Nero su bianco. Pupi Avati, romanziere

Claudio Questa
Pupi Avati n. 10/2019
Nero su bianco. Pupi Avati, romanziere

Che cos’hanno in comune Dedo, estroverso e brillante, Giulio, timido e sovrappeso, Samuele, silenzioso e dalle gambe più corte rispetto ai coetanei, Carlo, leggermente cifotico ma «con occhi fermi che non hanno paura» ed Emilio, inquieto e inquietante? Sono tutti adolescenti, tanto per cominciare. I primi due si muovono in un’Italia in piena emozione calcistica, nella Bologna dei giorni nostri, e i secondi nell’assolata zona rurale del Veneto del dopoguerra. È forte il legame tra Dedo e Giulio, che occupa la cupa soffitta all’ultimo piano del suo palazzo, così come è solido e malinconico il rapporto tra Carlo e Paolino, suo migliore amico, fra i quali si frappone l’angoscia malsana di Emilio. Ma il punto in comune più sorprendente, quello forse più inatteso, è che Dedo, Giulio, Carlo ed Emilio sono le marionette mosse dalle mani irrequiete e sensibili del grande Mastro Burattinaio che scopriamo nel Pupi Avati scrittore.
Il ragazzo in soffitta del 2015 e Il signor Diavolo del 2018 sono, infatti, i primi due romanzi del regista bolognese a essere stati concepiti per la carta stampata, e non come novellizzazione delle sue opere cinematografiche come accaduto, per esempio, nei casi di Il nascondiglio (2007) e Il papà di Giovanna (2008).
Avati isola tre province della penisola (Bologna, Trieste e Venezia) per narrare il turbamento, la solitudine, il bullismo, la ferocia e l’amore fraterno in cui è immersa l’adolescenza dei ragazzi ritratti nelle sue opere. Nel primo caso, l’autore sceglie di raccontare in parallelo le storie di Dedo e Giulio da una parte e di Samuele dall’altra, ambientate in epoche diverse e apparentemente slegate tra loro se non fosse per un piccolo particolare: Giulio è il figlio di Samuele, condannato nel 1991 per l’omicidio di due bambine e tornato in libertà per trascorrere gli ultimi giorni della sua esistenza con la famiglia. Quello che Giulio ha cercato di far rimanere un segreto, confidato solo al suo amico Dedo, diventa, per ingenuità di quest’ultimo, un inesorabile telefono senza fili che determinerà l’esclusione umana e sociale del giovane ragazzo, deciso a concedere un’altra possibilità a quel padre-orco che tutta la città teme come il peggiore dei criminali. Parallelamente seguiamo la travagliata giovinezza di Samuele, deciso più che mai a diventare un musicista senza averne le qualità. Conosciamo il suo primo amore, Ornella, la moglie del suo primo insegnante, che rimarrà per tutta la vita la sua ossessione erotica e sentimentale. E solo nelle ultime pagine, in un orgasmo di disperazione e squallore, scopriremo che Ornella – l’oggetto proibito del desiderio – è la madre del giovane Giulio, nonché chiave di volta dell’intera, tragica vicenda…
Un amore malato, quello tra Samuele e Ornella, così come malato e morboso è l’amore tra Furio Momentè e Laura, i personaggi da cui si dipanano le vicende narrate in Il signor Diavolo. Un amore disturbato e disturbante, quello che spinge Furio, in un momento di disperazione economica, a far prostituire la donna della sua vita, commettendo un errore che determinerà l’anonimato e l’invisibilità della sua esistenza, anche e soprattutto quando verrà chiamato a indagare su un tragico caso di omicidio: nel cattolicissimo Veneto, in cui la Democrazia Cristiana domina incontrastata, il pubblico ministero dovrà infatti dimostrare che il piccolo Carlo ha ucciso il giovane Emilio per istinto – e non influenzato dalla comunità religiosa che lo avrebbe convinto dell’esistenza del Diavolo, celato proprio nella figura del ragazzo – ed evitare, quindi, che un caso di cronaca nera si trasformi in un terremoto politico dalle conseguenze imprevedibili. Nell’arco della storia, in una gradevole alternanza tra narrazioni in prima persona e trascrizioni degli atti processuali che ricompongono pagina dopo pagina la vicenda giudiziaria, conosciamo i personaggi che ruotano attorno ai ragazzi della provincia di Venezia: Liù Quinterno, bella e provocante, che si diverte a tormentare le pulsioni adolescenziali di Paolino e Carlo e che sarà, indirettamente, il fattore scatenante della furia del “signor Diavolo”; Clara Vestri Musy, madre della vittima e potente signora di Venezia, donna straziata dal dolore e furia vendicatrice; la famiglia di albergatori che offre un alloggio a Furio Momentè nel corso delle sue indagini, in una piccola dimora la cui atmosfera ricorda da vicino quella respirata da Stefano nel capolavoro La casa dalle finestre che ridono (1976).
