Intervista a Giulio Giorello: Topolino libertario e anarchico

Andrea Scarabelli
Walt Disney – Il mago di Hollywood n. 10/2015
Intervista a Giulio Giorello: Topolino libertario e anarchico

Docente di Filosofia della Scienza presso l’Università degli Studi di Milano, Giulio Giorello ha sempre spaziato, nei suoi studi, in svariate discipline, mosso da una grandissima curiosità e dalla convinzione che la verità non stia mai da una parte sola ma che sia molto più fruttuoso – e divertente – scoprirla nella continua contaminazione dei saperi. Nel corso degli anni si è occupato parecchio anche del mondo dei fumetti, da Tex Willer a Dylan Dog, sino a Ratman – indimenticabile la sua prefazione a Ratman. Superstorie di un supernessuno – e ovviamente Walt Disney. L’abbiamo intervistato proprio sulla figura di Walt, a partire da un suo libro scritto con Ilaria Cozzaglio, recentemente pubblicato da Guanda e intitolato La filosofia di Topolino. Cominciando, ovviamente, col chiedergli quando è entrato in contatto con il mondo di Mickey Mouse e Donald Duck e a quando risalgono la prima e l’ultima lettura di un Topolino.

Posso dire che l’ultimo l’ho letto l’altro ieri. È quindi l’ultimo solo in ordine di progressione, dato che domani o dopo ce ne sarà un altro, anche perché tra Topolino e banda Disney ne esce quasi uno al giorno. Tra il fumetto vero e proprio, le raccolte, Topolino e Paperino… c’è solo l’imbarazzo della scelta!

 

Preferisce i nuovi o i vecchi numeri?

Leggo anche i nuovi. Non sempre, devo dire, ma ci sono parecchie sceneggiature interessanti. Per esempio, non mi perdo nessuna di quelle di Tito Faraci. Nel 2014 ne abbiamo anche fatta una insieme, che è stata pubblicata sul «Topolino» di luglio, dedicato agli ottant’anni di Paperino. Si chiama La filosofia di Paperino, che va a un congresso di filosofia. In realtà, era stato mandato a un congresso d’idraulici, ma sbaglia la sala del grande albergo dove si tiene la conferenza e va dai filosofi. Che lo prendono per un grande filosofo. Alla domanda: «Maestro, ma a cosa serve la filosofia?», Paperino, convinto di parlare agli idraulici, risponde: «Certamente non ad aggiustare i rubinetti!». E tutti: «Che risposta meravigliosa! Che scetticismo, che senso pratico…!». Sembra Wittgenstein, quando era stufo della filosofia e voleva andare a fare l’operaio nell’Unione Sovietica di Stalin. Per fortuna ha rinunciato.

 

Per fortuna sua…

Soprattutto per fortuna sua. Comunque, quando Paperino comincia a dare risposte di puro buonsenso, come direbbe il Kit Carson di Tex Willer, i filosofi cominciano a esclamare: «Che banalità!», e lo cacciano fuori. Intanto, nell’altra sala il vero filosofo, con cui Paperino si è scambiato, tiene agli idraulici un lunghissimo bla bla bla sulla filosofia. Il pubblico dorme. L’abbiamo scritta insieme, Faraci e io. Gli ho dato alcuni spunti filosofici, mentre lui si è occupato della sceneggiatura vera e propria.

Non solo, quindi, leggo i nuovi numeri ma ogni tanto vi contribuisco pure.

 

Il suo primo Topolino, invece?

