Le origini del male. Rob Zombie e la saga di Halloween

Giona A. Nazzaro
Rob Zombie Reloaded n. 8/2019
Le origini del male. Rob Zombie e la saga di Halloween

«– Was that the Boogeyman? – As a matter of fact, it was»

(da Halloween. La notte delle streghe)

Sono pochi i critici come Olivier Assayas o Giuseppe Turroni, che hanno colto in tempo reale l’importanza di un film come Distretto 13. Le brigate della morte (1976). E sono ancora meno coloro che hanno compreso in tempo reale un film come La cosa (1982) o, impresa forse ancora più impegnativa, interpretato correttamente lavori come Starman (1984) o Avventure di un uomo invisibile (1992). Eppure, nonostante questo evidente scarto critico, John Carpenter è circondato oggi da un alone di intoccabilità acritica che sembra essere soprattutto il risultato di una sostanziale incomprensione del suo cinema. E per avere la conferma di questa paradossale situazione basterebbe ricordarsi dell’accoglienza contraddittoria riservata a The Ward. Il reparto (2010), il suo ultimo film in ordine di tempo. Inevitabile, dunque, che quando Rob Zombie ha annunciato di avere accettato la proposta di realizzare il remake di Halloween. La notte delle streghe (1978) di Carpenter, una parte della cinefilia abbia reagito come se ci si trovasse al cospetto di una blasfemia inconcepibile. Se da un lato è evidente che Halloween è una suprema lezione di cinema alla stregua di Gli uccelli (1963) o Psyco (1960) di Hitchcock, dall’altro è ugualmente vero che ha generato una mitologia capace di travalicare il perimetro specificamente carpenteriano, per assumere i connotati di un discorso interno all’immaginario collettivo contemporaneo. Ed è esattamente a questo insieme di fatti, più che allo specifico filmico carpenteriano, che Rob Zombie guarda per la realizzazione del suo remake. Zombie tratta Halloween non come un oggetto riverito dalla cinefilia, ma come un artefatto della cultura di massa. Uno scarto sensibile e cruciale per comprendere l’articolazione del suo discorso e l’esito stesso dei due titoli da lui diretti. Il dialogo che Zombie intreccia con il film non è quindi con la forma irripetibile del caposaldo carpenteriano, quanto con l’immaginario che questo è riuscito a generare attraverso i numerosi sequel che si sono succeduti nel corso del tempo(1). Zombie mette mano a una mitologia collettiva. Non a un singolo film di un autore “intoccabile”. E se è vero che il confronto fra originale e rifacimento è impari, è altrettanto vero che è proprio nel suo essere mancante nei confronti del modello che il film di Zombie si rivela un autentico testo critico. Riprendendo la formula godardiana secondo la quale un film si critica con un altro film, l’Halloween di Zombie si presenta come una lettura del testo di Carpenter. Certo, si potrebbe obiettare che quanto vi vede Zombie non è interessante al punto tale da giustificare tutta l’operazione, essendo Halloween soprattutto una straordinaria lezione di cinema classico e di montaggio invisibile: cinema hawksiano allo stato puro. Ciò che è interessante, invece, a partire dalla plongée nella casa del piccolo Michael Myers sulle note di God of Thunder dei Kiss, è tutto il lavoro che Zombie compie proprio sulla figura di Myers, come se, ben consapevole del tradimento formale rispetto alla shape carpenteriana, volesse comunque scavare dietro le quinte di un personaggio assurto al rango di icona grazie alla meccanicità jarryana con la quale l’ha tratteggiato il primo Halloween. Nel confronto fra la versione monca, ma ufficiale, e la uncut distribuita in home video è evidente che Zombie vede in Michael Myers una specie di misfit originario, un Rebel Without a Cause cui il finale originario rende omaggio citando alla lettera la morte di Sal Mineo nel film di Nick Ray. Ed è proprio in questo tentativo di costruire uno sfondo alla figura di Michael Myers che va valutato l’esito del lavoro di Zombie. Se il primo film della serie risente inevitabilmente dei conflitti relativi al cut, il sequel è senz’altro il titolo che meglio esprime il senso del progetto originario. Bestiale e primitivo, ma anche trascendente ed etereo, è un testo forse anche più complesso del precedente. Riprendendo l’idea iniziale del suo remake, ma radicalizzando ulteriormente il progetto, Zombie abbandona (paradossalmente, ma neanche tanto) Carpenter per abbracciare Tobe Hooper, cineasta a lui senz’altro più congeniale, e crea una straordinaria saga redneck nella quale Myers assume le sembianze di un possibile congiunto lontano del Lester Ballard di Figlio di Dio di Cormac McCarthy. Abbandonando le geometrie carpenteriane per il respiro anti-epico della provincia diseredata, Zombie trova accenti di rara intensità e non si fatica a immaginare il regista e musicista come un improbabile, ultimissimo discendente dei grandi narratori del sud degli Stati Uniti. In Halloween II, soprattutto nello spettrale finale, l’autore tenta una serie di soluzioni formali che si ritroveranno poi compiutamente in Le streghe di Salem. Il respiro, infatti, pur nella concitazione della violenza, si distende, e il gesto è più sicuro e meno esibito rispetto a tutto il primo cinema dell’autore, che procedeva furiosamente nel proprio entusiasmo cinefilo. Non è un caso che dopo un esito così soddisfacente, ancorché trattato alla stregua del tradimento definitivo nei confronti di Carpenter, Zombie abbia deciso di abbandonare la franchise di Halloween, per lui rivelatasi anche, fra le altre cose, terreno di uno scontro molto impegnativo con le forze hollywoodiane che, evidentemente, pensavano di poterlo imbrigliare o comunque ricondurlo alle regole del gioco comune in materia di serializzazione industriale. Così non è stato. Ed è per questo motivo che il dittico Halloween ricopre un ruolo di primaria importanza per comprendere l’evoluzione formale e poetica di Rob Zombie.

 

Note

1 La saga di Halloween, all’epoca di Halloween. The Beginning, contava ben otto titoli. Oltre all’originale carpenteriano, vi trovavano spazio: Halloween II. Il signore della morte di Rick Rosenthal (1981), Halloween III. Il signore della notte di Tommy Lee Wallace (1982), Halloween 4. Il ritorno di Michael Myers di Dwight H. Little (1988), Halloween 5. La vendetta di Michael Myers di Dominique Othenin-Girard (1989), Halloween 6. La maledizione di Michael Myers di Joe Chappelle (1995), Halloween. 20 anni dopo di Steve Miner (1998) e Halloween. La resurrezione di Rick Rosenthal (2002).

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