La fanta-teologia di Philip K. Dick

Luca Siniscalco
Philip K. Dick – Lui è vivo, noi siamo morti n. 19/2022
La fanta-teologia di Philip K. Dick

XXI secolo, futuro prossimo venturo. È sulla bocca di tutti, non si parla d’altro: la felicità, chimera utopistica anelata per millenni dall’umanità, è finalmente disponibile grazie a una sostanza sintetica, il Chew-Z. Il suo ideatore ha un nome affascinante e mostruoso: Palmer Eldritch, l’“arcano pellegrino”. Sopravvissuto a un incidente nelle fattezze di cyborg, dichiara senza infingimenti la propria potenza di salvazione: se Dio promette la vita eterna, lui, imprenditore di successo, la mette in commercio. Letteralmente, perché l’individuo “iniziato” al Chew-Z evade dal mondo fenomenico e accede a una realtà virtuale parallela in cui la sofferenza è ignota e il tempo sembra non scorrere, non afferendo più al criterio della durata ma esclusivamente all’ordine dell’intensità. La scoperta della sostanza da parte di Eldritch è legata a una vicenda misteriosa avvenuta nello spazio, con probabili connessioni aliene, che ha cambiato intimamente il protagonista, spingendolo a creare mondi paralleli sui quali ha ampi margini di controllo e tramite cui – dato che emerge progressivamente nella narrazione – ambisce attuare una conquista della Terra, nella forma di una signoria sulla psiche degli abitanti. Siamo infatti davvero certi che le dimensioni virtuali generate dal Chew-Z siano meno reali del nostro mondo quotidiano? Il binomio realtà-illusione, tema ossessivo della prosa dickiana, è protagonista decisivo anche delle vicende di Eldritch. Ma in questa narrazione vi è qualcosa di più: l’intuizione di Dick, onironauta e psicopompo postmoderno, si spinge sino ai territori ultimi della teologia.

La questione per eccellenza de Le tre stimmate di Palmer Eldritch (1964), infatti, che sgomenta e atterrisce, è la scoperta che il protagonista del capolavoro dickiano non è soltanto un furbo speculatore. Né è una semplice metafora del capitalismo, o un’affettata allegoria sociologica della questione del mercato di massa delle sostanze stupefacenti, e nemmeno un divertissement sci-fi, come alcune interpretazioni riduzioniste vorrebbero. Perlomeno, non è soltanto questo.

Confortati dall’autorevole lezione di Jorge Luis Borges, secondo cui la filosofia e la teologia sono precisamente «due generi della letteratura fantastica»[1], rileviamo come sia possibile riconoscere in Eldritch la manifestazione di una figura radicale, dalla risonanza metafisico-teologica e, come vedremo a breve, dagli evidenti tratti cristologici. Le connessioni di Eldritch con il dominio dell’invisibile sono numerose: il nostro conduce gli uomini in mondi occulti, trascendenti l’esperienza quotidiana e il senso comune; sembra capace, come un autentico mago rinascimentale, di tessere sottili legami fra i diversi piani del reale e di muoversi nelle reti di cui il tessuto del mondo è intrecciato. Scrutando più attentamente, tuttavia, emerge come la fisionomia sottile di Eldritch non sia un generico pastiche di temi spirituali, ma un richiamo esplicito alla figura di Gesù Cristo.

L’associazione, palese sin dal titolo dell’opera, prende le mosse dai segni che contraddistinguono l’imprenditore-cyborg: le stimmate sono i marchi del Christus patiens che indicano nelle mani, nei piedi e nel costato le sofferenze subite dal figlio di Dio.

L’atmosfera narrativa dickiana tende inoltre a suggerire una forte connotazione escatologica di questa figura, sigillo di un mutamento radicale del mondo – o, perlomeno, della nostra esperienza di esso: Eldritch inaugura il Novum della storia e, in questo senso, apre a una nuova dimensione temporale estremamente densa sul piano ontologico – il tempo della Parusia.

