Il passato visto dal futuro. L’imprenditore Nicolas nell’industria culturale
Manlio GomarascaPer chi fa film per il futuro il confronto con il passato è inevitabile. Nicolas Winding Refn si definisce un regista che viene dal futuro e che fa film per il futuro. I critici malpensanti sostengono che dica così per giustificare gli scarsi risultati al box-office, ma guardando con più attenzione un film come The Neon Demon (2016) verrebbe voglia di dargli ragione. A differenza di un Quentin Tarantino, che fa film per il presente subito capiti e metabolizzati dallo spettatore post-moderno, l’opera di Nicolas Winding Refn resta un corpus unicum di difficile catalogazione. Nessun film è uguale al precedente e nessun film è simile a quello che il mercato oggigiorno propone. Certo, c’è anche molta presunzione, ma questo fa di lui quell’autore difficilmente catalogabile che attira e respinge allo stesso tempo. Forse perché è proprio una questione di tempo o, meglio, di “tempi” che non sono ancora maturi. Sarà la Storia a dire l’ultima parola, ma prima che questo accada anche NWR dovrà diventare un autore del passato e allora ci saranno nuovi registi, nuovi critici e nuovi spettatori che nel frattempo avranno metabolizzato, capito, reinventato il suo modo di fare cinema. Come Tarantino, Eli Roth, Rob Zombie, Gaspar Noé e tutta la generazione di cineasti “cannibali”, cresciuti ed educati alla scuola di un cinema popolare vissuto e amato sulla propria pelle, NWR è un autore che non disdegna il citazionismo ma, a differenza di Tarantino, lo pratica in maniera meno convenzionale. Nell’uso delle musiche di repertorio, per esempio, è molto più simile a Gaspar Noé, che in Love (2015) ripropone la nenia infantile di Profondo rosso di Dario Argento (1975) per sottolineare il drammatico epilogo della scena di sesso tra i protagonisti. Tarantino, invece, usa le musiche di Morricone & Co. sempre a giusto corredo della sequenza, senza lavorare per contrapposizione. A differenza per esempio di Drive (2001), dove le note struggenti di Oh My Love di Riz Ortolani, “rubate” dalla colonna sonora di Addio zio Tom di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi (1971), accompagnano il viaggio del “fantasma” protagonista verso il suo infausto destino, creando un’atmosfera a dir poco straniante. Insomma, il rapporto tra Refn e i suoi guilty pleasures di gioventù è meno netto e chiaro che per altri autori contemporanei. Che poi ci siano maggiori affinità elettive tra NWR e Gaspar Noé rispetto a quante ce ne siano tra NWR e Mr. Tarantino è invece cosa chiarissima. Tutti loro, però, guardano al passato e di quel passato sono anche amanti e rivalutatori. Con una grande differenza: mentre Tarantino è un teorico del bis, il rapporto tra NWR e quel tipo di cinema è – diciamo così – più archeologico. A Refn interessa scoprire, preservare e presentare l’oggetto filmico ancor prima che sviscerarne il contenuto e analizzarlo. Era ed è rimasto un fan boy che sogna il cinema del proibito e i templi dove lo si celebrava e dai quali, purtroppo, era escluso: «Mi sono trasferito a New York quando avevo otto anni, così non ho mai potuto sperimentare la vera Times Square, posso solo romantizzare su quel periodo. Per me è come una favola leggere di quei giorni. Ho sempre pensato di essere nato dieci anni troppo tardi»1. Non male per uno che viene dal futuro.
ALL’INIZIO FU MILLIGAN
Il viaggio di Nicolas Winding Refn nel mare magnum delle pellicole popolari inizia con l’acquisizione dell’archivio Andy Milligan, uno dei registi meno osannati e valorizzati dell’exploitation americana. Non che NWR fosse un estimatore di Milligan, intendiamoci – e chi veramente può definirsi fan di pellicole come La camera della tortura (1970), Macellai (1970) o L’invasione degli ultratopi (1972)? – ma l’idea di mettere le mani su quello che quasi nessuno aveva mai visto prima era uno stimolo al quale non poteva resistere. Lo spiega bene nella prefazione al Blu-ray di Nightbirds (1970) e The Body Beneath (1970): «Quando è uscita la biografia di Andy Milligan, The Ghastly One. The Sex-Gore Netherworld of Filmmaker Andy Milligan, scritta da Jimmy McDonough, che parla del regista e del suo posto nel mondo dell’exploitation della 42ma Strada, l’ho subito adorata. Pensavo fosse affascinante. Improvvisamente ho avuto una visione completamente diversa dell’uomo, che mi ha davvero intrigato. Così ho cominciato a diventare ossessivo, volevo andare su eBay e comprare ogni cosa legata a Andy, finché un giorno incappai in Jimmy McDonough in persona che vendeva la sua collezione di film di Andy Milligan: una copia unica di Nightbrids e di The Body Beneath, la copia-lavoro di House of Seven Belles (girato nel 1979 e mai finito), l’incompiuto Compass Rose (1967) e qualche trailer. 25mila dollari per il lotto. Ho comprato tutto. Mia moglie vide le scatole dei film arrivare e disse: «Cosa sono questi? Dove li mettiamo? Quanto hai speso? Sei pazzo? Hai speso 25.000 dollari in film che non importano a nessuno?». Ho detto: «Ma tesoro, questo potrei essere io!». Non stavo scherzando. Quando ho cominciato a capire le condizioni nelle quali era costretto a lavorare, ho cominciato a sentire che in lui c’era un po’ di me. Sono sicuro che, come regista, facendo i film che ha fatto ha avuto molti degli stessi pensieri che ho avuto anche io. Mi sono sentito quasi un protettore, a quel punto mi sono sentito connesso a Andy. Il mio sentimento era: «Bene Andy, lo mostrerò al mondo! Forse non sei stato un talento convenzionale ma di certo hai dimostrato determinazione, e hai fatto film alla tua maniera – il che è molto interessante»2.
