Orizzonti culturali italo-romeni: «Salazar e la rivoluzione in Portogallo»
Mircea Eliade
A 71 anni dalla sua pubblicazione in Romania, il libro di Mircea Eliade Salazar e la rivoluzione in Portogallo approda anche in Italia, stampato dalla casa editrice Bietti di Milano, nella collana l’Archeometro. Oltre al testo di Mircea Eliade – per la prima volta tradotto in italiano – il volume contiene due saggi critici, firmati da Sorin Alexandrescu e da Horia Corneliu Cicortaş. Sarà presentato in anteprima – una decina di giorni prima dell’inizio della distribuzione commerciale – all’Accademia di Romania a Roma, il 7 novembre 2013. Abbiamo parlato di questa novità editoriale con il curatore, Horia Corneliu Cicortaș, un intellettuale romeno da molti anni in Italia, che vive e lavora tra Toscana e Trento.
Lei è uno studioso di Mircea Eliade, noto come studioso dello yoga e dello sciamanesimo, ma anche come scrittore di narrativa. Com’è arrivato a occuparsi della traduzione di questo libro su Antonio de Oliveira Salazar?
L’iniziativa è partita dalla casa editrice Bietti, che ha voluto collocare questo libro, un po’ ʻdimenticatoʼ, di Eliade, nella nuova collana di saggistica l’Archeometro. Tramite Giovanni Casadio, storico delle religioni e ammiratore di Eliade, mi è stato proposto di curare l’edizione italiana. A sua volta, Sorin Alexandrescu – detentore dei diritti d’autore ed esegeta delle opere di Eliade – ha caldeggiato questa iniziativa, fornendo il saggio che, insieme alla mia postfazione, accompagna il Salazar e la rivoluzione in Portogallo.
Cosa potrebbe spingerci a leggere oggi un libro su un dittatore controverso, risalente al 1942, e a chi si rivolge?
A mio avviso il volume, così come viene proposto al pubblico italiano, con l’apparato critico necessario, susciterà non solo la curiosità degli studiosi di Eliade o degli storici del Portogallo, ma anche quella dei lettori interessati ad approfondire la storia europea del Novecento, comprese le dittature, le varie rivoluzioni e i protagonisti politici del «secolo breve». La travagliata storia portoghese moderna, con tutti i suoi capovolgimenti, colpi di stato e rivoluzioni, è raccontata in modo avvincente, con calore epico accompagnato da una sottile ironia, tipicamente eliadiana.
C’è poi una curiosa coincidenza: la lavorazione dell’edizione italiana è avvenuta in un periodo in cui abbiamo assistito al ʻfascinoʼ dei governi tecnici e all’ascesa di movimenti di protesta nuovi, come il Movimento 5 Stelle. Ciò avviene ovviamente in forme attuali, a scapito – e, secondo alcuni, in conseguenza – del parlamentarismo partitico percepito come sistema di potere lontano, se non estraneo o addirittura ostile, ai «problemi della gente». Anche da questo punto di vista e al di là di certe formulazioni e «tic mentali» dell’epoca, ormai fuori moda, il libro del 1942 può apparire stimolante e, per certi versi, sorprendentemente attuale.
Ha avuto particolari difficoltà nel tradurre il testo di Eliade?
Nella primavera del 1942, l’autore si trovava da soli due anni all’estero. Eppure in una lettera all’amico Noica, in cui gli chiedeva di aiutarlo a ʻlimareʼ il dattiloscritto del Salazar, Eliade si lamentava dei legami ʻindebolitiʼ con la lingua romena, dovuti alla lontananza dal Paese e alla frequentazione esclusiva di libri stranieri. A ciò va aggiunto il fatto che, essendo come sempre proteso verso nuovi progetti, Eliade non aveva la pazienza di curare lo stile delle sue pubblicazioni. A parte, quindi, gli inevitabili interventi ʻcosmeticiʼ, la traduzione cerca di mantenere lo stile e il ritmo specifici della scrittura eliadiana.
Prima della traduzione del saggio su Salazar, sappiamo che si è occupato di alcune opere teatrali di Mircea Eliade. Quali sono i suoi progetti su questo versante?
Ho iniziato traducendo nel 2008 La colonna infinita, pièce del 1970 il cui protagonista è lo scultore Brancusi nel suo periodo di crisi creativa, successiva alla realizzazione dei grandi capolavori che lo hanno reso celebre nel mondo. In questi ultimi anni, tra gli altri progetti, ho completato la traduzione dei testi teatrali eliadiani (con Uomini e pietre, Ifigenia, 1241 e Avventura spirituale) la cui pubblicazione è prevista all’interno di un volume. Sono contento che lo spettacolo tratto da La colonna infinita, prodotto dalla compagnia toscana Telluris, sia andato in tournée non solo in Italia ma anche nella patria – e nella città – di Brancusi. L’anno scorso è stata poi la volta di Ifigenia, messa in scena dallo Stabile di Catania. Quindi, l’Italia ha reso ottimo tributo alla drammaturgia eliadiana, la quale deve però ancora arrivare sugli scaffali delle librerie.
(Simona Valan, «Orizzonti culturali italo-romeni», n. 11, novembre 2013)