Qui, nel tempo kairotico, il tema del sacrificio diventa centrale. Lo ha ben chiaro Dick quando si domanda, nell’Esegesi: «L’incarnazione non è forse l’intrusione – l’intrusione iniziale – del divino abisso nel qualcosa terreno?». A tal proposito, l’azione di Cristo è una forma di «impregnazione della materia (yin) da parte del divino creativo (yang)»[2]. Da un punto di vista teologico, il sacrificio soteriologico e proto-eucaristico di Cristo è il compimento dell’Incarnazione, ma, al contempo, è partecipe del più esteso simbolismo del sacrificio primordiale. Quest’ultimo si sviluppa attorno alla consapevolezza che «non vi è creazione senza sacrificio. Sacrificare ciò che si ha caro è sacrificarsi. L’energia spirituale che se ne ricava è proporzionale all’importanza di quanto si è perduto. Tutte le forme di sofferenza possono essere sacrificali, se sono volute o pienamente e consapevolmente accettate»[3]. L’Agnus Dei è declinazione par excellence di tale archetipo di trasfigurazione. Ed è proprio attorno a questo tema che la natura profondamente ambigua di Eldritch inizia a palesarsi. La sua fenomenologia cristologica è già di per sé perturbante, nella misura in cui Eldritch non è il Cristo storico e, dunque, può essere inteso solo come imitazione o parodia. Ovvero, come il suo doppio anticristico. Per dirla con il linguaggio del tradizionalismo integrale, se il neo-spiritualismo e le “seconde religiosità” denunciate da Oswald Spengler nel suo Il tramonto dell’Occidente sono una contraffazione anti-tradizionale delle forme del sacro all’interno della storia (convergenti nella “contro-iniziazione”[4]), allora l’Anticristo è, sul piano escatologico, “contraffazione” del Cristo, in quanto espressione demoniaca di anti-redenzione[5]. «Siamo in un mondo spurio del “passaggio di un tempo trascorso non reale di Palmer Eldritch”, ed ecco perché per noi il Regno non è giunto»[6]. Eldritch si qualifica in ultima istanza come Anticristo, lo spirito-guida del nostro tempo.

La sua predisposizione alla dominazione contrasta con il magistero evangelico e richiama alla sete di dominio propria del Diavolo, il grande Divisore responsabile del male nella misura in cui interviene per spezzare l’unità cosmica ordinata, di cui è invece garante il principio divino. E proprio rispetto al citato tema del sacrificio Eldritch appare come figura anticristica, in quanto non sacrifica sé stesso per la salvezza dell’uomo, ma all’opposto richiede il sacrificio degli uomini, mediante il laccio di dominio della Chew-Z, per la propria stessa autotrasfigurazione in ottica di potenza[7]. È nelle Tre stimmate che si trova la celebre frase «Dio promette la vita eterna, noi possiamo metterla in commercio»: poiché la mercificazione dello Spirito è la più alta contraffazione, la misteriosa entità impadronitasi di Eldritch non può essere Dio, ma solo l’Avversario, il lato umbratile del suo volto eterno.

Il carattere ambiguo e liminale della figura di Eldritch non deve d’altronde sorprendere: non è che l’ennesima conferma della raffinatezza degli studi esoterico-religiosi di Dick. La paradossale parentela, persino coappartenenza, di Cristo e Anticristo è, infatti, una questione teologica estremamente complessa e contraddittoria, ma di certo rilevante nella tradizione cristiana. Proprio all’interno del cristianesimo tale polarità è intesa, infatti, in un senso per nulla ingenuo: se spesso nelle fonti è espressa secondo una visione radicalmente dualista, entro cui l’Anticristo (il Male) “imita” Cristo (il Bene) per trarre gli uomini in inganno e condurli alla perdizione, sul modello esemplare del perverso comportamento di Satana, simia Dei[8], è altresì presente, in specifici contesti, un significato metafisico ben più articolato e profondo[9], secondo cui fra Dio e Satana, così come fra le figure escatologiche di Cristo e Anticristo, vige un rapporto sfaccettato. Da un certo punto di vista – paradossale, ça va sans dire – l’Anticristo è infatti una figura provvidenziale, in quanto la sua rivelazione è imprescindibile, all’interno dell’eschaton, perché la manifestazione cristologica si affermi. Incarnando la potenza dell’oscurità mostra, in via negativa, la bellezza e potenza della Grazia: il piano provvidenziale include il male della Fine dei tempi, come la “notte oscura dell’anima” della cristofania. L’Anticristo, proprio per la sua ostilità al Bene, può paradossalmente assumerne i simboli, rivestendo i paramenti del Messia, seppur invertiti di segno[10]. Notava, ad esempio, il mistico Sebastian Franck che le Scritture, sacre nella misura in cui sono irrorate dallo Spirito, capace di renderle vitali, possono tragicamente ridursi a mero dogma, strumento tramite cui i farisei condannano i santi, al punto che «uccidono il Cristo con il Cristo della lettera e usano il fodero contro la spada, la lucerna contro la luce». Al contempo, «Cristo, Dio, il Vangelo, la parola di Dio – questo è per il mondo l’Anticristo, il demonio, l’eresia. Al contrario: l’Anticristo, Satana e la sua parola – questo è per il mondo Cristo, Dio e il Vangelo»[11]. Distinguere il Cristo dall’Anticristo è una missione interiore, non il semplice riconoscimento di una esteriorità.

