Campari e de Maistre: «Un dittatore cattolico: il professor Salazar»

Mircea Eliade
2015-04-14 14:28:43
Campari e de Maistre: «Un dittatore cattolico: il professor Salazar»

Pochi sanno che lo storico e fenomenologo delle religioni Mircea Eliade (1907-1986), visse in Portogallo durante gli anni delicati 1941-1945 e dedicò un eccellente saggio alla storia portoghese e al suo figlio più celebre, nella prima metà del XX secolo (cfr. Mircea Eliade, Salazar e la rivoluzione in Portogallo, Bietti, Milano 2013 [prima ed. 1942], pp. 320, € 24).

Si tratta di un saggio storico-critico, documentato e interessante, che ricostruisce l’intricata storia portoghese, specie a livello socio-politico, praticamente dal ‘700 al ‘900, mostrando la peculiarità della cultura politica lusitana e restituendo, dopo anni di damnatio memoriae, la meritata fama ad uno dei più grandi politici cattolici del XX secolo.

Tutto il libro di Eliade denota la scientificità e la serietà dello storico rumeno, e l’interesse che egli nutrì per le vicende politiche europee. I suoi giudizi appaiono equilibrati e condivisibili, e vogliamo dirlo fin da subito, specie ai giovani ventenni di oggi: si tratta di un testo non solo per specialisti o appassionati di una nazione tutto sommato ‘periferica’, ma di un libro attualissimo in ordine alla formazione politica del militante cattolico italiano di oggi.

Cercherò in una breve presentazione del testo di citare alcuni dei suoi passaggi più significativi, desiderando ardentemente favorire l’acquisto e lo studio della dottrina sociale salazariana, la quale coincide, salvo particolari elementi legati al tempo e al luogo, con “la dottrina sociale del cattolicesimo moderno” (p. 241). Specie quella delle encicliche pontificie, dalla Rerum novarum (Leone XII) alla Quadragesimo anno (Pio XI).

Non abbiamo lo spazio per ripercorrere la storia portoghese descritta nel libro, e neppure la parabola ascensionale del Salazar: nato in una famiglia modesta nel 1889, seminarista per 8 anni, studente di giurisprudenza e poi docente universitario di Economia a Coimbra, giornalista, politico, ministro delle Finanze, capo del Governo, dittatore. Basti questo schizzo sul fanciullo per cogliere una personalità d’eccezione: “Tutte le informazioni biografiche a nostra disposizione parlano d’un bambino modello, dotato di quelle virtù tanto più antipatiche quanto più precoci, come mitezza e temperanza – è il figlio ideale e l’amico esemplare” (p. 128). E tale resterà sempre: un esempio di integrità morale senza falle e senza infingimenti. Da parte nostra, vorremmo, attraverso citazioni salienti, ricostruire un’atmosfera spirituale, quale quella in cui visse un grande uomo, un vero intellettuale, che scelse di vivere come un monaco nel mondo, facendosi servitore di Dio e del suo popolo, senza demagogia e senza esibizionismi, tutto dedito alla causa della sua rivoluzione: una rivoluzione spirituale, e quindi, logicamente, anche politica.

Mircea Eliade fin dall’introduzione chiarisce il senso della sua ricerca, attraverso alcune domande: “È storicamente realizzabile una rivoluzione che abbia come protagonisti uomini che credono, anzitutto, nel primato dello spirituale?” (p. 11). Inoltre, “come è stato possibile arrivare a una forma cristiana di totalitarismo, in cui lo Stato non confisca la vita di coloro che lo costituiscono ma fa sì che la persona umana (la persona – non l’individuo) conservi tutti i suoi diritti naturali?” (pp. 11-12). La risposta, che Eliade anticipa fin dall’introduzione, sembra meramente sentimentale, ma non lo è: “Lo Stato salazariano, cristiano e totalitario, si fonda prima di tutto sull’amore”; è una “comunità organica fondata sull’amore”. “L’intera concezione sociale e statale di Salazar si fonda sulla famiglia e, in quanto tale, sull’amore. Le corporazioni, le municipalità e la nazione non sono altro che forme più elaborate di quella stessa famiglia portoghese”(pp. 12-13).

Fin da piccolo ha conosciuto “la gloriosa servitù del contadino” (p. 128), ma non ne ha tratto pretesti per una lotta tra classi, ma per una stima lucida sull’importanza dell’agricoltura e della vita di campagna, contro l’urbanizzazione e l’iper-industrialismo novecentesco.