L’ho letto quando avevo cinque o sei anni. Era l’inizio degli anni Cinquanta e andava molto una storia a puntate – affascinante ma un po’ angosciosa, a dire il vero – intitolata Topolino e il tesoro di Mook. La sceneggiatura era di Billy Walsh, i disegni ovviamente di Floyd Gottfredson. Affiancato da Eta Beta, Topolino va alla ricerca di un misterioso tesoro che poi si scopre essere sperduto tra le montagne del Tibet. Seguendo la traccia del tesoro, i due (in realtà solo Topolino mostra qualche interesse, perché Eta Beta, si sa, detesta il denaro) attraversano tutto il Vecchio Mondo: arrivano prima in Irlanda, dove baciano la Blarney stone (quella che è citata anche nei Cantos di Ezra Pound), poi vanno in Inghilterra, luogo di criminali e fantasmi, dove incontrano lo spettro di un famoso londinese che assassinava i suoi clienti, ma era stato catturato e squartato da alcuni cavalieri. La storia si sviluppa in diverse città europee – li troviamo al Grand Guignol di Parigi – ma anche fuori: i nostri eroi raggiungono l’Egitto, strappando una stele a un leone che si chiama «G. B.». Da bambino non avevo capito che stava per Great Britain. Erano gli anni in cui l’America aveva cacciato l’Inghilterra dal Medio Oriente… Giunti in Turchia, conoscono una donna bellissima ma pericolosissima, una femme fatale, che li porta in Unione Sovietica, oltre la Cortina di Ferro. Quando arrivano a Mosca, in una grande stanza del Cremlino vengono ricevuti da Stalin in persona. Che, naturalmente, ha le orecchie aguzze e pelose del gattaccio Pietro Gambadilegno… non le dico come va a finire!

 

Una storia molto politica, insomma…

Molto anticomunista, naturalmente. Gambadilegno-Stalin dice: «Il mio popolo è felice perché ogni giorno mangia caviale e beve champagne». Topolino ed Eta Beta rispondono: «Veramente, a noi sembrano mortadella e gazzosa!». E Gambadilegno ribatte: «No, no, è proprio caviale e champagne». Se lo dice lui…

Una storia molto carina, ad ogni modo, anche se è stata criticata per la sua coloritura politica. In realtà, spesso Walt Disney evitava volutamente il discorso politico.

 

Una vecchia polemica…

D’altra parte, Disney nasce come uomo di sinistra e poi si sposta verso destra. Gli hanno attribuito di tutto: simpatie prima bolsceviche, poi filonaziste, poi esoteriche, qualcuno ha detto che era addirittura un satanista.

 

Un satanista in senso vero e proprio?

Un giudizio semplicemente ridicolo anche se, in realtà, era comunque anticristiano, perché la dimensione del trascendente non è mai presente nelle sue storie. Forse solo in qualche sceneggiatura di Paperino, in cui si vedono chiesette simili a quelle del New England, anche se le vicende si svolgono grossomodo dalle parti della California…

 

Lei come la vede?

Penso sinceramente che Disney se ne fregasse completamente di ogni coloritura politica e ideologica. In questo senso era un po’ come Joyce: prendeva quel che gli serviva per costruire le sue trame. Nell’Ulisse, ad esempio, c’è di tutto: da Giordano Bruno a Darwin, dall’esoterismo alla ricerca dei fantasmi, dalla rivisitazione dei grandi classici della letteratura inglese all’esaltazione della rivolta irlandese. In questo senso, il grande calderone di Disney è un po’ come quello di Joyce: prende un po’ qua e un po’ là.

 

Eppure questi materiali vengono anche profondamente rielaborati.

Walt Disney ha saputo reinventare in maniera geniale tutta la mitologia europea, da Biancaneve e i sette nani alla Bella Addormentata nel Bosco, per poi non parlare di quell’autentico capolavoro che è Cinderella, Cenerentola, dove la protagonista canta: «I sogni son desideri». Una battuta compendia decenni di psicoanalisi freudiana…

 

A proposito di psicoanalisi, c’è una storia, di cui lei ha parlato nel suo libro su Mickey Mouse, vale a dire Topolino contro Topolino, del 1953…

Da ragazzo la trovavo molto angosciosa. Questa storia prende in giro gli psicanalisti, in particolare quelli freudiani. Tutta l’idea del doppio contenuta in quelle vignette porta ovviamente alla psicoanalisi.

