I volti femminili della Tenebra
Piervittorio Formichetti
Non ricordo quando “incontrai” per la prima volta «Dylan Dog». Sicuramente ne sfogliai qualche pagina verso la fine della scuola media, ma solo intorno ai sedici anni, ad esempio, scoprii che dell’Indagatore dell’incubo esistevano anche storie a colori (nonché diari scolastici che le riproducevano).
Gli episodi della lunga e fortunata serie ideata da Tiziano Sclavi sono analizzabili da molteplici prospettive, tutte interessanti, segno della ricchezza culturale che gli autori hanno saputo infondervi. Una di esse è costituita dalle donne coinvolte nelle indagini di Dylan: la sua ex compagna irlandese Lillie Connolly, presunta terrorista dell’IRA, le amanti occasionali (Bianca, Claire, Jane, Marsha, Nanami, Petulia e chissà quante altre), le revenantes in forma di fantasmi, zombie o vampiri(1)… Due storie, però, evidenziano come le donne incontrate da Dylan possano essere sia vittime innocenti, sia sanguinarie carnefici, e talvolta entrambe le cose, oscillando tra quei due estremi ben noti alle mitologie, alla psicoanalisi e al folklore: nell’induismo, il Femminile è Sāti, la Sposa, e Pārvati, la Terra materna, ma anche Kālī la Scura e Durgā l’Inaccessibile(2). «Donna Luna: oggi chiara, domani bruna», dice un proverbio sui repentini cambi di umore attribuiti alle donne. La Luna è una, ma nell’antica Grecia ha tre volti divini: Selene, luminosa e «dalle candide braccia»; Artemide, di cui riproduce l’arco nelle fasi crescente e calante; Ecate, patrona delle maghe e dei trivi dove s’incontrano (Ecate Triodites o Trivia)(3).
Nella storia “dylaniata” I sei corvi(4), Isabel Turner, giovane bruna di «selvaggia bellezza», domestica presso la Torre di Londra, viene violentata, uccisa e sepolta nel giardino adiacente da sei Yeoman, i caratteristici guardiani in divisa rossa detti anche Beefeaters, i quali – dice la leggenda –, se cessassero di nutrire i corvi del giardino, causerebbero il crollo della Torre, e con essa della monarchia britannica. “Sei corvi” è il soprannome dato ai sei Yeoman dai colleghi per via della loro stretta amicizia, ma ciò che davvero li unisce è questo tremendo segreto. Vengono uccisi, uno dopo l’altro, da un essere con il corpo androgino e con la testa e le ali di corvo. Il mostro si rivelerà una reincarnazione temporanea di Isabel, che si vendica in modo cruento: ghermisce gli uomini e – come si dice facciano i corvi sui cadaveri – col becco strappa loro gli occhi, divorandone poi il cervello. È facile pensare al celebre film di Hitchcock Gli uccelli (basato sul racconto di Daphne Du Maurier), e un legame col cinema in effetti c’è: nel film Ladyhawke (R. Donner, 1985) la donna interpretata da Michelle Pfeiffer si chiama Isabeau e, vittima del sortilegio di un perfido vescovo, si trasforma in falco.
I sei corvi include anche una parodia della famosa poesia The raven di Edgar Allan Poe. Una parodia della stessa opera si trova pure in un episodio de I Simpson, con Homer nel ruolo dell’amante della defunta Leonora. In un altro episodio della serie animata di Matt Groening, il bigotto Ned Flanders si entusiasma in modo isterico vedendo che la sua potenziale nuova casa è arredata con tende viola scuro; ebbene, ne I sei corvi, lo Yeoman vedovo della parodia ha in casa tende color porpora, come quelle de Il corvo, e si chiama proprio Ned. Che l’autore del fumetto, Bruno Enna, avesse presente anche la versione “simpsoniana”? Che avesse voluto mandare a certi “uomini” lo stesso messaggio del Corvo di Poe: nevermore, mai più?
Il mostro umano-corvino strappa con il becco gli occhi ai suoi assassini e penetra le loro orbite. È stato notato, evidentemente fin dalla preistoria, che l’occhio umano può somigliare alla vulva. Esiste «un indovinello-barzelletta rimasto nel folklore francese: “Qual è quella cosa umida, con la forma di una barca, col pelo intorno? È l’occhio!”. […] L’occhio sostituisce la vulva. Nelle incisioni del Magdaleniano si hanno tutti i passaggi che dimostrano come l’immagine di un occhio sia stata a poco a poco sostituita nel rituale a quella della vulva. Nella mitologia indiana un dio ebbe, per maledizione, il corpo ricoperto di vulve. Successivamente, queste vulve furono trasformate in altrettanti occhi»(5). In modo analogo, secondo la psicanalisi, sognare di «avere qualcosa conficcato nell’occhio corrisponde simbolicamente al coito»(6). La vendetta di Isabel è dunque un sanguinoso contrappasso. Anche il suo cognome, Turner, anagramma di return, allude al ritorno: ciò che le è stato fatto ora torna sui colpevoli tramite lei stessa. Il “branco” ha ottenebrato la sua vita e poi gliel’ha tolta; lei, prima di ucciderli, toglie loro la vista: li getta nelle tenebre. La sua azione è crudele, ma nasce da una sofferenza intima. Isabel è dunque una vittima che diventa carnefice a causa della crudeltà altrui.