COME UN VAMPIRO
Ecco un altro elemento fondamentale del rapporto tra NWR e il cinema bis: il bisogno del confronto. In particolare in questa fase specifica della sua carriera. Per uno cresciuto guardando “brutti film” alla televisione o in videocassetta e sognando di essere lui stesso l’artefice di quegli osceni capolavori, trovarsi a essere il regista di punta degli spot di Prada deve essere alquanto destabilizzante. È come se nella sua mente ci fosse una dicotomia tra l’attrazione per le pratiche basse e le aspirazioni glamour, cosa che ben si avverte guardando un film come Solo Dio perdona. Only God Forgives (2013). Ecco allora il bisogno spasmodico dell’incontro con tutti quei registi che, in un modo o nell’altro, sono stati artefici della sua formazione: da Alejandro Jodorowsky, che ha eletto a suo mentore, a Tobe Hooper, che ha incontrato nel 2014 in occasione della presentazione della versione restaurata di Non aprite quella porta (1974) alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes. Più che con Jodorowsky – con il quale oggi tutti si riempiono la bocca, anche se il rapporto tra i due è qualcosa di molto più intimo e morboso di quanto che si possa pensare – assistere all’incontro notturno tra NWR e il papà di Faccia di Cuoio sulla terrazza del Martinez è stato illuminante. Hooper – che era andato giù duro come sempre con l’alcol, mentre Refn è un astemio convinto – si è trovato del tutto impreparato a quello che sarebbe seguito. Pensava a una serata di small talk, probabilmente, una chiacchierata leggera sulla contemporanea industria cinematografica o una discussione cinefila sui film del passato. Aveva già affrontato quelle tematiche per tutto il pomeriggio, nelle tante interviste prima della proiezione. Refn, invece, è partito subito secco, chiedendogli a bruciapelo: «Dimmi la verità… Chi ha diretto Poltergeist. Demoniache presenze (1982), tu o Spielberg?». Ci fu un attimo di imbarazzo (e altro whisky per Tobe), ma poi, come d’incanto, si è aperto un fiume in piena. Hooper ha parlato con disarmante onestà non solo dell’affaire Poltergeist ma anche della sua vita privata, della sua infanzia difficile, delle aspettative di carriera non mantenute, delle crisi d’ansia… E Nicolas ha fatto lo stesso. Nei tanti incontri avuti con Hooper nel corso della carriera non avevo mai assistito a qualcosa del genere. Il bisogno sincero e incontenibile di NWR di carpire i segreti dell’anima di quello che per lui era stato una sorta di (cattivo) maestro aveva compiuto la magia. Il vampiro che si nutre del sangue di una vittima che si concede con disarmante complicità. Ha fatto la stessa cosa con Dario Argento a Venezia, durante una cena alla Favorita. Argento se ne stava sulle sue e probabilmente non capiva neanche bene perché quel giovane danese avesse apposto il suo nome alla versione restaurata del film che lui e George A. Romero avevano realizzato trent’anni prima. Dopo un momento di reciproca diffidenza, ecco le domande serie e gentilmente aggressive di Nicolas. Ancora il morso del vampiro. Argento parlò a ruota libera di suo padre, dell’uso di stupefacenti, dei fallimenti personali, come se il resto del mondo intorno a loro non esistesse. Alla fine mi disse: «È come se avessi fatto una seduta dalla psicanalista».