Disney ha attinto insomma a diversi materiali europei, ma ha avuto l’immenso genio di reinventarli. Forse, da questo punto di vista, il film che gli è riuscito di meno è Pinocchio.

 

Come mai?

Forse perché un americano, secondo me, non coglie subito lo spirito toscanaccio di Collodi, denso di quell’anticlericalismo da taverna… Basta pensare al personaggio del Grillo Parlante: è terribilmente antipatico. Uno non vede l’ora che venga schiacciato da una pietra. Tornerà nei fumetti di Gottfredson e Walsh, a tampinare il giovane Davy Crockett, convincendolo ad andare a scuola invece che sparare agli orsi e guerreggiare con gli Indiani.

 

Un grillo parlante più deamicisiano che collodiano…

Sì, un Grillo Parlante molto, troppo borghese.

 

Secondo lei qual è la fiaba che Disney ha meglio reinterpretato?

Forse Peter Pan. Il cartoon è bellissimo. La trovata del coccodrillo è meravigliosa e Capitan Uncino è un personaggio indimenticabile. Un altro romanzo che è stato interpretato benissimo graficamente è Alice nel paese delle meraviglie. Walt ha saputo attingere a questo universo, da Collodi a Kipling, ora in meglio ora in peggio, ma comunque realizzando un’operazione culturale di grande respiro. Non mi stupisce che sia stato ammirato da Ezra Pound. Sa che quando Pound, al manicomio St. Elizabeth’s, guardava Bambi, ogni volta che vedeva la morte della mamma del cerbiattino piangeva come una fontana? Ma Disney è stato esaltato anche da un regista di parte – apparentemente – opposta come Sergej Eisenstein. Non c’è dubbio: è stato uno dei protagonisti del Novecento.

E ha avuto l’intelligenza di lasciare che tutto andasse per conto proprio, in mano a quel grande disegnatore che fu Gottfredson e a grandi sceneggiatori come Ted Osborne. Senza dimenticare Billy Walsh, ovviamente (che tra l’altro ha anche steso la sceneggiatura di Mary Poppins). Un personaggio molto interessante. Se poi pensiamo alla saga dei Paperi, perfezionata da Carl Barks…

 

Il padre di Paperon de’ Paperoni…

Paperino e i suoi nipotini c’erano già, ma Paperone è farina del sacco di Barks. Le lotte contro i Bassotti, Paperopoli con il deposito in cima alla collina… Sono tutte risposte americane al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels. Solo che, mentre Marx ha regalato un paradiso comunista che mai si è realizzato – a meno che non ci accontentiamo di Gambadilegno-Stalin – nel mondo reale ha vinto Paperone, Uncle Scrooge. Ne sono più contento, personalmente. Mi trovo meglio, come dire… Sono più tranquillo tra le strade di New York che non tra quelle di Mosca…

 

Peraltro il modello di Paperone si contrappone a un’altra forma di capitalismo. A Paperopoli vive anche un certo Rockerduck, che incarna il modello di un capitale molto più aggressivo…

Il capitalismo ha una sua dialettica interna. Talvolta degenera, come le varie bolle finanziarie (il cui equivalente fece indignare Thomas Jefferson, negli ultimi anni della sua vita) stanno a mostrare… Paperone, però, è un capitalista sano, a differenza di Rockerduck.

 

Cosa pensa delle versioni italiane delle storie disneyane?

A proposito del rapporto tra Disney e l’Italia, saprà sicuramente che passò del tempo prima che Mussolini bloccasse la pubblicazione dei fumetti disneyani in Italia, poiché stranieri… Al figlio di Mussolini piaceva molto Topolino…

 

Era addirittura tesserato al club degli Amici di Mickey Mouse!

