Una fiaba dell’era atomica
Matteo MaculottiNella primavera del 1945 le principali città giapponesi furono devastate dai bombardamenti aerei americani. Poiché la gran parte dei bambini era stata sfollata nelle campagne, l’uscita di Momotarō: Umi no Shinpei (Momotarō: Sacred Sailors) di Mitsuyo Seo avvenne quasi in sordina. Il film animato è ricordato nella storia del cinema di animazione come il primo lungometraggio animato giapponese, e fu preceduto da un altro simile mediometraggio dello stesso Seo, Momotarō no Umiwashi (Momotarō’s Sea Eagles, 1943), incentrato sull’attacco di Pearl Harbor. Un’altra importante fonte d’ispirazione per gli animatori giapponesi dell’epoca, compreso lo stesso Seo, fu il lungometraggio animato cinese Tiě shàn gōngzhǔ (Princess Iron Fan, 1941), realizzato dai fratelli Guchan e Laiming Wan durante l’occupazione giapponese di Shanghai e proiettato in Giappone nel 1942.
Per un singolo spettatore, tuttavia, la proiezione di Momotarō: Umi no Shinpei nel teatro Shochikuza di Osaka, miracolosamente risparmiato dagli incendi, rappresentò un evento fatale. Il “dio del manga” Osamu Tezuka era allora uno studente sedicenne e, di fronte all’atmosfera commossa che in molte scene della pellicola accompagna il richiamo patriottico alla struggente speranza di un futuro migliore, sentì crescere in sé il desiderio di realizzare un cartone animato altrettanto emozionante.
La fiaba tradizionale di Momotarō racconta di un bambino nato da una grande pesca, trovato in un ruscello e allevato da una coppia di anziani senza figli; una volta cresciuto, parte in missione con un cane, una scimmia e un fagiano per affrontare una banda di demoni. Nel cartone di Seo, allo stesso modo, i giovani soldati giapponesi al seguito di Momotarō, disegnati come animali dalle fattezze infantili, lasciano le proprie famiglie e si imbarcano a bordo di navi e aerei militari per combattere un nemico lontano, in una guerra le cui origini risalgono all’inganno di un ambasciatore straniero che dopo essersi finto un mercante, tempo prima, aveva smascherato a colpi di cannone la sua natura di pirata.
Un altro ambasciatore, chiamato Atom, il robot bambino creato da Osamu Tezuka, che in America sarebbe diventato celebre col nome di Astro Boy, fece invece la sua prima comparsa come personaggio comprimario nella breve serie a fumetti Atomu Taishi (Ambassador Atom, 1951-1952), dove viene inviato nello spazio dai terrestri per risolvere una controversia con gli abitanti di un pianeta gemello. In una scena che evidenzia molto bene la strana commistione di meccanicità e umanità caratteristica di questo prototipo ancora embrionale dell’Atom che verrà – ma anche la maestria con cui Tezuka riesce a divertire e a far riflettere allo stesso tempo –, il piccolo robot si svita la testa per cederla ai rappresentanti alieni come garanzia della sua buona fede, propiziando così un accordo di pace altrimenti impossibile.
L’inferno di Hiroshima e Nagasaki, la definitiva resa del Giappone e l’occupazione del Paese da parte delle truppe americane, negli anni che divisero le finzioni speculari di questi due ambasciatori, avevano reso ancora più urgente il compito di preservare una speranza nel futuro da tramandare alle nuove generazioni. In quei primi anni del dopoguerra, finito il tempo della spada e della propaganda, la matita del giovane Tezuka aveva gettato le basi del fumetto giapponese moderno: proprio con Atom cominciò a delineare la figura che più di ogni altra, nei decenni a venire, avrebbe impersonato nell’immaginario infantile e collettivo lo spirito di una nuova epoca.
La nascita di Atom ricorda quelle miracolose di Momotarō, della principessa Kaguya e di Pinocchio, cresciuti tutti quanti da anziani senza figli, per i quali i bambini rappresentano un dono inatteso, e come nel caso della creatura del dottor Frankenstein avviene grazie a un prodigio scientifico. All’immagine del mostro, che nel romanzo di Mary Shelley esprime la paura dell’uomo nei confronti di uno sviluppo tecnologico capace di ridefinire i confini tra il mondo della materia e quello dello spirito, il genio di Tezuka sostituisce però una figura dai tratti umani, la cui disarmante cuteness la pone addirittura agli antipodi rispetto ai robot malvagi che nei racconti di Unno Jūza, il padre della fantascienza giapponese, evocavano tipicamente il potere militare e le minacce delle nazioni straniere.
Nella serie manga che lo rese celeberrimo in Giappone, Tetsuwan Atomu (Mighty Atom, 1952-1968), Atom non è più raffigurato come un semplice automa meccanico che si muove a scatti, ma come un bambino in grado di provare emozioni e dotato di una coscienza, oltre che dell’ingenuità tipicamente infantile e di un’intelligenza e una forza fuori dal comune. La sua nascita avviene nel futuro, il 7 aprile 2003, in un Giappone tecnologicamente avanzato dove i robot convivono con gli esseri umani, e rinnova un’idea che per Tezuka, quando nell’estate del 1950 cominciò a pensare al progetto, coincideva con l’immagine di un continente in cui l’energia atomica non fosse più utilizzata come un’arma di distruzione di massa, bensì per scopi benefici.