D’altra parte, per tornare alla narrativa dickiana, la grande apostasia e l’irreligiosità che caratterizzano i Tempi Ultimi si situano proprio in quell’avvenire della nostra civiltà postmoderna che nella storia di Eldritch trova completa realizzazione. «Guerre e rivoluzioni» (Lc, 21, 9), «terremoti, carestie e pestilenze; […] fatti terrificanti e segni grandi del cielo» (Lc, 21, 11) sono in primo luogo tragedie interiori, nella Bibbia come in Dick. «Falsi cristi e falsi profeti» (Mt, 24, 24) appariranno ovunque, spesso travestiti da guide spirituali e autorevoli sapienti: la finezza dello Spirito consiste nell’ispirare i fedeli ad acquisire un discernimento sottile, capace di distinguere[12] il Bene dal Male, Cristo da Eldritch, riconoscendo la subordinazione del secondo – “nulla” ontologico – al primo. Il regno dei simulacri è anche il regno del “doppio”: l’Anticristo come specchio distorto di Cristo, copia priva di alcun radicamento sostanziale nell’immagine originale. Le tre stimmate è, propriamente, un testo teologico, «una bibbia satanica»[13], secondo le parole dello stesso autore.

Tutto questo, ormai è evidente, agli occhi di Dick non è mera letteratura. Né è semplice teologia speculativa, bensì vita spirituale concreta: esattamente dieci anni dopo la pubblicazione del romanzo, nel 1974, la sua celebre e discussa esperienza mistica – l’impressione di vivere simultaneamente nella California del Ventesimo secolo e nella Roma imperiale del I sec. d. C. – lo avrebbe indotto a trascorre molto tempo, circa un anno, almeno in interiore homine, nel contesto dell’Apocalisse cristiana.

L’Anticristo è tradizionalmente segnato dal «numero della bestia», 666 (Ap, 13, 18). Dal momento che il sei, nella tradizione ebraica, ha valore solare e rappresenta l’uomo, la ripetizione ternaria del numero potrebbe indicare il dispotismo antropocentrico sui tre livelli della creazione – corpo-anima-spirito sul piano microcosmico; cielo-terra-inferi su quello macrocosmico[14]. Un altro tema, questo, tipico della fantascienza dickiana: l’estremo volontarismo proprio di Eldritch, così come di moltissimi altri suoi protagonisti, attira una potente critica alla visione dimidiata (in quanto immanente e utilitaristica) di una facoltà altrimenti divina qual è la volontà. Cristo insegna a volere che sia fatta la volontà del Padre perché questa è l’unica volontà – e non in senso normativo né moralistico, bensì in termini interiori e mistici, come ben compreso da Meister Eckhart: «In verità, se un uomo abbandonasse un regno o il mondo intero e mantenesse sé stesso, non avrebbe abbandonato proprio nulla. […] Soltanto chi abbandona la propria volontà e sé stesso, ha abbandonato davvero tutte le cose […]. Poiché solo ciò che non vuoi più neppur desiderare, tu lo hai veramente lasciato e abbandonato per amor di Dio. Per questo Nostro Signore dice: “Beati i poveri in ispirito”, ossia nella loro volontà. […] “Chi vuole seguirmi, rinunci prima a sé stesso”. Tutto dipende da questo. Vigila dunque su di te, e non appena trovi te stesso, rinuncia al tuo io»[15].

