese con un ritorno dell’altro: ecco così il revival per qualche (gloriosa) annata delle vecchie, brutali ossessioni seventies per maniaci armati di mannaia, invasioni domestiche e armi da tortura. Oggi anche quest’ultima eco si è conclusa: il sangue si è asciugato – i fantasmi sono tornati. Anzi, nel cinema horror contemporaneo sono più numerosi dei vivi.
A dispetto della sua limitata storia cinematografica, la figura del Fantasma, un tempo ambasciatore di esotiche cinematografie straniere, è oggi preponderante. Le più diverse interpretazioni convergono a raccontare in chiave fantastica l’era dell’informazione e il suo rapporto con l’invisibile, il trapassato, l’astratto; tra queste letture e revisioni vi è anche quella di Mike Flanagan, nel cui cinema, forse più che in quello di tutti i suoi colleghi, il genere recupera un suo punto di rottura e si fa riflessione ultima su sé stesso come scenario orrorifico dominato da spettri – i veri terminali delle più astratte inquietudini contemporanee.
Il percorso del regista di Salem, per quanto autoriale, si colloca in tal senso al centro del varco tracciato dalle correnti principali che in questi anni hanno definito il sottogenere: prima fra tutte quella della Blumhouse e del suo doppelgänger James Wan, che della ghost story rappresentano i maggiori imprenditori attuali. La factory di Jason Blum, che nella creazione a getto continuo di boogeymen analogici ha realizzato la vera prosecuzione del monster movie anni Ottanta (e Cinquanta, e Trenta…) è in particolare responsabile di quella che appare come la definitiva incarnazione odierna dell’archetipo: demoni e spiriti in ogni forma e colore, design accattivante, aggressivi e fin troppo presenti. Del resto sono proprio la Presenza e sua relativa manifestazione la questione su cui divergono le varie letture date al fantasma cinematografico. E se nell’universo di Insidious (2011) e L’evocazione. The Conjuring (2013) l’esistenza dello spettro è assodata, percepita come un trucco in bella vista, i personaggi di Flanagan combattono costantemente con l’angoscia del dubbio. Tormento alimentato dall’autore stesso, che taglia, sfoca, mistifica l’apparizione. Un sottrarsi alla luce che rende l’interpretazione del regista infinitamente più interessante tanto dell’orgogliosamente superficiale modus operandi Blumhouse quanto della sua discussa fazione opposta: quel post-horror (o elevated horror, o indie-horror che dir si voglia) che infiammò i cinefili tra il 2014 e il 2018 imponendosi come grande alternativa “autoriale” alle declinazioni più popolari del tema. Una scena tanto florida quanto difficilmente assimilabile al resto della produzione de paura: l’acclamatissima proposta di David Robert Mitchell, Jennifer Kent o Ari Aster identifica infatti nello spettro non un soggetto attivo, ma un’entità essenzialmente poetica, funzionale all’espressione allegorica di un tema. Integrato nel rigido discorso simbolico di character studies in fondo convenzionali, il vuoto che il fantasma rappresenta scompare – annullando la centralità della creatura in sé.