Questi pochi dettagli sono sufficienti per riconoscere in Atom la fisionomia di un moderno eroe solare, portatore di una nuova fiducia nel progresso come veicolo di pace e solidarietà. Permettono anche di notare che il suo universo futuristico, soprattutto se paragonato alla vita quotidiana di un bambino giapponese dell’epoca, possiede molti tratti tipici dell’utopia. Le storie di Atom non sono però prive di ombre, ma rivelano una visione complessa e problematica della realtà, all’interno della quale il tema dell’innovazione scientifica e tecnologica si intreccia a riflessioni cruciali sulla natura umana, sul ruolo dell’uomo nel mondo e sul senso della vita e della sua fine.
L’episodio iniziale della prima serie televisiva di Tetsuwan Atomu (in inglese Astro Boy, 1963-1966) – con la quale nacque ufficialmente l’industria dell’animazione giapponese e l’opera di Tezuka sbarcò negli Stati Uniti – si apre con la tragica morte in un incidente stradale di Tobio, un bambino figlio del ministro della Scienza Tenma. L’intera mitologia della serie non può prescindere da questo trauma originario, da cui derivano l’ossessione che spinge Tenma a creare un robot con le sembianze del figlio perduto, la sinistra somiglianza del risveglio di Atom a una lugubre resurrezione e – drammatico epilogo – l’abbandono di quest’ultimo, accusato di essere incapace di crescere come un bambino normale.
Venduto come attrazione a un circo, Atom viene poi preso in affido dal Professor Ochanomizu, il nuovo ministro della Scienza che, accettando di fabbricargli una mamma e un papà robotici (ai quali si aggiungeranno un fratellino e una sorellina), innesca il paradosso di un bambino nato prima dei suoi genitori. La situazione si presta a numerose scene umoristiche, e d’altra parte l’affetto di Atom per una famiglia che è in tutto e per tutto una parodia, creata per sanare il dolore del precedente abbandono, non deve far dimenticare che il piccolo eroe rimane fondamentalmente un orfano, e in quanto tale rappresenta una generazione di superstiti chiamati a ricostruire un mondo in macerie.
Come nelle antiche fiabe popolate di bambini perduti, orchi e matrigne, nella maggior parte delle sue avventure Atom è costretto ad allontanarsi da casa per affrontare da solo un problema il più delle volte incarnato da un gigantesco nemico, che in ultima analisi interroga sempre l’animo umano, in particolare circa le motivazioni che inducono a compiere il male. La lotta di Davide contro Golia non riguarda qui tanto la forza e l’astuzia, quanto un conflitto interiore che assume spesso la forma di un dilemma etico, la cui portata è irriducibile a un semplice confronto tra potenze rivali.
Negli anni della Guerra Fredda e dell’incubo di un’imminente escalation nucleare, per la prima volta nella storia dell’uomo, la sopravvivenza stessa del pianeta sembrò in serio pericolo: la Terra cominciò di conseguenza a essere considerata come un bene prezioso da non dare per scontato, ma di cui avere massima cura. Nella sua ultima avventura, che il 31 dicembre 1966 segnò la sconvolgente fine della prima serie animata, per salvare il pianeta da un terribile surriscaldamento Atom vola verso il Sole guidando una bomba nucleare in grado di raffreddarlo, consapevole di sacrificare la propria vita per quelle altrui. L’immagine della Terra vista dallo spazio, poco prima dell’impatto, gli appare nel silenzio del cosmo in tutta la sua fragile bellezza, come una totalità per la quale ogni divisione sembra perdere senso.
Parlando dei bambini che in futuro nasceranno nelle stazioni spaziali o sulla Luna, in uno dei suoi discorsi rivolti ai cittadini del XXI secolo, Tezuka confessò di riporre in loro una grande speranza, perché «fin dal momento della loro nascita percepiranno la piccolezza dell’umanità nell’universo, e la necessità di unire le loro forze e di cooperare per sopravvivere», suggerendo in questo modo che nella sua mente, oltre al compagno di milioni di bambini dell’epoca atomica e spaziale nel loro viaggio verso il futuro, Atom è stato anche il precursore di un mondo a venire. «Questi bambini saranno inoltre capaci di sentire in fondo ai loro cuori che l’umanità non è una forma di vita superiore alle altre, e che tutti gli animali, le piante e gli esseri umani, sulla Terra che guarderanno dallo spazio, sono altrettanto importanti, perché in ogni creatura che trascorre al meglio la propria esistenza e genera discendenti si perpetua il ciclo della vita».
Bibliografia essenziale
Andrea Fontana, La bomba e l’onda: storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Edizioni Bietti, Milano 2013.
Alicia Gibson, Out of Death, an Atomic Consecration to Life: Astro Boy and Hiroshima’s Long Shadow, in «Mechademia», 8, 2013.
Hikari Hori, Promiscuous Media: Film and Visual Culture in Imperial Japan, 1926-1945, Cornell University Press, Ithaca 2017.
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Osamu Tezuka, Garasu no chikyū wo sukue: 21 seiki no kimitaichi e (Save Mother Earth: To the Youth of the Twenty-First Century), Kōbunsha, Tokyo 1989.
Tezuka Productions, Toshio Ban, Osamu Tezuka. Una biografia manga, 4 voll., Coconino, Bologna 2000-2001 (ed. originale: Tezuka Osamu Monogatari, Asahi Shimbunsha, Tokyo 1992).