L’Anticristo, al contrario, predica una volontà individuale, egoistica e fittizia – ad accrescere per estensione e quantità il perimetro dell’Io, anziché sfumarlo sino a congiungerlo al Tutto. Similmente, se il regno dell’Anticristo livella in termini dispotici qualsivoglia differenza nelle masse di tutto il mondo – forse, in seguito ai viaggi fra galassie, di più mondi –, il regno di Cristo (la Gerusalemme celeste) è connotato da una universalità dinamica e multivettoriale, entro cui tutto viene preservato nella propria identità proprio nella misura in cui abita in Dio. In ultima istanza, come suggerisce Cristo e l’Anticristo, entusiasmante trilogia di Dmitrij Sergeevič Merežkovskij, si può asserire che «la dualità, la non integrità dell’esistenza terrena è evidente in tutto: persino alla domanda sui percorsi verso l’Uno, verso l’armonia e la completezza, ci sono due risposte. Il “mago” Massimo di Efeso afferma che “il regno del Diavolo è uguale al regno di Dio”, la verità sta nello scegliere uno dei due percorsi e seguirlo fino alla fine»[16]. Nella pienezza spirituale escatologica, il Dio che si fa uomo e l’uomo che torna a Dio, come anche Cristo e Anticristo, sfumeranno quali figure della distinzione e, quindi, sul piano dell’Origine, della contingenza, in una superiore unità armonica, nella verità suprema. Essa è tutelata dal cristianesimo che, stando a Dick, è «una religione crudele… eppure accurata. Riconosce e convoglia la vera immagine di questo mondo: la morte ingloriosa, la bellezza della quale eccede il peso, il carico, la tribolazione»[17]. La scelta fra Cristo e Anticristo si configura come una decisione radicale rispetto a due possibilità simultanee dell’esistenza concreta dell’uomo – storica e individuale – che avviene su piani diversi e simultanei della realtà. Il multiverso quantistico, ipotesi cosmologica frequentata da Dick, assume così tinte spirituali: Dio può “indossare” – come dice lo scrittore nel celebre discorso di Metz (1977) – diversi universi, simultaneamente o selettivamente, e noi, che tali universi abitiamo, possiamo essere traslati dall’uno all’altro, o simultaneamente abitarne più d’uno. Così, possiamo vivere nell’hic et nunc il Secondo Avvento di Cristo o, al contrario, soggiornare nel mondo dislocato dell’Anticristo. A tal proposito, Dick era convinto di aver vissuto, seppur per breve tempo, in un mondo in cui la Redenzione era già stata realizzata!

Se pure la cifra dell’unità cosmica è essenzialmente ontologica, non si può escludere che un suo riflesso psicologico emerga proprio nella ricerca, all’interno della tormentata esistenza di Dick, di una sistematizzazione organica della realtà, capace di tenere insieme autobiografia e storia del mondo, realtà sociale e abisso interiore, esoterismo e religione, letteratura e rivelazione. In questa chiave interpretativa il dramma interiore (e psichico) di Dick risponde anche alla difficoltà estrema di concepire l’unità metafisica di Bene e Male che la tradizione cristiana ha affrontato tematizzando il controverso rapporto fra Cristo e Anticristo. Dick – come riporta a più riprese Emmanuel Carrère[18] – visse continuamente sbalzato fra convinzioni opposte rispetto alla comprensione, nella sua esistenza, di dove le forze del Bene e del Male si trovassero realmente. Da qui anche il controverso rapporto con la religione istituzionalizzata: alla fiducia verso di essa, la frequentazione con l’“eterodosso” vescovo James Pike e la scoperta dello gnosticismo opposero la potenza ammaliante del mistero e dell’iniziazione. «Se Dick fosse stato ortodosso nella sua fede cristiana, alla fine la luce avrebbe avuto per forza la meglio» scrive ispirato Carrère. «Ed è ciò che avrebbe voluto credere, avrebbe dato la vita e forse anche l’anima per crederci. Ma in lui qualcosa di più profondo credeva, suo malgrado, alle tenebre eterne, al trionfo della morte vivente»[19].