In quel periodo, molte delle storie disneyane venivano disegnate in Italia. Anche negli anni Cinquanta: ricordo che da bambino m’imbattei nella versione disneyana dell’Inferno, sceneggiata da Guido Martina e Angelo Bioletto tra il 1949 e il 1950. La grafica era molto diversa da quella americana: la storia, che “prendeva in giro” la Commedia, conteneva i fumetti, ovviamente, ma anche le terzine dantesche, sotto i disegni. Topolino faceva Dante e Pippo Virgilio. Quel fumetto teneva conto della povertà dell’Italia del dopoguerra, con tutte le devastazioni belliche, ma anche dei primi scandali calcistici: il conte Ugolino, ad esempio, è un famoso arbitro finito all’Inferno per tutte le maledizioni ricevute dai tifosi. Questo personaggio aveva una squadra che gli era molto cara, tanto che questa gli aveva offerto un milione di lire di allora…

In quel numero c’era già tutta l’Italia.

 

Una storia che s’inscrive nel ciclo delle grandi parodie disneyane…

Sono state tutte realizzate in Italia. Ma ce n’è anche qualcuna americana: Gottfredson, ad esempio, ha disegnato Il mostro bianco, in cui Topolino si confronta con Moby Dick. Ce n’è un’altra – molto strana, a dire il vero – in cui il nostro eroe si trova coinvolto nelle avventure di Robinson Crusoe. Un capolavoro, che però non è esattamente una parodia: Topolino va a Hollywood a fare un film e diventa coprotagonista di una resa cinematografica del romanzo di Defoe. È proprio lì che incontra una serie di simpatici selvaggi che gli spediscono a casa il famoso Giovedì…

 

È il coprotagonista della storia Topolino e il selvaggio Giovedì, del 1940. Nel suo studio lei ha visto nel rapporto tra questo buffo personaggio e Mickey Mouse un esercizio di relativismo…

Certo. Tengo a precisare, però, che il relativismo che mi piace è quello à la Lévi-Strauss, non il pensiero debole, sullo stile di Gianni Vattimo. Quello a cui penso è il relativismo che è passato attraverso il grande dibattito tra Popper, Lakatos, Kuhn e Feyerabend. Un pensiero secondo cui ogni idea ha il diritto di essere difesa pubblicamente. Se poi non si è d’accordo, la si criticherà a sangue, ovviamente. È questa la ragione per cui certi ostracismi italiani – italioti – appaiono oggi veramente ridicoli.

 

Anche Topolino si è cimentato nella difesa della libertà di stampa contro la censura.

In più occasioni. Vede, io sono per la ragione calcolante, ma c’è anche un altro tipo di ragione: quella che sa scegliere tra parti opposte, che piaceva tanto al grande poeta puritano John Milton e sotto la cui stella io e Ilaria Cozzaglio mettiamo Topolino, a partire da quel capolavoro che è Topolino giornalista, del 1935. Si parla appunto della libertà di stampa: Topolino fa nell’America degli anni Trenta quello che faceva Milton nell’Inghilterra della Grande Ribellione, cercando di convincere i suoi – la fazione del Parlamento – a non mantenere quella censura che tanto piaceva ai monarchici. E guai se questa censura diventasse un’autocensura portata avanti dal basso, dai tipografi! È quanto accade anche oggi, come parecchi recenti fatti di cronaca sembrano dimostrare.

 

In quella storia Mickey si colloca al di là della legge, difendendo la libertà di espressione nel momento in cui il potere costituito si è venduto ai censori…

A mio giudizio Topolino è un grande libertario. Non si faccia l’errore (anzi, questa è una piega che ha preso il Topolino italiano) di pensare che sia sempre dalla parte delle forze dell’ordine. Certo, è amico di Manetta e Basettoni: ma uno si chiama Casey e l’altro O’Hara, e Topolino pare essere a sua volta un Irish American. È quindi più che altro una solidarietà tra irlandesi che non un’adesione di Topolino alla legge. Tra l’altro, in parecchie storie Topolino è contro le forze dell’ordine, che prende in giro (come in Topolino nella casa dei fantasmi, del 1936) o che critica poiché corrotte (Topolino giornalista), oppure contro la burocrazia (Topolino e la lampada di Aladino, del 1939-1940). D’altra parte, Eta Beta, che ama bruciare il denaro, è ancora più radicale di Topolino, dal punto di vista di un individualismo anarchico.

