The Neon Demon. Il giardino delle vergini invidiose

Alessandro Uccelli
Nicolas Winding Refn n. 4/2017

Proverò a lasciar da parte per un attimo i Mario e i Dario. Nicolas Winding Refn è un autore a cui piace giocare con il cinema di genere, coltivare i suoi cari e venerati maestri, lo sappiamo molto bene, ma è anche un regista estremamente ambizioso, appoggiato a un solido retaggio culturale, magari solo orecchiato o scippato qua e là. In questo è profondamente europeo, e tale è, paradossalmente, The Neon Demon.

È su alcuni riferimenti visivi, palesi o cifrati, che cercherò di soffermarmi. Il film si apre con una scena di shooting il cui esito potrebbe essere, almeno in apparenza, un emblematic shot, e stare all’inizio o alla fine: Elle Fanning bellezza morta, insanguinata, distesa, un corpo senz’anima, ripresa atemporale (come è in sostanza collocato fuori da una temporalità stringente tutto il film), immagine che si fissa nella memoria non solo perché usata per la promozione, ma anche in quanto crasi o mash-up di almeno tre opere pittoriche celebri – Les beaux jours (1944-45) di Balthus, L’incubo (1791) di Johann Füssli e La morte di Marat (1793) di Jacques-Louis David. Tre diverse visioni: la bellezza non innocente, filtrata dal ricordo dei pittori primitivi, e il narcisismo (la ragazzina di Balthus, abbandonata su una chaise-longue, si contempla lasciva allo specchio); l’orrore per l’irrazionale, per l’Unheimlich (e la luce livida, innaturale, nelle varie versioni del quadro di Füssli sembra anticipare proprio la luce al neon); la visione “documentaria” della morte “eroica” della ragione, di un personaggio, sarà forse una coincidenza, i cui scritti teorici giovanili insistono proprio sulla relazione tra corpo e anima.

Cos’è TND se non un film sulla visione, sull’invidia, prima ancora che sulla bellezza (e su come l’orrore possa essere generato dalla bellezza stessa)? Al di là della dimostrazione teorica al bar da parte dello stilista/Alessandro Nivola («La bellezza è tutto… la moneta di scambio più importante che hai»), la bellezza è concetto comunque relativizzabile, mentre l’invidia è un sentimento preciso, dalle manifestazioni riconoscibili fin dall’etimo: in (nel senso negativo di “contro”)-vidēre. Un moto dell’animo che ha a che fare con lo sguardo, con gli occhi – quindi col dispositivo cinematografico stesso. E, proprio per questo, non può che camminare a braccetto col desiderio. Se la constatazione della bellezza, della cinegenia disarmante di Jesse/Elle Fanning avviene quasi sempre frontalmente, il progressivo sentimento collettivo di invidia manifestato dalle colleghe più mature, parallelamente al desiderio esplicito di Ruby/Jena Malone (la truccatrice che sembra, mefistofelicamente, comparire anche là dove non te la aspetteresti) è fatto di dialoghi allo specchio, sguardi in tralice, visioni indirette, sghembe, laterali, e non sono certo il primo a dirlo1. Jesse suscita invidia e desiderio innanzitutto perché ha tutta la fragranza della gioventù, della novità, più ancora che della bellezza strictu sensu. E non sfugge a nessuno il fatto che νέον non è solo un gas nobile con cui si fanno tubi luminescenti da più di cento anni, ma racchiude proprio nel nome l’idea di novità, di modernità. È però una luce che, all’occhio nudo ma anche alla macchina da presa, rende difficile la messa a fuoco in profondità di campo e lavora invece sulle superfici, rivelandole selettivamente, alterando la percezione del colore. E infatti il film di Refn, lungi dall’essere opera superficiale o di superfici, sembra concentrarsi sulla difficoltà a trovare una prospettiva. Jesse è νέα, ha l’aspetto innocente della novità, compare a Los Angeles ma del suo passato non si sa nulla, forse non ne ha uno: «Non ci sono più», dice dei genitori evitando lo sguardo di Ruby. È tabula rasa, non ha qualità specifiche, non sa fare niente, dichiara all’amico («Non proprio un boyfriend») Dean/Karl Glusman: in sostanza non ha una prospettiva, se non quella di esistere. È una neofita e forse TND è, a suo modo, un percorso iniziatico. Come tale rimanda non soltanto a schemi tipici della narrativa fiabesca, ma, più di quanto ci si possa aspettare, alla letteratura esemplare medievale, quella dalle fabulae un po’ meno prevedibili come Le roman de la rose e i suoi derivati, dove assistiamo spesso al coinvolgimento di vergini dal comportamento ambiguo, di bestie magiche e altrettanto imprevedibili e crudeli (felini o unicorni che siano), di Narciso e, soprattutto, nelle quali ha un ruolo centrale la Fontana della giovinezza; perlomeno, TND tocca anche i tòpoi di quella letteratura, per magari rovesciarli o smentirli (in fondo si tratta di un film dove l’amore non ha domicilio e il sesso è uno squatter).