In Il ragazzo in soffitta, di contro, dopo un amplesso consumato goffamente in casa di Iolanda, matura componente dell’orchestra in cui suona Samuele (e sua protettrice), il giovane sembra estraniato e assente, nel posto sbagliato al momento sbagliato: è sempre Ornella ad attenderlo nella sua notte immaginaria, prima di addormentarsi. Il corpo della donna si plasma nella sua mente alla ricerca di un momento intimo solo per loro. Quando accetta di uscire con una illustratrice di fiabe che mostra per lui un certo interesse, Samuele va in cortocircuito:
«”È una stagione di merda… Ti metti le calze e non le sopporti, non te le metti e hai freddo… Ti si gelano le cosce… proprio fino a lì su”.
Lui la considerò una battuta esplicitamente allusiva. Irruzione indebita in quella zona della sua mente in cui Ornella era titolare di tutte le sue fantasie erotiche. Parve ridestarsi sentendosi adultero. Così, per farsi perdonare dalla sua Ornella mentale, parlò diffusamente di lei all’illustratrice diffondendosi in una molteplicità di dettagli erotici che gli derivavano dalla sua fervida fantasia di onanista cronico».
Lo stesso erotismo malsano e torbido che Liù Quinterno, in Il signor Diavolo, è consapevole di esercitare sugli adolescenti del paese:
«“Paolino era innamorato di me….”
“Sì” le risposi senza aggiungere che anche io ero innamorato di lei per sempre. “È vero che da lui ti eri fatta vedere nuda?”
“Ormai puoi vedermi anche tu…” mi disse lei.
C’era mio padre che suonava il clacson per dirmi di muovermi.
“Sì…”
“Ma ho la pancia…”
“È uguale…”
Così lei dietro il corridoio si levò la vestaglia e la vidi tutta nuda, anche se il pelo non si vedeva perché c’era la pancia. E lei rideva di vergogna mentre mio padre mi urlava dalla strada che era tardi, e io non avevo mai visto una cosa così bella nella mia vita».
In contrapposizione, il momento in cui Carlo assiste per la prima volta alla violenza incontrollata del giovane Emilio è caratterizzato da una potenza immaginifica degna delle migliori fiabe nere della tradizione letteraria:
«Lui mollò la bicicletta e correndo come un fulmine si buttò su Paolino riuscendo a prendergli un piede e tirandolo per terra. Mentre la Liù e le donne urlavano io cercavo di dividerli. È stato un momento pauroso. Il matto ringhiava e sbavava e voleva mordergli una gamba. Fu allora che vidi che aveva delle unghie lunghe e piegate in dentro come uncini e in bocca due file di denti come le bestiacce feroci».
E se l’Avati regista ci ha abituati a momenti cinematografici di pura tensione primordiale, l’Avati scrittore concede attimi di insostenibile adrenalina anche in Il ragazzo in soffitta quando Dedo, accompagnato dal fratello Follo, decide di salire in soffitta, attirato da una luce in quell’appartamento ufficialmente disabitato, e scopre l’orribile verità dietro la storia del padre del suo amico Giulio:
«Vedo laggiù, dall’uscio semiaperto, un debole raggio di luce che si muove sulle travi lì intorno.
“Sei tu?” chiede al grandissimo buio quella che mi pare la voce di Giulio. “Sei tu?” ripete.
Rabbrividisco. Non posso essermi sbagliato, è la sua voce, è quella di Giulio.
Innanzi tutto devo mettere Follo in salvo. Ma è lui a essere spaventato, a voler scappare via. Si precipita giù dalla scaletta. Non ha neanche preso l’ascensore. Lo sento scendere le scale. Sono rimasto solo.
Non posso non andare a vedere».
Difficile, in definitiva, esprimere una preferenza per lo scrittore che sovrappone momenti poetici e malinconici a divertenti battibecchi scolastici tra adolescenti in Il ragazzo in soffitta e quello che mescola sapientemente scorci di vita fra i campi assolati del Veneto a schizzi di china nera come l’orrore in Il signor Diavolo. Di certo c’è che Avati si dimostra, anche su carta stampata, un magnifico narratore di storie indimenticabili e di personaggi tridimensionali, sfaccettati e interconnessi.

 

Note

1 Avati Pupi, Il ragazzo in soffitta, Guanda, Parma 2015, p. 158.
2 Avati Pupi, Il signor Diavolo, Guanda, Parma 2018, p. 67.
3 Ivi, p. 60.
4 Avati Pupi, Il ragazzo in soffita, op. cit., p. 245.

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