Questa stessa rinnovata centralità del soggetto-Spettro è però il cuore dell’ossessione odierna nei suoi confronti. Mettendo in discussione la percezione sensoriale del protagonista, questo cinema obbliga i suoi personaggi a una riconsiderazione della loro identità, del loro senso di Io, e dunque del loro rapporto con il mondo. Da Stephen T. Asma a Eugene Thacker, in molti hanno definito l’orrore del soprannaturale come il rifiuto di fronte a una possibilità non-umana di esistenza. Rifacendoci alla terminologia derridiana, sembra che la storia di fantasmi oggi stia cercando nell’immagine audiovisiva una sintesi tra l’angoscia del revenant (il rimosso che ritorna) e quella del ghost (l’apparizione di ciò che è Altro); lontano dalle cornici gotiche della letteratura classica, il fantasma contemporaneo si palesa tra i led dei dispositivi elettronici casalinghi annunciando la presenza di un nuovo reale – indipendente dai, persino indifferente ai, personaggi umani. Visione che, ancor più che di maestri come Ramsey Campbell o Thomas Ligotti, è propria di Stephen King – del quale Flanagan è oggi il principale referente filmico.
È per questo che nelle ghost stories di Flanagan gli spiriti rispettano la propria caratteristica decisiva: non sono lì. Fuori fuoco e fuori campo, non ci sono, né si vedono: persino le loro più sfrontate apparizioni non sembrano dirimere il sospetto. Il suo cinema sfida le percezioni del protagonista-spettatore in maniera essenzialmente tecnica, mai metaforica. Scardina la dimensione spazio-temporale umana e ne impone attraverso il cinema una nuova: liquida, digitale, in cui presenti molteplici sembrano convergere. Il piano sequenza (gesto su cui l’autore ritorna costantemente) viene deviato contro sé stesso: non solo il long take non riesce più ad abbattere le barriere tra rappresentazione e reale, ma nel flusso visuale senza montaggio è la nostra stessa concezione di verità ad apparirci artefatta, illusoria. Non dal fantastico muovono i presupposti narrativi di questo cinema (come è invece il caso nella più lovecraftiana letteratura new weird) ma dalla realtà – la nostra. È l’avvento dello spettro a imporle dimensioni spaziotemporali nuove: nel sesto episodio di Hill House, capolavoro di decostruzione, il flashback e il flashforward convergono nella stessa sequenza (come avveniva in Oculus, che già nel 2013 trovava nella tecnologia lo strumento di dialogo con le presenze assassine, svelando la via per il superamento della materia).
«Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà»: l’incipit di Shirley Jackson attraversa il tempo come indicazione di un’immanenza dell’invisibile che apre alla trascendenza pura, lì in quella casa stregata di Hill House, Loggia Nera del nuovo secolo dove ciò che non è si mischia a ciò che non è stato – e i fantasmi di ogni vita passata e presente rivelano un Oltre dagli accenti quasi cristiani.
È stato scritto a più riprese della componente desiderante insita nella contemplazione dell’orrore, dell’attrazione per quell’alterità che suggerisca un passo successivo, che spezzi la catena dei significati aprendo lo spazio al nuovo. Apparsi all’inizio del millennio come un rimosso strisciante nel rumore bianco del digitale, gli Spettri delle nostre vite sono quelli delle identità volatili, di un’umanità riscopertasi fragile, sul punto di “perdere la propria presenza” e dissolversi nella nebbia dell’informazione. Ma in una prospettiva pressoché cosmica quelle stesse vibrazioni che vent’anni fa nutrivano incubi anticipano oggi la possibilità di nuove vite. Gli haunting, è stato scritto, ci legano a un passato che non è stato: nostalgia e dolore non ne sono esclusi. Forse l’aldilà annunciato dagli spettri di questi anni non pretende più di ricongiungerci a ciò che si è perso, ma di indicare nuovi presenti alternativi.