Refn crea per la ragazza uno spazio, «una stanza tutta per sé» nel più squallido dei motel, gestito dal più losco dei figuri, nel quale la giovane entra quasi sempre con uno scamiciato candido e dimesso al limite della sciatteria. Il décor, però, non sembra affatto casuale: una carta da parati a fogliami rende quello spazio un giardino sospeso, bidimensionale, uno sfondo millefleurs, un hortus conclusus, come in una miniatura, ma anche come in una delle più celebri serie di arazzi del Quattrocento, quella dell’Unicorno, oggi ai Cloisters di New York2. Ma Jesse è la vergine o l’unicorno? Se l’idea di iniziazione è legata al fatto di condurre la giovane fuori dal recinto, da quel bosco simbolico e piatto – ricondurla a una tridimensionalità, a una prospettiva – lo strumento è innanzitutto lo sguardo degli altri, che sia frontale o laterale. «La bellezza è nell’occhio di chi guarda», un occhio che stana la bellezza, inocula (non c’è verbo, di nuovo, etimologicamente più adatto) la consapevolezza nella giovane newcomer o forse, più semplicemente la risveglia. «Sei cibo o sesso? / Lei è il dessert, perché è così dolce» le domandano e si rispondono le colleghe al primo incontro – una festa mesta dove la luce “debole” del neon è sovrano e meraviglioso strumento di montaggio – ma sarà presto chiaro che la ragazza non è così dolce come appare. Il coguaro che viene trovato nella stanza non è forse altro che una prima manifestazione della sua ferinità, così come la bestia che sta sul petto della dormiente di Füssli è esternazione di un dáimon interiore. Un demone che in Jesse si risveglia nella folgorante sequenza della metamorfosi al neon rosso durante la sfilata (si è giustamente fatto notare che la moda è un pretesto più che un contesto), in una serie di primi piani che ricorda curiosamente quel poco che sopravvive di L’enfer di Cluzot3 e che la fa riemergere – selvatica e, per un istante, sproporzionata – dalla cortina di un bar. Rifiutate, di lì a poco, le attenzioni sessuali di Ruby4, il riposizionamento narcisistico della modella («Io non voglio essere come loro! Loro vogliono essere me!») avviene sul bordo della piscina, Fontana della giovinezza svuotata, scatola prospettica offerta in purezza: eppure Jesse, sul trampolino, è Narciso senza più medium specchiante, è Icaro senza ali, e l’immagine continua a essere senza profondità.

Dopo la mattanza, evocata dal bagno nel sangue (speculare rispetto alla posa à la Marat che Jesse ha nel primissimo servizio fotografico), Ruby ricompare, al centro di un roseto esplicitamente hortus, raggomitolata nella fossa, squadrata e fonda, dove forse è sepolto quel che rimane della modella: solo cannibalizzandola ha potuto prendere il suo posto, come del resto fanno Gigi e Sarah. Come in fondo fa, nell’impossibilità di comprenderla, la mdp, che si rassegna, nella semi-soggettiva del finale, ad accompagnare di spalle un neon demon senza volto, nella prospettiva, sterile, delle losanghe di una salina.

 

Note

1 Rimando alla lunga analisi di Andrea Bellavita, che ha insistito molto sulla divaricazione tra frontalità e lateralità dello sguardo in TND: www.doppiozero.com/materiali/neon-demon.

2 Non è forse un caso se uno di questi panni rappresenta Narciso alla fonte.

3 Ironia della sorte, il DOP virtuosistico di questo sfortunato film fu Andréas Winding, nessuna relazione di parentela con Refn.

4 La relazione tra corpo, immagine della modella e impossibilità di relazionarsi carnalmente è al centro di una bella riflessione da parte di Pietro Bianchi, L’erotica del corpo della modella, www.leparoleelecose.it/?p=23321.

 

 

CAST & CREDITS

 

Regia: Nicolas Winding Refn; soggetto: Nicolas Winding Refn; sceneggiatura: Nicolas Winding Refn, Mary Laws, Polly Stenham; fotografia: Natasha Braier; scenografia: Elliott Hostetter; costumi: Erin Benach; montaggio: Matthew Newton; musiche: Cliff Martinez; interpreti: Elle Fanning (Jesse), Karl Glusman (Dean), Jena Malone (Ruby), Bella Heathcote (Gigi), Abbey Lee (Sarah), Desmond Harrington (Jack), Christina Hendricks (Roberta Hoffmann), Keanu Reeves (Hank); produzione: Space Rocket Nation, Vendian Entertainment, Bold Films; origine: Francia, Usa, Danimarca, 2016; durata: 118’; home video: dvd e Blu-ray Koch Media; colonna sonora: Milan Music.

 

 

 

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