"Song’e Napule". La pirateria dell’anima passa dal cuore

Matteo S. Chamey
Manetti Bros. n. 14/2022

La strada è irta di passaggi a livello fuori dal tempo. Il consolidamento di un tracciato è una linea retta frammentata dal viavai di arie in movimento. Un suono, una cantilena, quel rumore del clacson celebrano la vita di passi cadenzati sul suolo della perdizione. Napoli è cuore e morte, gioia e sentimento all’ennesima potenza. Ti strattona, ti ama, ti imbarazza e ti sfrutta, ma sempre con il còre. I Manetti Bros. confezionano una comedy-poliziesca dai risvolti furfanteschi, edulcorati da un sano spirito di autocritica unto dal cinismo interpretativo di chi quella vita la vede con distacco. La furtanteria napoletana si specchia nel volto del protagonista (prima Paco Stillo e poi Pino Dinamite) interpretato da Alessandro Roja, sfuggente perbenista che ripudia la Napoli delinquenziale e tutti i suoi cliché tanto sviolinati dall’incedere circoscritto del partenopeo verace. Talentuoso pianista raccomandato alla polizia, passa le giornate a censire la merce sequestrata fino a quando non viene accidentalmente notato dal commissario della Squadra Anticrimine, alla ricerca spasmodica di un elemento di disturbo che faccia da punto di convergenza per una delicata manovra di infiltrazione camorristica. La recitazione neo-parodica filtrata dai Manetti addolcisce gli schemi classici della commedia all’italiana giocando in sottrazione: giunti all’irritante, gli autori spostano rapidamente l’attenzione su fatti e inquadrature dal taglio poliziottesco, virando come trottole per mantenere l’equilibrio narrativo (senza perdere la bussola) e sterzando con maestria su primi piani, toni di voce e volti per non eludere la sostanza. Sequenze di inseguimento ed episodi che pochi in Italia sono in grado di portare su schermo definiscono ritmo e musicalità di performance attoriali dai sinceri riferimenti leoni(a)ni, lasciando ai brutti ceffi la libertà di espressione più naturale che simili condizioni porterebbero ad assumere.