[Vai all'indice]

Scarica il pdf

Ultime uscite

François Ozon

François Ozon

Inland n. 2/2016
Il secondo numero di INLAND è il primo volume dedicato in Italia a François Ozon. Regista tra i generi, firma sfuggente all’etichetta d’autore, nei suoi film Ozon fa riverberare echi [...]
Fiume Diciannove - Il Fuoco sacro della Città di Vita
1919-2019. Un secolo fa Gabriele d’Annunzio entrava in Fiume d’Italia, dando vita a quella che sarebbe stata una rivoluzione durata cinquecento giorni. Un’atmosfera febbricitante e festosa, ma anzitutto sacra, qui [...]
Aldo Lado

Aldo Lado

Inland n. 9/2019
Quello che stringete tra le mani è il numero più complesso, stratificato, polisemantico del nostro – vostro – INLAND. Quaderni di cinema. Lo è innanzitutto grazie al parco autori, mai [...]
Dylan Dog - Nostro orrore quotidiano
Detective dell’Occulto, Indagatore dell’Incubo, Esploratore di Pluriversi: come definire altrimenti Dylan Dog, dal 1986 residente al n. 7 della londinese Craven Road? Le sue avventure – che affrontano tutti gli [...]
Dino Buzzati - Nostro fantastico quotidiano
Vi sono autori, come disse una volta Conan Doyle, che «hanno varcato una porta magica». Tra questi spicca Dino Buzzati, che ha condotto il fantastico nel cuore pulsante della materia. [...]
William Lustig

William Lustig

Inland n. 13/2020
Gennaio 2015, riunone di redazione: si discute a proposito della nascita di INLAND. Quaderni di cinema. A chi dedicare i primi tre numeri? Idee tante, unanimità poca. Restano quattro progetti, [...]
Jorge Luis Borges - Il Bibliotecario di Babele
Jorge Luis Borges è un autore oceanico, un crocevia di esperienze, storie, civiltà e piani dell’essere, un caleido­scopio nel quale il passato si fa futuro e il futuro si rispecchia [...]
Rote Armee Fraktion

Rote Armee Fraktion

Inland n. 18/2024
GRATUITO PER I NOSTRI LETTORI UN ESTRATTO DELLA COPIA DIGITALE DI QUESTO NUOVO INLAND E ALCUNI TESTI DA LEGGERE ONLINE Due anni fa, nel concepire il nuovo corso di INLAND, con [...]
Antonio Bido

Antonio Bido

Inland n. 11/2019
Girata la boa del decimo numero, INLAND. Quaderni di cinema compie altri due significativi passi in avanti. Innanzitutto ottiene il passaporto. A rilasciarlo è stato il Paradies Film Festival di Jena [...]
Carlo & Enrico Vanzina

Carlo & Enrico Vanzina

Inland n. 7/2018
INLAND. Quaderni di cinema numero #7 nasce nell’ormai lontano dicembre 2017, in un bar di Milano dove, di fronte al sottoscritto, siede Rocco Moccagatta, firma di punta di tutto quel [...]
Lav Diaz

Lav Diaz

Inland n. 3/2017
È da tempo che noi di INLAND pensiamo a una monografia dedicata a Lav Diaz. Doveva essere il numero #1, l’avevamo poi annunciato come #2, l’abbiamo rimandato in entrambe le [...]
Mike Flanagan

Mike Flanagan

Inland n. 16/2023
Lo specchio è un simbolo polisemantico. Investe la sfera delle apparenze, ma anche quella dei significa(n)ti. Chiama in causa l’estetica, la filosofia e, insieme, la psichiatria. È l’uno che contiene [...]
Manetti Bros.

Manetti Bros.

Inland n. 14/2022
Febbraio 2020. Inland. Quaderni di cinema numero #13 va in stampa con una nuova veste. Brossura, dorso rigido, grammatura della copertina aumentata. Il numero è dedicato a William Lustig, alfiere [...]
Lune d'Acciaio - I miti della fantascienza
Considerata da un punto di vista non solo letterario, la fantascienza può assumere oggi la funzione un tempo ricoperta dai miti. I viaggi nello spazio profondo, le avventure in galassie [...]
Rob Zombie

Rob Zombie

Inland n. 1/2015
Con la parola inland si intende letteralmente ciò che è all’interno. Nel suo capolavoro INLAND EMPIRE, David Lynch ha esteso la semantica terminologica a una dimensione più concettuale, espansa e [...]
Pupi Avati

Pupi Avati

Inland n. 10/2019
Numero #10. Stiamo diventando grandi. Era da tempo che pensavamo a come festeggiare adeguatamente questa ricorrenza tonda, questo traguardo tagliato in un crescendo di sperimentazioni editoriali, collaborazioni, pubblicazioni sempre più [...]
Philip K. Dick - Lui è vivo, noi siamo morti
Celebrato in film, fumetti e serie tv, Philip K. Dick ha stregato gli ultimi decenni del XX secolo. Ma il suo immaginario era talmente prodigioso che, a furia di sondare [...]
Sergio Martino