 

Lo stesso Disney, come han detto negli anni molti dei suoi collaboratori, odiava banche e banchieri.

Basta guardare Mary Poppins! Questa è una bella e antica tradizione americana, che risale agli antifederalisti, tra cui lo stesso Jefferson. Ad ogni modo, Topolino non è affatto un topo dell’ordine! Tra l’altro, in una storia, Topolino e il Terrore dei mari (1952-1953), il nostro eroe torna indietro nel tempo per difendere i pirati che combattono contro la Marina di Sua Maestà britannica. Più anarchico di così… E alla fine vince la gloriosa bandiera con il teschio e le tibie, il Jolly Roger!

 

Anche Paperino si muove in questa direzione…

È ancora più anarchico, soprattutto nelle reazioni individuali. Paperoga, poi, è un personaggio delizioso, con quest’aria totalmente… ecco, come se si fosse fatto una decina di canne! Credo, d’altra parte, che ci sia una forte componente psichedelica nei cartoons Disney. Lei ha visto Dumbo, vero?

 

Si riferisce alla scena in cui l’elefantino beve acqua e whiskey?

Esatto. Non ha bisogno di commenti…! Non credo ci fosse solo whiskey in quella botte…!

Scherzi a parte, anche sotto questo aspetto credo che una delle qualità di Walt risiedesse nel lasciar giocare liberamente i suoi sceneggiatori.

 

Be’, non è nemmeno mancata qualche censura…

Ad esempio, è stata censurata una storia in cui Paperone, quando fa il cercatore d’oro nel Klondike, incontra la bella del saloon, Doretta Doremi. Ebbene, nelle tavole cosa facessero i due era evidente… ma sono state tagliate. Le ha ripristinate Luca Boschi, nell’edizione che ha recentemente pubblicato. Prima non si capiva bene che relazione ci fosse tra i due: ora non ci sono più dubbi!

Il puritanesimo americano e un certo bigottismo europeo han mietuto parecchie vittime. Sergio Bonelli mi raccontava che Tex Willer veniva classificato come per «adulti con riserva»… Non riusciva a capire… Mi disse: «Forse, considerando che è una storia western, si riferiscono alle riserve indiane!». Ma ogni cosa ha la sua nemesi: pensi a Jacovitti, grande disegnatore della stampa cattolica che ha finito coll’illustrare il Kamasutra e mettere su «Playmen» le sue vignette. Quando i cattolici l’hanno saputo…

In Italia è nata una scuola di fumetti di altissimo livello. Anche quelli scollacciati, per adulti. Son sempre stato un grande ammiratore non tanto di Diabolik – che era in qualche modo piuttosto perbenista – ma di Satanik. Era la versione in gonnella di Dottor Jekyll e Mister Hyde di Stevenson. Ma stava dalla parte di Hyde – era questo aspetto a renderla interessante.

 

Una domanda a bruciapelo. Topolinia o Paperopoli?

Dobbiamo tenere presente che Topolinia originariamente non c’era. È stata creata da Disney Italia. Negli anni Trenta non c’era indicazione di città; se c’era, era unicamente Paperopoli. Tutti erano sostanzialmente nello stesso luogo. La divisione tra Topolinia e Paperopoli è arrivata successivamente, e ha spopolato negli ultimi venti o trent’anni soprattutto in Europa…

 

Ma se dovesse scegliere tra i due universi?