La coappartenenza sottile delle figure di Cristo e Anticristo, propria di alcuni rami della tradizione cristiana, non è d’altronde un unicum nella storia delle religioni: l’ermeneutica comparatistica ha mostrato come “il mistero della totalità” – l’espressione è di Mircea Eliade – sia il cuore pulsante di ogni processo spirituale. La paradossale “simpatia” fra le forze del Bene e quelle del Male si basa sulla coappartenenza delle stesse – la celebre coincidentia oppositorum – su un livello metafisico superiore. Questa consapevolezza esoterica, in special modo alchemica, assunta dalla teologia cristiana più raffinata (Dionigi l’Aeropagita, Cusano, eccetera), è recentemente stata incorporata, nel processo di “camuffamento del sacro nel profano” (Eliade), all’interno della psicoanalisi (junghiana in particolare) e della letteratura (Balzac, Goethe): l’opera di Dick s’inserisce a pieno titolo in questo itinerario, echeggiando l’arcaica sapienza secondo cui «il Grund lo si può cogliere unicamente come un mistero e un paradosso; […] la perfezione divina non va concepita come una somma di qualità e di virtù, ma come una libertà assoluta, al di là del Bene e del Male»[20]. Questa verità ineffabile è riflessa, nella tradizione cristiana, anche nell’intuizione della affinità fra Cristo e Anticristo. Secondo alcune scuole cristiane gnostiche – illustra, ad esempio, sempre Eliade – sussiste uno specifico rapporto di fraternità fra Cristo e Satana, che sarebbero addirittura consanguinei[21].

Che Dick fosse sensibile a tale plesso di conoscenze filosofiche, religiose e sapienziali è un dato accertato dalla critica[22] – fra i numerosi autori citati nella sua opera vi sono i presocratici, Platone, Tertulliano, Agostino, Tommaso d’Aquino, Böhme, Lutero, Dante, Spinoza, Jung, Bergson, Martin Buber, Tillich, Teilhard de Chardin, Tagore – e traspare in tutta chiarezza negli affascinanti, seppur confusi, scritti teorici che costituiscono l’opus dell’Esegesi, miniera in fieri e intrinsecamente contradditoria di aforismi, appunti e riflessioni, di cui una ricca selezione è stata pubblicata postuma (2011). Il dualismo che riecheggia in talune asserzioni dickiane sembra in molti passaggi trovare una sintesi superiore («Non è necessaria nessuna teologia dualistica»[23]), sovente associata alla figura vittoriosa di Cristo – “cosmico”, com’è talora definito –, manifestazione visibile del divino nel mondo, mezzo, per chi ha fede in lui, di una rinascita in interiore homine (che è il cuore di Dio). Il centro della certezza metafisica di Dick è la verità ontologica del Mysterium Coniunctionis[24]. Nei termini del cristianesimo dickiano, è l’unità cosmica sigillata da Cristo: egli è il mediatore della Mente Universale affinché il Logos si dinamicizzi. «Il male» afferma Dick, «non è la manifestazione di una divinità maligna né un segno della vendetta di Dio, eccetera, ma un analogo nel più basso o nel microcosmo della difficoltà nel macrocosmo o pleroma. L’aspetto yin ha ecceduto i propri limiti, forse come un’oscillazione di un grande ciclo sopratemporale, e la rettificazione è già in corso»[25]. La soteriologia gnostica dickiana è pertanto ancorata a un ottimismo metafisico di fondo: «Il messaggero luminoso è giunto qui ed è qui, per riscattarci-salvarci in modo invisibile. Così passiamo dalla paranoia e dal negativismo alla soteriologia, alla vera gnosi!»[26]. La divinità si palesa proprio là dove meno la si attende, come l’Aleph borgesiano. Forse, persino nel Male. L’isomorfismo fra la parte e il tutto (fra microcosmo e macrocosmo, in termini esoterici), di cui Dick parla in numerosi passaggi dell’Esegesi, offre una base cosmologica speculativa che si muove nella medesima direzione.

Peraltro, sono assai numerosi gli esempi narrativi in cui la letteratura dickiana, indagando la polarità Bene-Male alla luce dell’Urgrund metafisico unitario – che spesso nell’Esegesi è definito, con riferimento alla metafisica indiana, Brahman –, approda a un immaginario connesso alla relazione binaria Cristo-Anticristo.