Sergio Martino

Inland n. 5/2017
Giunto al quinto numero, INLAND. Quaderni di cinema affronta uno snodo cruciale, fatto di significative ed emblematiche svolte che segnano uno scarto, un’apertura rispetto alla precedente linea editoriale. Innanzitutto la scelta del [...]
Carlo Verdone

Carlo Verdone

Inland n. 12/2019
"Vi ho chiesto di mettere la mia moto Honda Nighthawk in copertina perché su quella moto c'è passato il cinema italiano. Su quella moto io sono andato e tornato da [...]
Rob Zombie Reloaded

Rob Zombie Reloaded

Inland n. 8/2019
Giunto all’ottavo fascicolo, INLAND. Quaderni di cinema riavvolge per un attimo la pellicola della sua breve ma significativa storia, tornando a percorrere i passi compiuti nel 2015 quando aveva aperto [...]
America! America? - Sguardi sull'Impero antimoderno
L’impero statunitense ha sempre generato nella cultura italiana reazioni contrastanti, che spaziano da un’esaltazione semi-isterica a una condanna a priori, altrettanto paranoica. Sembra sia pressoché impossibile, per chi si confronta [...]
Dario Argento

Dario Argento

Inland n. 15/2022
Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che [...]
Walt Disney - Il mago di Hollywood
«Credo che dopo una tempesta venga l’arcobaleno: che la tempesta sia il prezzo dell’arcobaleno. La gente ha bisogno dell’arcobaleno e ne ho bisogno anch’io, e perciò glielo do». Solo un [...]
4-4-2 - Calciatori, tifosi, uomini
Nel calcio s’intrecciano oggi le linee di forza del nostro tempo; talvolta vi si palesano le sue fratture, i suoi non-detti. Ecco perché il quattordicesimo fascicolo di «Antarès» è dedicato [...]
Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn

Inland n. 4/2017
Perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no, è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche [...]
Michele Soavi

Michele Soavi

Inland n. 6/2018
Il nuovo corso di INLAND. Quaderni di cinema, inaugurato dal numero #5, dedicato a Sergio Martino, è contraddistinto da aperture al cinema italiano, al passato, a trattazioni che possano anche [...]

Ultimi post dal blog

Lo psicopatico Alex De Large (Arancia meccanica, 1971), i compositori Franz Liszt (Lisztomania, 1975) e Wolfgang Amadeus Mozart (Amadeus, 1984), l’attore Wilbur (Fitzcarraldo, 1982), Iago nell’Otello (mai realizzato) di Roman Polański e persino Lucifero stesso (Lucifer Rising, 1972). Sono alcuni dei ruoli che Mick Jagger avrebbe voluto o dovuto interpretare sul grande schermo. Occasioni perdute che, nel saggio di Alberto Pallotta Le labbra sulla celluloide. MickJagger e il cinema (Fotogrammi Bietti, 106 pp., € 4,99), contano tanto quanto le parti effettivamente recitate per raccontare il bizzarro rapporto fra la Settima arte e il leader dei Rolling Stones, tanto influente nell’immaginario cinefilo quanto [...]
Quali sono le idee o le tesi principali che sostieni nel libro? Prendendo in considerazione oltre 200 film e 85 opere letterarie, e accumulando trame, battute di sceneggiatura, stralci di romanzi o verbali della polizia, resoconti psicanalitici, dichiarazioni di giudici e commissari (veri e finzionali) ho assemblato un tomo definitivo e caleidoscopico sulla Storia del nostro Paese, così come si è originato da una “scena primaria” felice e insidiosa: il boom del benessere ha creato mostri che ancora imperversano. Il cinema criminale consente libero accesso al subconscio della realtà, dà visibilità alla Storia mediata dal filtro della rappresentazione e rilegge modelli [...]