Da giovane studente si pone un problema che per lui sarà di vitale importanza: l’educazione della gioventù, cosa ben diversa però dalla laurea per tutti o l’alfabetizzazione coatta delle campagne. “L’educazione, scrive, è la formazione dell’individuo, ovvero lo sviluppo integrale e armonico di tutte le sue facoltà. L’uomo ha un’intelligenza, che va guidata dalla verità; ha una volontà, che va indirizzata al bene; ha uno scopo, che deve essere vigoroso e sano… A poco serve la scienza, se non aiuta l’uomo a diventare migliore…” (pp. 137-138).

Come universitario, ”amava soprattutto il silenzio delle biblioteche e la solennità della Città universitaria, le passeggiate solitarie, nei parchi e nelle valli, dove poteva continuare in stato di quiete le conversazioni con se stesso; amava il cielo calmo, i paesaggi luminosi (…): il raccoglimento per le cose che durano – la Chiesa, la stirpe, l’opera del pensiero” (p. 144). Come ministro delle finanze porterà nel 1913 al pareggio del bilancio, e poi ad un miglioramento completo dell’economia che rasentava il collasso. Ma “a nulla sarebbe valso un pareggiamento se la gente avesse continuato a credere nei vecchi miti liberali di ricchezza, produzione, individuo” (p. 211).

Nel 1922 tenne al Congresso cattolico di Lisbona una relazione sui principi della sua azione politica in cui ribadì di non voler a tutti i costi la monarchia o il ripristino delle dinastie tradizionali, ma di voler una società coesa, sana e cristianamente ispirata. La forma dello Stato, monarchica e repubblicana, è questione accidentale e storica, necessario è che ci si fondi sui veri principi, cioè Dio e il bene comune della patria. Rifiuterà sempre, con grande coerenza, il marxismo e il liberalismo, il socialismo e il capitalismo, il consumismo e il nichilismo, in nome della vita semplice, familiare, popolare e cristiana, conforme alla secolare tradizione lusitana.

Nel 1930 parlerà dei Principi fondamentali della rivoluzione politica. Tra essi, il cardine è la tutela della famiglia, la quale, contro l’individuo esaltato “dal liberalismo politico del XIX secolo”, è la vera “cellula sociale irriducibile, nucleo originario del villaggio, della città e quindi della nazione” (p. 223). “Vogliamo costruire lo Stato sociale e corporativo in stretta corrispondenza con la costituzione naturale della società. Le famiglie, i villaggi, le città e le corporazioni nelle quali si trovano tutti i cittadini, con le loro libertà giuridiche fondamentali, sono organismi costitutivi della nazione e, in quanto tali, devono intervenire direttamente nella formazione dei corpi supremi dello Stato” (p. 223).

Secondo il dittatore, “solo un’autentica e fertile vita spirituale è in grado di garantire l’ordine politico, l’equilibrio sociale e il progresso economico” : parole tutte da meditare e da affiancare a queste, non meno attuali: “È la crisi morale, prima ancora di quella materiale, a rendere infelice il mondo” (pp. 229-230).

Visse e morì povero e semplice, conducendo un’esistenza fuori dal comune, in cui però le sue ricchezze principali furono gli ideali: “Dio, il primato dello spirito, il Portogallo e la famiglia” (p. 232). Amico intimo del cardinale arcivescovo di Lisbona (con cui visse da studente) e di suor Lucia di Fatima (la quale lo stimava molto), non ostentò mai la sua profonda religiosità, ma si servì della dottrina cattolica e delle massime del Vangelo per essere un buon servitore dei cittadini, specie dei poveri, dei semplici e dei marginali.

Insegna a tutti noi che è sempre possibile, malgrado l’odio e la potenza dei nemici, “la passione calma di compiere il proprio dovere, vivere verticalmente, accettare con serenità il proprio destino, senza chiedere ricompense” (p. 237).

“Salazar ha tentato di salvare il Portogallo attraverso una rivoluzione cristiana, vale a dire attraverso una rivoluzione che partisse dalle cose piccole e ben fatte – e ci è riuscito” (p. 14). Resta uno dei politici più puri, più coerenti e dignitosi del XX secolo.

 

(Enrico Maria Romano, «Campari e de Maistre», 23 settembre 2014)

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