Ad esempio, la figura di Mercer in Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) ha una palese dimensione cristologica: assumendo su di sé la condizione miserabile dell’umanità, funge da capro espiatorio, libera l’umanità che nel sistema tecnologico è imbrigliata e passiva… Eppure, ben presto si scopre che anche Mercer è un “falso Cristo”: la sua liturgia è una truffa. Tuttavia, la condanna di Dick è sfumata: «Il mercerismo si allea con il capitalismo per creare un sistema in cui il privilegio finanziario si fonde senza difficoltà con ciò che è santificato dalla religione. Nonostante questa satira appuntita, il trattamento del mercerismo da parte di Dick rimane complessivamente ambiguo. Il testo rifiuta una scelta netta a favore di una o dell’altra ipotesi e implica che il mercerismo sia al contempo una forma di marketing politico e un’esperienza genuinamente significativa»[27].

Riferimenti affini erano già presenti in E Jones creò il mondo (1956), dove un fanatico ciarlatano assurge a profeta, salvatore e dittatore universale, in virtù dei suoi prodigiosi poteri predittivi. In ultima istanza, tuttavia, Jones non è una figura autenticamente superiore: l’unico modo che gli resta per affermarsi è, paradossalmente, morire martire difendendo la propria causa, segnatamente facendosi assassinare da due oppositori del suo dominio. «A molti critici letterari viene spontaneo leggere nel protagonista Jones un’allitterazione di “Jesus”, anche se il primo è soltanto un falso salvatore, un piccolo profeta da baraccone… e in effetti muove i primi passi della sua breve carriera in un circo»[28]. Il diavolo si cela nei dettagli. Letteralmente.

Anche in Ubik (1969) l’invisibile ha una fisionomia duplice: regno della speranza e dell’utopia, è anche il luogo in cui il mistero è perturbante, fonte di uno spaesamento persino crudele[29]. Ancora una volta, emerge uno sfondo divino che innalza e abbatte, consuma energie e dona nuova vita.

Nella monumentale trilogia di VALIS il divino appare nella forma di una rete d’intelligenza – Vast Active Living Intelligence System – la cui infinita potenza include, oltrepassandola, la polarità Bene-Male. Dick immagina VALIS come una realtà che ha parassitato gli uomini sulla terra: una possessione dal forte contenuto spirituale. Ancora una volta, vi è un perfetto parallelismo fra la calata del divino nell’uomo come Grazia e il malvagio impossessarsi dell’anima dell’individuo attuato dal male, similmente all’azione di Eldritch. Fenomenologicamente affini, sono eventi di segno spirituale antitetico. Se la ricerca del divino, nel primo volume della trilogia (Valis, 1981), si risolve con un nulla di fatto, nella Divina invasione (1981) Dick offre al lettore un’epica più immediatamente anagogica. La venuta di Dio assurge a figura fantascientifica – “divina invasione”, appunto. Il romanzo narra infatti dell’ingresso sulla Terra di un bambino, Emmanuel, detto Manny, nato su un lontano pianeta da due esploratori solitari i cui tratti rimandano palesemente a Giuseppe e Maria. Dick lumeggia una “sacra famiglia” in salsa fantascientifica: Manny si rivela ben presto l’incarnazione di Dio-VALIS, giunto sulla terra per uno scontro apocalittico con “Belial”, il Diavolo, con cui è però spesso fatalmente confuso. «A Manny piace essenzialmente giocare e danzare, come il Bambino Gesù rivelò a Umiliana de’ Cerchi; è accompagnato da un’amica quasi coetanea, Zina, che incarna di volta in volta il Battista, la Sapienza biblica, la Sophia greca, un personaggio simbolico della Cabala, una fata medievale»[30]. La radice cabalistica del simbolismo che Dick propone magistralmente rimanda alla dottrina dello tzimtzum, la contrazione originaria con cui Dio, tendendo la sua luce infinita, invera la manifestazione del Principio altrimenti privo di irradiazione.

La Caduta nel mondo, segnato dal caos e dall’irrazionale, sempre si accompagna, in teologia come nella fantascienza di Dick, alla possibilità che mediante la Sapienza (Sophia) l’uomo si scopra Logos divino e “ritorni al Padre”, al di là di Bene e Male. «Allora» come annota efficacemente Carlo Pagetti, che pure tende a depotenziare l’ispirazione religiosa dickiana, interpretandola in chiave metanarrativa, «anche la vita di uno scrittore di fantascienza alla fine della sua esistenza, di una ragazza drogata o devastata dal cancro, di un lettore che si nutre degli scarti della letteratura, potrà essere redenta e riscattata, la ricerca del Graal compiuta, e la terra desolata – per un attimo – restituita al suo originale splendore»[31].

