
Quando uno dice Antonio Bido pensa subito ai suoi film gialli. Forse, però, Bido è prima di tutto un altro tipo di regista: un autore di film d’azione, che ha instaurato un rapporto duraturo e senza precedenti con le Forze Armate. La sua filmografia, così parca di lungometraggi, è ricca di opere realizzate per documentare la storia e le operazioni militari italiane. I suoi lavori sono tutt’altro che convenzionali reportage: sconfinano nella finzionalizzazione, con fatti reali che vengono parzialmente romanzati dalla sua penna e dal suo stile visivo. Una produzione di circa cento titoli, che arriva alla metà degli anni Dieci del nuovo millennio e meriterebbe, prima o poi, di essere approfondita.
In questo senso, più dello stravagante Mak Π 100 (1988), si può provocatoriamente sostenere che sia Blue Tornado (1991) il film chiave di Bido, il vertice e il nadir cinematografico di questo legame di valorizzazione reciproca: il mondo militare come simbolo di valori assoluti e come strumento messo tra le mani del regista per realizzare il suo film più ambizioso e spettacolare.
L’inizio di Blue Tornado e tutte le scene che coinvolgono gli F104 sono il manifesto dell’estetica di Bido: da una parte vi è l’attenzione al dettaglio – ben rappresentata dalla descrizione quasi ritualistica delle operazioni di volo – e dall’altra la propensione al racconto visivo, con ricchezza di inquadrature mai superflue. Ma a emergere è soprattutto la padronanza del ritmo, con una perfetta alternanza tra momenti frenetici – con inquadrature della durata media di massimo due secondi, pratica assolutamente atipica per il cinema italiano dell’epoca – e narrazioni che indugiano sullerelazioni tra i personaggi.
Bido incontra il produttore Giovanni Di Clemente durante la realizzazione di Aquile, la serie televisiva diretta da Ninì Salerno di cui il regista padovano cura la seconda unità. Quella diventa l’occasione per presentare al produttore un soggetto, Blue Wings, scritto con Marisa Andalò e Lucio Petrone: la vicenda è incentrata sulla preparazione di un attacco aereo a Roma, a San Pietro, in una sorta di incredibile anticipazione degli eventi terroristici dell’11 settembre 2001. Bido, forte del suo rapporto privilegiato, è sicuro del contributo al film dell’Aeronautica Militare. Ma i vertici del momento sono dubbiosi riguardo al tema terroristico e si decide, dunque, di virare sullo sbocco fantascientifico.
Blue Tornadoprende così la sua forma definitiva. Di Clemente, grazie a un accordo distributivo con una società statunitense, mette nelle mani dell’autore una produzione rara per l’epoca: sette settimane di riprese tradizionali, cui se ne aggiungono quattro-cinque per quelle aeree e in studio. Il cast è internazionale, il budget oscilla tra i due e tre miliardi di lire, con 400 milioni investiti solo per i modelli degli aerei lunghi circa tre metri.
Blue Tornadoha un altro merito evidente: quello di essere un film che annusa l’aria del periodo in cui viene realizzato, anticipando o correndo in parallelo a produzioni più ricche e blasonate. Aeronautica Militare, ufo e poteri forti che tentano di insabbiare la manifestazione dell’alieno sono elementi presenti in I segreti di TwinPeaks (che è del 1990, ma è stato trasmesso in Italia nel 1991, anno dell’uscita di Blue Tornado) e nel futuro X-Files.
La commistione tra fascinazione aviatoria e sovrannaturale rende Blue Tornadouna pellicola azzardata, rara, che suscita partecipazione nonostante i suoi non pochi difetti. Perché se è vero che l’opera gode di un’ottima prima parte, nella quale anche i ritratti poco sfumati dei personaggi e le dinamiche relazionali elementari aiutano lo sviluppo narrativo invece di limitarlo, l’ultima mezz’ora risulta frettolosa, sbrigativa nel momento in cui invece dovrebbe incidere. Ed è lì che affiorano anche certi limiti evidenti di scrittura (i piloti schiantatisi della cui morte nessuno si dispiace al momento del ritorno dei sopravvissuti alla base; l’improbabile scalata alla catena montuosa effettuata dal protagonista senza alcuna attrezzatura) e di produzione (gli effetti ottici modesti) che hanno finito, all’epoca, per far liquidare il film come un epigono pauperistico di Top Gun di Tony Scott (1986) e Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg (1977). Carenze che non gli hanno permesso, nemmeno oggi, di fare emergere i tanti elementi sorprendenti. Basti vedere il modo realistico in cui sono state girate le scene negli abitacoli degli aerei, filmate a terra ma con una carlinga che permetteva movimenti a 360° della camera, con le luci che venivano spostate in sincronia rispetto ai riflessi che si sarebbero dovuti vedere sul vetro. Sono riprese, queste, che restituiscono gli urti e l’instabilità di un aereo in volo e immerso in manovre complesse.
Come racconta Bido stesso, Blue Tornado piacque molto a Lucio Fulci. Il regista romano, che a quell’epoca annaspava nella mediocrità produttiva dei vari Un gatto nel cervello (1990) eVoci dal profondo (1991), aveva probabilmente intravisto – nella padronanza con la quale sono gestite le sequenze più incalzanti e nella cura cromatica che contraddistingue le albe rosse che incorniciano i decolli e le dominanti blu che sottolineano la freddezza delle sale di controllo – quel desiderato punto di incontro tra esigenze spettacolari e pregnanza visiva.
Rimane curioso notare come il produttore e lo sceneggiatore (Gino Capone che, dopo il tramonto di Blue Wings, subentra a scrivere il film con Bido) di Blue Tornado siano gli stessi di Conquest (1983), il grande kolossal sognato da Fulci e naufragato in un film rattoppato e ignorato dal pubblico. Come se l’inizio della progressiva uscita da produzioni solide da parte di Fulci e l’impossibilità di Bido di trovare, dopo Blue Tornado, progetti all’altezza delle proprie ambizioni, avessero avuto un beffardo punto di incontro. Che non è una questione di nomi e cognomi, ma di un sistema produttivo italiano che non aveva più la forza, l’ingegno, il coraggio di sostenere un cinema degnamente commerciale e maledettamente autoriale.
Un’autorialità che, nel caso di Blue Tornado, si intravede paradossalmente anche in quel finale sottotono nella sua antispettacolarità. Bido decide di non inserire le riprese dell’astronave – realizzata in studio – che emerge finalmente sulle montagne, puntando su qualcosa di più rarefatto: nell’insperato rincontro tra i due piloti così tanto legati tra loro, questo film d’azione e di fantascienza si rivela essere il racconto di un’amicizia salvata dall’ostinazione del protagonista. Una chiusura inefficace per le logiche dell’intrattenimento di massa, ma clamorosamente sorprendente.
CAST & CREDITS
Regia: Antonio Bido; soggetto: Gino Capone, Antonio Bido; sceneggiatura: Gino Capone, Antonio Bido;fotografia: Maurizio Dell’Orco; scenografia: Mauro Passi; costumi: Ezio Altieri; montaggio: Franco Fraticelli; musiche: Elvio Moratto, Fabio Massimo Colasanti, Marco De Angelis;interpreti: Dirk Benedict (Alex Long), Ted McGinley (Philip), Patsy Kensit (Isabella), David Warner (comandante), Ann Margaret Hughes (Christina), Jeff Blynn (colonnello); produzione: Clemi Cinematografica, Titanus Produzione;origine: Italia, 1991; durata: 88’;home video: vhs MFD Home Video, dvd CDI; colonna sonora: inedita.