Diverso è il caso della protagonista negativa de La strega di Brentford (n. 194), probabilmente una delle storie più “femminili” di «Dylan Dog». Quasi tutti i potenziali assassini sono donne: Deanna, moglie di Russell Dyxon, uno dei tre ricercatori scomparsi nel bosco di Brentford, dove gli abitanti della cittadina credono agisca da più di due secoli la strega Sybil Warwick; Jennifer, madre di Albert Crowe, il secondo ricercatore(7); Roxanne Manning, sorella della terza ricercatrice del gruppo, Susan. La strega di Brentford è ispirato a The Blair Witch Project (D. Myrick e E. Sánchez, 1999): ciò viene esplicitato nell’anteprima, ma il titolo del film è citato anche all’interno della vicenda; nel corso della lettura, tuttavia, emerge anche la presenza di Profondo Rosso. Del capolavoro di Dario Argento(8) vengono ripresi l’occhio che osserva nascosto nel buio e la mano che indossa il guanto di pelle; Dylan Dog, infine, guardando il filmato dei tre studiosi scomparsi, cita la frase chiave di Marc Daly: «Ho avuto la sensazione che mi fosse passato davanti agli occhi un flash, qualcosa d’importante, che non sono riuscito a mettere a fuoco… un particolare importante che non riesce a saltar fuori dal buio».
Salterà fuori a poche pagine dalla fine: le sorelle Manning sono in realtà una sola persona, Susan, che ha ucciso Russell e Albert e, per sfuggire alla legge, ha assunto le sembianze della sorellastra Roxanne, residente negli USA e dispersa un anno prima in una regata sull’oceano. Da bionda con gli occhi chiari, Susan diventa una bruna con gli occhi scuri e i capelli corti, quasi come la Luna calante, che si fa sempre più oscura e nascosta. Dylan intuisce l’inganno grazie a due vere sorelle: Ellen e Debra Leibnitz, recluse da anni nel manicomio di Brentford. Dopo sessant’anni di mutismo post-traumatico, avendo incontrato da bambine la Strega nel famigerato bosco, una delle due (Ellen) parla e dice a Dylan una frase oscura: «La tenebra ha tanti volti, ma i suoi lineamenti sono sempre gli stessi… bisogna saperli riconoscere!». Anche Susan è una donna dalla mente instabile: «Le streghe esistono» dice la studiosa ai due colleghi, poco prima di ammazzarli, «da tante notti le sento urlare nella mia mente!». Oltre che dalle loro voci, Susan è ossessionata (forse anche in senso erotico) da un volto che ha lineamenti simili ai suoi: è quello di Roxanne, «la donna che avevo sempre sognato di essere, moderna, spregiudicata, disposta a tutto… e con due occhi così scuri che ti ci perdevi dentro».
Anche in Susan, dunque, crudeltà e sofferenza spirituale s’intrecciano: «Io uccido, quindi esisto!» grida, cercando di colpire Dylan, dopo aver ammesso la propria colpevolezza; quando la sua furia si esaurisce, tuttavia, dice tra le lacrime: «Io esisto… ma non so più chi sono». Analogamente, l’assassina di Profondo Rosso, Marta – il cui nome somiglia, non a caso, a “morte” – è una schizofrenica paranoica, che non sa più chi è ma, a differenza di Susan, crede di saperlo, identificandosi con le dive di cui ha appeso le fotografie nel salotto. In entrambe, la tenebra che oscura la loro mente nasce nei meandri dell’anima: il loro caso è quindi più angosciante di quello di Isabel Turner.
Ebbene, «Dylan Dog» ci ricorda che in ogni persona c’è un po’ di quella tenebra, abitata da incubi che talvolta prendono corpo nelle azioni umane; e Tiziano Sclavi ci rammenta che uno dei modi con cui l’essere umano, da sempre, estrinseca i propri incubi per non esserne sopraffatto è l’arte. Nel suo caso, di meritatissimo successo.
- Il tema è affrontato brevemente da Federico Fiecconi e Marco De Rosa in Dylan e la donna (in appendice a Spettri, «Dylan Dog» fuori serie allegato a «Max», n. 2, febbraio 1993), che a loro volta rimandano a Gianni Brunoro, Claudio Dell’Orso e Antonio Vianovi (a cura di), Io, Dylan Dog e le donne, Glamour, Milano 1990.
- Cfr. Pio Filippani-Ronconi, L’Induismo, Newton & Compton, Roma 1994, pp. 71-75; Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle Sorgenti, Jaca Book, Milano 1978, pp. 20-21.
- Su questa tematica cfr. Marina Cepeda Fuentes, Le tre facce della Luna. Modelli e archetipi della donna attraverso i secoli, Camunia, Firenze 1996.
- Inserita in «Maxi Dylan Dog», n. 12, luglio 2009 (numero che contiene: Le morti bianche, I sei corvi e Oggetti smarriti).
- Ugo Plez, La preistoria che vive, Mondadori, Milano 1992, p. 267.
- Laura Tuan, Il grande dizionario dei sogni, De Vecchi-Euroclub, Milano 1995, p. 248. Al liceo, una mia compagna che scherzava sul sesso in modo un po’ ossessivo un giorno raccontò di aver sognato di infilarsi negli occhi due puntine da disegno. Per coincidenza, si chiamava Isabelle.
- Il nome di uno dei due personaggi e il cognome dell’altro compongono, non a caso, il nome dell’attore Russell Crowe.
- È interessante l’interpretazione “onirica” che ne dà Simōne Gall nel saggio Costrutti onirici e menti perverse. Un occhio deferente su Profondo Rosso, uscito su «Ereticamente» nell’aprile 2018.