Solitamente – laddove l’influsso di un certo radicale manicheismo gnostico non spinge Dick a sclerotizzare la polarità dinamica nella rigida contrapposizione Dio-Demiurgo[32] – rimane in Dick, coerentemente con il dettato esoterico tradizionale, la convinzione di un’unità cosmica essenziale, di cui le opposizioni non sono che svolgimenti, articolazioni interne di una medesima totalità, il cui mistero, come spiega Eliade, «esprime lo sforzo dell’uomo per raggiungere una prospettiva nella quale i contrari si annullino, lo Spirito del Male si riveli come un incitatore del Bene, i Dèmoni appaiano come l’aspetto notturno degli dèi»[33]. Non riecheggia, infatti, proprio questa sapienza nella tesi dickiana secondo cui, al culmine della sua ricerca spirituale, «sotto ogni messaggio negativo che confuta il mondo c’è un’affermazione di Dio e dell’amore»[34]? L’intervento nel male della storia, precisa Dick, fa parte di un processo dialettico volto alla costruzione del “macrosoma” divino: Valis, il Cristo Cosmico, sorge (anche) dall’interazione con il male inconsapevole, rendendo così possibile quella dimensione entro cui tutto è sacro, persino la bomboletta spray Ubik, i cui messaggi sono autentica vox Dei. È l’immagine del cosmo come entità vivente che affolla ossessivamente le visionarie dissertazioni del celebre discorso di Metz, con cui Dick sorprese e atterrì, nel 1977, il fedele pubblico di lettori: «Forse Dio non ha creato niente ma semplicemente è. E noi trascorriamo la nostra vita dentro di lui o lei, o cos’altro, chiedendoci costantemente dove possiamo trovare lui, lei, o cos’altro».

È quell’infinito enigmatico, misterioso e abissale che ha i tratti del vuoto, un Dio che «per Dick era il nome dell’amore e delle infinite possibilità della mente umana. Era il Dio di Spinoza più che quello di Pascal»[35]. Eppure, anche a questo Dio è possibile rivolgere delle preghiere: la richiesta fondamentale, da parte di Dick, è di essere incluso nel suo trionfo sull’Avversario, sul Dark Player. La tensione cristiana verso la liberazione dal Male può essere decriptata nell’invocazione, pronunciata a Metz: «Districami, Programmatore, mentre ottieni una vittoria dopo l’altra; includimi in quel trionfo. Spostami lungo l’asse laterale in modo che io non rimanga di fuori».

Chi avrebbe detto, fra i Padri della Chiesa, che una possibile risposta alla questione della teodicea sarebbe stata avanzata da un autore di fantascienza?

 

