Introduzione
Giovanni Pincus
Se non fosse stato per le sollecitazioni della giovane redazione di «Antarès», che si è ricordata di me, scrivendomi nell’eremo di Lampedusa dove da decenni mi sono recluso, guardando il mare limpido – oggi molto diverso da allora, purtroppo –, forse non sarei uscito dall’ombra in cui mi ero volontariamente ritirato e non avrei scritto queste righe. Trentacinque anni sono trascorsi dalla prima opera che ha messo in luce l’applicazione pratica in letteratura della Teoria Generale dell’Inesistenza Reale, dovuta al professor Chandra Singh di Bombay e da me impiegata per il Necronomicon di H. P. Lovecraft, avendo io avuto l’onore di curare e introdurre l’edizione italiana del libro di George Hay, con il preziosissimo saggio introduttivo di Colin Wilson, in una collana diretta dai lungimiranti Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco per la casa editrice di Fanucci – padre – nel 1979.
Quel lavoro, che rivelò al grande pubblico il “libro maledetto”, fu un mio successo personale ma allo stesso tempo la mia disgrazia, nonostante la “neutralità” critica da me espressa nell’introduzione. Mi attirò infatti prima il malcelato biasimo dei miei oscuri colleghi dell’Università Sulcitanea, poi il loro aperto odio e boicottaggio, a livello professionale e mediatico, con una serie d’insinuazioni, maldicenze e calunnie di ogni genere che nascondevano l’invidia accademica nei miei confronti per quel vero e proprio scoop (come si suol dire oggi), che mi portò alla ribalta nazionale e internazionale. E che intralciava i piani di scalare le posizioni dell’Università dove insegnavo da parte di un gruppo di pseudo-studiosi. Ciononostante, ottenni la solidarietà del professor Singh: ma l’India è assai lontana dall’Italia!
Solo contro tutti, fui costretto al silenzio per non aggravare la mia situazione accademica. Ne approfittarono altri, questa volta nel mondo dell’editoria, anch’esso zeppo d’invidiosi, per sottrarmi l’argomento stesso che mi aveva portato al successo: il Necronomicon, appunto. Gente che, non sapendo che fare, arrivò a inventarsi un professor Venustiano Carranza, docente di paleografia semitica all’Università di Città del Messico, affibbiandogli (non sapendolo, o forse sì) il nome di un uomo politico messicano realmente vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento (1859-1920), sperando forse che nessuno ci facesse caso per la sua improbabilità. Infine, per cancellare del tutto il mio nome e il mio lavoro, pensarono bene di togliermi definitivamente di mezzo facendomi morire in un incidente aereo. Così scrissero, apertis verbis.
Era troppo, ma tacqui ancora una volta, chiudendomi nella mia dignità e ritirandomi nella mia casa sull’isola oggi tristemente nota, ben sapendo però che il Fato divino o infero – Theobaldo adiuvante – non lascia impunite certe malefatte. Mi misi così sulle rive del fiume della vita, in attesa di veder passare i corpi dei miei persecutori.
Che puntualmente giunsero nel 2001, ventidue anni dopo l’uscita del MIO Necronomicon, quando l’Autorità garante della Concorrenza del mercato (allora presieduta dal professor Giuseppe Tesauro, poi divenuto presidente della Corte Costituzionale), con il provvedimento n. 993 del 27 settembre, relatore il professor Marco D’Alberti, condannò l’editore, che purtroppo era Fanucci figlio, per il SUO Necronomicon, ritenendolo colpevole di “pubblicità ingannevole”, avendo attribuito a Lovecraft dei testi che di Lovecraft non erano, come invece era scritto, a inganno degli acquirenti, sulla copertina dei libri che presentavano versioni diverse del Necronomicon “classico” e altri testi inventati alla bisogna. Insomma, su denuncia di un lettore sentitosi turlupinato per quanto aveva letto, l’Antitrust ha sentenziato che non si può definire Lovecraft il vero “autore” degli pseudobiblia che sono stati ricostruiti dopo la sua morte e gli sono stati attribuiti in Italia (per i curiosi, si può leggere integralmente il provvedimento in questione sul sito Altalex.com).
Per cancellare la mia opera critica pionieristica e financo la mia esistenza fisica, si era attribuito al grande scrittore americano un testo diverso da quello da lui immaginato, ma mal gliene incolse. Si potrebbe dire che editore e falsi autori siano stati colpiti dalla maledizione dei Grandi Antichi, che vegliano e colpiscono inesorabilmente chi si prende gioco del Maestro di Providence – come adesso giustamente lo si definisce – e della sua progenie letteraria.
Ora, dopo tante sofferenze fisiche e psicologiche, posso dimostrare di essere ben vivo, nonostante la mia tarda età, e, pur se in pensione da parecchi anni, sono lieto di offrire il mio contributo ad «Antarès», che dedica un secondo fascicolo a quel genio ormai non più incompreso che fu Howard Phillips Lovecraft. Da quell’ormai lontano 1979 ne è passata di acqua sotto i ponti! Oggi in Italia sono pubblicate edizioni complete e corrette di tutta la sua narrativa, tutti i suoi saggi sul fantastico, parte delle sue poesie e lettere. A sufficienza per averne una visione completa, anche se ci sarebbe molto altro da fare.
Questo «Antarès», nato dalla collaborazione di altri giovani e valenti critici, fornisce materiale assai suggestivo: racconti, poesie, sogni, articoli interpretativi italiani e stranieri. Ma, soprattutto, un corposo dossier sul famoso e misterioso “viaggio in Italia” della scrittore americano, episodio controverso mai del tutto risolto. Devo dire che, dopo tanti anni d’ingiusto silenzio e patimenti psicologici, quest’occasione mi fa sentire orgoglioso di quel mio antico lavoro che fece da battistrada alla critica attuale, lavoro che condussi in solitudine, tra l’ostilità dei colleghi, che già vedevano di malocchio la mia cattedra di Paraletteratura (un omaggio al mio illustre ispiratore, Giuseppe Petronio) nell’ambito dell’Istituto di Parafilologia, tanto che si giunse ad abolirla dopo il mio pensionamento, insieme al prestigioso semestrale da me curato, l’«Archivio Internazionale di Pseudoletteratura Comparata» (ormai un pezzo d’antiquariato librario). Ma, alla fine, sono stato ripagato, anche indirettamente, dal successo planetario del Maestro di Providence.
Sul quale non posso non essere d’accordo.