Devo dire che Paperopoli è molto più caratterizzata di Topolinia, con quell’enorme deposito sulla collina che sovrasta una città tipicamente californiana, della West Coast…

 

Topolino e/o Paperino? Molti vedono nel primo una figura a una dimensione, priva di profondità psicologica, e nel secondo un personaggio più complesso e aderente alla realtà. Nel suo libro lei demolisce questo stereotipo…

Topolino è un eroe del dubbio, soprattutto nelle narrazioni americane. È privo di certezze e molto sfaccettato. Certo, la scelta di Disney Italia di farne troppo spesso un collaboratore della polizia ha generato l’immagine di un topo che vince sempre. Ma non è così. Nelle grandi storie raccolte ne La filosofia di Topolino non vince sempre.

E molte sue vittorie sono relative, non di certo assolute. Penso, per esempio, ad alcune storie di Romano Scarpa. Topolino e la fiamma eterna di Kalhoa (1961) era stata pensata con un certo finale, che poi non venne pubblicato. Topolino va alla ricerca di questa fiamma eterna e, a un certo punto, scopre che altro non è se non un fenomeno naturale. Kalhoa, insomma, non c’è. Eppure, in quella conclusione alternativa, pubblicata dagli amatori della Walt Disney Italia, compare la regina, in una dissolvenza finale, dicendo ai protagonisti: «Non avete cercato abbastanza bene». Ha presente quando Yuri Gagarin sbarcò dalla sua grande missione nello spazio, la prima grande missione sovietica? Disse: «Mi sono guardato intorno e non ho visto Dio…». Be’, è come se Dio avesse fatto capolino, commentando: «Non hai guardato abbastanza bene, in profondità».

 

Un dubbio talmente radicale da ammettere addirittura la propria negazione…

Il topo antimetafisico alla fine lascia aperta una porta alla metafisica stessa. In fondo non è un male parlare di queste cose… purché ci si possa sempre divertire. Ha presente la famosa battuta di Pound, del Canto CXVI, «Disney against metaphysicals»? Topolino e i suoi hanno a che fare con piccolissimi brandelli di metafisica… Certo, Billy Walsh ha dato a Topolino un taglio esoterico, mettendo nelle sue storie qualche fantasma vero.

 

Sono tematiche spesso importate da Disney assieme al Medioevo europeo…

Ma non solo. Pensi ad Amelia, la strega che ammalia, che abita alle pendici del Vesuvio. Oltre a essere un omaggio a Sofia Loren…

 

Sofia Loren?!

Parola di Carl Barks. L’ha dichiarato lui stesso: Amelia è Sofia Loren. Ma è anche un grandioso omaggio alla Napoli dei misteri e dei fantasmi. Fantastico ed esoterico, se funzionali alla narrazione, sono del tutto ammissibili. Certo, a mio giudizio non si dovrebbe inferire la presenza di tematiche esoteriche a partire da figure come quella di Magica De Spell. Così come non si dovrebbe credere ai fantasmi, pur apprezzando le meravigliose storie di Henry James o Montague Rhodes James. Ho appena dedicato un libretto a questa faccenda. Si chiama Il fantasma e il desiderio, è uscito per Mondadori. In uno dei racconti contenuti, peraltro, c’è anche Piergiorgio Odifreddi. Che però viene ucciso. È l’unico vero fatto di sangue in tutto il libro. Un angelo di pietra non ne può più di sentirlo parlare: gli tira un colpo di spada e lo accoppa.

 

In conclusione: dove risiede, a suo giudizio, il genio di Walt?

Nell’aver creato un universo. Disney fu un grandioso creatore di mitologie, in grado di americanizzare le grandi tradizioni dell’Occidente europeo. E non solo europeo: la Disney ha lavorato in Brasile, dove impazza José Carioca.

In questo senso, non mi stupirei se domani riuscisse a penetrare anche in Cina, nonostante la censura perpetrata dal governo della Repubblica Popolare. Forse è più difficile che metta radici nei Paesi arabi, con l’aria che tira… E poi quella è una cultura fortemente aniconica, nemica delle immagini. Però, non si può nemmeno escludere del tutto… Mai dire mai.

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