  1. Jorge Luis Borges, Qualche nota, in La cifra, ora in Tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, Mondadori, Milano 1986, vol. II, p. 1259. Su Borges mitopoieta si veda il dodicesimo numero di «Antarès», Jorge Luis Borges. Il Bibliotecario di Babele, Edizioni Bietti, Milano 2017.
  2. Philip K. Dick, L’esegesi, a cura di Pamela Jackson e Jonathan Lethem, Fanucci, Roma 2015, p. 421.
  3. Juan Eduardo Cirlot, Dizionario dei simboli, tr. di Maria Nicola, Adelphi, Milano 2021, p. 389.
  4. Cfr. René Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, tr. di Pietro Nutrizio e Tullio Masera, Adelphi, Milano 1982. Qui Guénon sottolinea come il simbolismo della caduta degli angeli rappresenti la controparte cosmica della contro-iniziazione.
  5. L’espressione è di Attilio Mordini. Cfr. il suo Il tempio del cristianesimo. Per una retorica della storia, Il Cerchio, Rimini 2006, p. 149.
  6. Philip K. Dick, L’esegesi, cit., p. 579.
  7. Cfr. Antonio Caronia, Domenico Gallo, Philip K. Dick. La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana, Agenzia X, Milano 2006, p. 280.
  8. «Anche Satana si maschera da angelo di luce» (2 Cor, 11, 14).
  9. Cfr. Luca Siniscalco, in AA.VV., Solstizio d’Inverno. Dialoghi alla luce del Sole di Mezzanotte, AGA, Milano 2021, pp. 25-27.
  10. Cfr. i diversi esempi proposti da René Guénon ne Il regno della quantità e i segni dei tempi, cit., cap. 39.
  11. Sebastian Franck, Paradossi, in Marco Vannini, L’Anticristo. Storia e mito, Mondadori, Milano 2015 (ebook).
  12. «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt, 10, 34). Affascinante e perturbante è notare come la stessa funzione – in chiave parodistica, ovviamente – sia quella del Diavolo che è, sin dalla sua etimologia (dal greco diaballein), il grande Divisore. Se in Cristo la divisione si determina come retto discernimento, in Satana si qualifica come rottura dell’Unità metafisica e culto della lacerazione di qualsivoglia relazione.
  13. Philip K. Dick, L’esegesi, cit., p. 601.
  14. Cfr. Mario Polia, Gianluca Marletta, Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni, SugarCo, Milano 2008, pp. 61-62.
  15. Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, a cura di Marco Vannini, Adelphi, Milano 2000, pp. 60-61.
  16. Zara Minc, La trilogia di Dmitrij Merežkovskij. Cristo e l’Anticristo, tr. di Giorgia Rimondi, in «eSamizdat», XIII, 2020, p. 404.
  17. Philip K. Dick, L’esegesi, cit., pp. 716-717.
  18. Emmanuel Carrère, Io sono vivo, voi siete morti, tr. di Federica e Lorenza Di Lella, Adelphi, Milano 2016.
  19. Ivi, p. 193.
  20. Mircea Eliade, Mefistofele e l’androgine, tr. di Enrico Pinto, Edizioni Mediterranee, Roma 2011, p. 75.
  21. Cfr. ivi, p. 76.
  22. Sul tema, oltre alla biografia di Carrère, che ben approfondisce la tensione spirituale di Dick, segnaliamo i seguenti studi: Lorenzo Di Tommaso, Redemption in Philip K. Dick’s The Man in the High Castle, in «Science Fiction Studies», vol. 26, 1999; Gnosticism in the Early Fiction of Philip K. Dick, in «Science Fiction Studies», vol. 28, 2001; Paolo Riberi, Pillola rossa o loggia nera?, Lindau, Torino 2017; AA.VV., The World according to Philip K. Dick, a cura di Alexander Dust e Stefan Schlensag, Palgrave Macmillan, Londra 2015 (in particolare la Parte IV, Exegesis).
  23. Philip K. Dick, L’esegesi, cit., p. 423. Dick riteneva che le divinità a lui manifestatesi sarebbero state «impegnate in una collaborazione segreta» (ivi, p. 343).
  24. Cfr. ivi, p. 851.
  25. Ivi, p. 473.
  26. Ivi, p. 1111.
  27. N. Katherine Hayles, How We Became Posthuman. Virtual Bodies in Cybernetics, Literature and Informatics, The University of Chicago Press, Chicago & London 1999, p. 175.
  28. Giovanni Arledler, L’opera di Philip K. Dick, in «La Civiltà Cattolica», a. 156, vol. I, quaderno 3712, 2005, p. 358.
  29. Per una convincente interpretazione filosofico-esoterica di Ubik rimandiamo al contributo di Andrea Scarabelli in questo numero.
  30. Giovanni Arledler, L’opera di Philip K. Dick, cit., p. 362.
  31. Carlo Pagetti, Vivere l’Apocalisse nel tempo di Valis, in Philip K. Dick, La trilogia di Valis, Fanucci, Roma 2020, p. 16.
  32. Secondo questo dualismo sarebbe possibile vedere il dramma teologico delle Tre stimmate sotto un’altra luce: Leo Bulero, antagonista di Eldritch, assurgerebbe ad allegoria di Cristo; sconfiggendo il proprio avversario, dopo molte peripezie, si qualificherebbe come un messaggero dello Spirito vittorioso sul Demiurgo creatore dell’illusorio mondo-prigione in cui sono incarcerati i personaggi del romanzo.
  33. Mircea Eliade, Mefistofele e l’androgine, cit., p. 113.
  34. Philip K. Dick, L’esegesi, cit., p. 406.
  35. Antonio Caronia, Domenico Gallo, Philip K. Dick, cit., p. 124.

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