Lollo Love (cantante neomelodico, espressione tipica della Napoli cuore-amore) si ritrova malauguratamente senza tastierista prima di suonare al matrimonio della figlia di un noto camorrista. Cerimonia alla quale partecipa O’ Fantasma, il latitante e sanguinario Ciro Serracane, un nome una garanzia. Grazie a un gioco sporco (la polizia fa arrestare il tastierista) il buon Paco riesce a prendere il posto dell’elemento mancante, innescando l’inevitabile curiosità della band nei confronti di un perfetto sconosciuto inverosimilmente allergico alle istanze locali. Non può mancare l’ingrediente femminile, l’acerba (ma non troppo) e già mascalzona Serena Rossi, che nel 2013/2014 scalava le classifiche di notorietà grazie a quella sua bellezza napoletana di semplicità straordinaria, emblema di femminilità campana in smorfie, accento, sorrisi e contagiosa solarità. Sorella di Lollo, incontra il futuro Pino Dinamite in un negozio di dischi, di fatto innamorandosene per la goffaggine con cui lui tende a occultare i dischi del fratello appena comprati per studiarne le «elegiache partiture». Da qui parte una fenomenale carrellata neomelodica popolare tra le ospitate del gruppo in giro per la città e la provincia. Una celebrazione religiosa della devozione che il popolo campano nutre per questi personaggi della fiction locale, ricercati, amati e quasi oniricamente necessari come un rosario tra le dita. Cantanti del popolo, uno di noi in mezzo a noi, l’arte dell’amore e della seduzione in musica, l’esigenza tutta partenopea di affetto sempre e ovunque, perché a Napoli oltre alla pizza e alle pallottole si respira aria di sentimento. Lollo si destreggia tra una chiamata e l’altra, dispensando parole d’amore a tutte le fan che lo chiamano («Cuoricinaaaa») mentre la trama scorre frenetica sino al concitato epilogo nella villa del boss. Il coinvolgimento fraterno di Paco tende a complicare non poco i programmi, che rischiano di saltare a causa di piccole inefficienze nel piano strategico sin lì seguito alla lettera, al punto che la tensione avvertita dal protagonista durante l’esibizione musicale rischia di attirare fin troppo l’attenzione di O’ Fantasma, distrattamente individuato nella figura di un altro uomo apparentemente privo del dito medio della mano destra (unico elemento che può far risalire al temibile latitante).
Tra sceneggiate napoletane familiari, sketch fuorvianti e confronti a muso duro, l’assedio tra le quattro vaste mura della villa si trasforma in una lotta cerebrale di resistenza alla pressione ansiogena. Peppe Servillo, nel ruolo di Ciro Serracane, ha il viso nudo e crudo della cordiale compostezza dell’uomo d’onore pronto a pugnalarti alle spalle. Paolo Sassanelli è il commissario Cammarota, volto dal grande spessore cinematografico, personificazione di un treno impossibile da far deragliare se non con le misure più becere, perché il male lo distruggi con le sue stesse armi: forti senza mezze misure, fuori da ogni regola possibile. Scaltrezza, azione e il fendente al momento giusto. Privo di telefoni cellulari per comunicare all’esterno (sequestrati appositamente dalla sicurezza della reggia), Paco sbaglia “mira” facendosi beccare proprio dal killer senza volto in un momento topico del quadretto finale. Utilizza il telefono di un bambino comunicando alla polizia che O’ Fantasma sta uscendo dall’abitazione, di fatto sbagliando bersaglio, in quanto è proprio l’uomo che sostava di fianco a questo ragazzino a essere privo di un dito. Inseguito con un sotterfugio che non desti sospetti, il pericolo incombe su tutti i presenti scatenando l’ira di Ciro, pronto a tutto pur di continuare a fuggire dalla polizia.
Le concitate fasi finali confermano quanto di buono sin qui espresso dai Manetti Bros. seguendo un filo conduttore autoriale stratificato su macro-livelli: volti, partecipazione non enfatizzata, accento popolare marcato, dinamismo anni Settanta, dialoghi serrati stringenti o da commediola all’italiana senza eccessi, partecipazione fondamentale delle comparse o degli attori poco impegnati nel contorno, taglio fotografico puntuale, ambienti essenziali con elementi della cultura popolare, musicalità. Song’e Napule è stata una trasmissione radiofonica di Rai Radio 1 alla fine degli anni Novanta, ideata e condotta da Renato Marengo e Michael Pergolani e dedicata alle novità esclusive del panorama neomelodico napoletano, quell’ingrediente fondamentale per comprendere l’amalgama in cui sprofonda una simile pellicola. Lontani dal cinema delle macchiette, lontani dal cinema d’autore con la puzza sotto il naso, vicini al cuore del sentire e vivere italiano con tutte le sue imperfezioni, distrazioni, limitazioni e passioni, i Manetti sintetizzano le percezioni, le sparano dentro una pistola fumante e le lasciano svolazzare per aria con un senso alla marcia.

CAST & CREDITS
Regia: Manetti Bros.; soggetto: Giampaolo Morelli; sceneggiatura: Manetti Bros., Michelangelo La Neve; fotografia: Francesca Amitrano; scenografia: Noemi Marchica; costumi: Daniela Salernitano; montaggio: Federico Maria Maneschi (come Federico Maneschi); musiche: Pivio, Aldo De Scalzi; interpreti: Alessandro Roja (Paco Stillo/Pino Dinamite), Giampaolo Morelli (Lollo Love), Serena Rossi (Marianna), Paolo Sassanelli (commissario Cammarota), Peppe Servillo (Ciro Serracane), Ciro Petrone (Pastetta), Carlo Buccirosso (questore Vitali), ; produzione: Devon Cinematografica, Rai Cinema; origine: Italia, 2013; durata: 114’; home video: Blu-ray 01 Distribution, dvd 01 Distribution; colonna sonora: I dischi dell’Espleta.

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