NWR PRESENTA
Refn esterna il proprio bisogno di confronto anche durante la presentazione – sempre a Cannes 2016, nella sezione Cannes Classic – di Terrore nello spazio di Mario Bava (1965). Questa volta il suo coinvolgimento è maggiore visto che, grazie all’amicizia con la famiglia Lucisano, ha firmato la versione 4K del film: «Uno dei miei più grandi rammarichi è di non avere mai incontrato Mario Bava, un regista davvero innovativo per i suoi tempi. Terrore nello spazio combina diversi generi all’interno di un classico senza tempo. È un film che ho visto spesso e sono stato estremamente onorato quando il produttore Fulvio Lucisano mi ha chiesto di presentarne la versione restaurata. Per descrivere il film in una frase vorrei dire che Terrore nello spazio non è solo il miglior film di fantascienza di tutti i tempi, ma è anche uno dei migliori esempi di Pop Art»3. Con Terrore nello spazio, NWR sente il bisogno di utilizzare il proprio nome per promuovere e dare nuova vita i classici del passato. Film che altrimenti sarebbero confinati ai passaggi televisivi o a semplici uscite home video vengono così riportati all’attenzione della cronaca internazionale e, cosa ancora più importante, riproposti nella migliore qualità possibile. Poco dopo avrebbe fatto la stessa cosa con Zombi di Romero (1978), rimasterizzato da Koch Media e Midnight Factory e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2016. «Quando il mio amico Manlio Gomarasca mi ha parlato del progetto di un restauro della versione di Dario Argento del film Zombi ho detto: “Wow, questo è un grande capolavoro del cinema” e così, quando Koch Media mi ha chiesto di presentarlo, mi sono sentito onorato perché penso sia uno dei film più importanti del cinema contemporaneo e mi faceva piacere potere essere di aiuto in qualche modo a una sua nuova circolazione». Per NWR aggiungere la propria firma (meglio: il proprio logo) a questi film più che un mezzo per promuovere se stesso, come sostengono i detrattori, è un modo per restituire un qualcosa ai film stessi; per ringraziare quelle visioni proibite e tentare di preservarle per le generazioni a venire. In quest’ottica andrebbero letti anche gli annunciati progetti dei tanti remake dei quali NWR dovrebbe essere produttore esecutivo: da Poliziotto sadico di William Lustig (1988) a Cosa avete fatto a Solange? di Massimo Dallamano (1972), fino a Il grande inquisitore di Michael Reeves (1968). Sebbene nelle sue intenzioni – come già nel caso dell’ormai abortita serie tv Barbarella – dei film originali dovrebbe rimanere solo il titolo, cioè la forma, ma non certo il contenuto. Un altro modo per traghettare il passato verso il futuro.
L’ATTO DI GUARDARE
Come molti appassionati del genere, anche NWR è un collezionista. La gran parte dei soldi che spende per il suo piacere finisce soprattutto in colonne sonore e manifesti cinematografici. Come nel caso di Milligan, la sua ricerca ha come unico comune denominatore l’oblio: meno un film o un regista sono conosciuti, più la sua voglia di possesso cresce. «Alcuni anni fa» racconta Refn «ho comprato una collezione di poster di film americani da Jimmy McDonough, che li ha raccolti negli infami cinema di Times Square all’epoca in cui l’intera area era una zona proibita per molte persone. Ha letteralmente strappato gli one-sheet dai muri, prendendoli dalle vetrine sporche dei cinema o trovandoli in polverosi scantinati. Quando ho cominciato a guardare la pila di manifesti, la mia prima reazione è stata chiedermi perché avessi pagato una così considerevole somma per tanta carta straccia. Visto che non sono un conoscitore delle enciclopedie del cinema, c’erano solo pochi titoli che riuscivo a riconoscere. Poi una sera, a cena, il mio amico giornalista Alan Jones mi ha suggerito di collezionarli tutti in un libro, visto che di molti di quei titoli nessuno si ricordava neanche più, alcuni erano del tutto dimenticati, altri completamente oscuri o discussi in maniera approssimativa da chi non li aveva mai visti»4. Il risultato di quella proposta si intitola The Act of Seeing: un costoso ed elegante libro fotografico prodotto da NWR per l’editore inglese FAB Press. Anche in questo caso non si tratta di un’analisi critica, ma di una raccolta di immagini rare – di cinema exploitation in carta – del tutto diversa da prodotti similari come The Art of B-Movie Poster! di Adam Newell, Stephen Jones, Kim Newman, Eric Schaefer e Peter Tombs o Trash: The Graphic Genius of Xploitation Movie Posters di Jacques Boyreau, che si concentrano invece sui titoli più rappresentativi del genere. Quello che emerge prepotentemente da The Act of Seeing sono il bisogno e l’ambizione di scrutare nella melma e di elevarla a forma di arte. Il libro stesso diventa così oggetto prezioso, ricercato, raffinato e, soprattutto, capace di travalicare i confini del genere stesso e dei singoli film proposti.
Si potrebbe dire che NWR ha trovato il modo per sdoganare Andy Milligan in casa di Miuccia Prada. Anche questa, in fondo, non è altro che un’inquietante visione del futuro.
Note
1 Dalla prefazione di Refn al booklet di accompagnamento del Blu-ray di Nightbirds e The Body Beneath edito da BFI (2012).
2 Ibidem.
3 Dalla brochure per le vendite internazionali di Terrore nello spazio realizzata per il Festival di Cannes del 2016.
4 Dalla prefazione di Refn a Nicolas Winding Refn, Alan Jones, The Art of Seeing, Fab Press, Godalming (UK) 2015.