Il punto fermo. Intervista a Veronika Logan
Manetti Bros. n. 14/2022di Claudio Bartolini
Veronika Logan è la costante femminile di L’ispettore Coliandro, «dalla prima puntata sempre presente» nei panni del sostituto procuratore Longhi.
«Fredda come un pinguino nelle mutande, simpatica come un gatto attaccato ai coglioni e stronza come uno scorpione nel culo», così Coliandro definisce la Longhi. Qual è, secondo te, la funzione del tuo personaggio?
È fondamentale, cardine. Ogni puntata di Coliandro è simile: c’è sempre la ragazza della quale lui si innamora e il caso viene rocambolescamente risolto, quindi il disegno è sempre quello. Poi cambiano le componenti e, all’interno di questo disegno, ci deve essere per forza il conflitto. Io, aldilà dei cattivi, faccio parte del conflitto, di un ulteriore scalino che l’ispettore deve superare. Sono un ostacolo in più e questo ovviamente funziona, perché laddove c’è il conflitto c’è l’interesse. Coliandro pensa di lei tutto quello che tu hai citato, però in qualche modo vuole piacerle. Se a Longhi scappa qualche mezzo complimento, per lui è veramente Natale. Pur definendola una stronza totale, vuole essere in qualche modo riconosciuto. Lei raramente lo gratifica, per cui, all’interno della narrazione, è molto importante che rimanga il conflitto e che rimanga sempre una certa tensione… non voglio dire sessuale, però una tensione uomo-donna superiore e sottobosco.
Il tuo personaggio in apparenza sembra monolitico, ma in alcune puntate scopriamo il suo passato…
Con il francese… Be’ sì, Longhi non porta mai la vita privata all’interno del lavoro, ma inevitabilmente ogni tanto il suo vissuto viene fuori. È una donna sposata al suo ruolo, alla causa, però comunque è una donna che ha una vita sentimentale. Magari fredda però ce l’ha, ce l’ha anche lei, e menomale! [ride, nda]
Con i fratelli Manetti e con i membri fissi del cast, negli anni, si è creato un gruppo di lavoro come quello che hai sperimentato nelle soap o in altre serie?
Per molti aspetti è simile al mondo della soap perché lavorando insieme ci si conosce, si conoscono perfettamente le dinamiche di lavoro e, quindi, queste certezze tolgono molta ansia da prestazione. Sul set di Coliandro, come su quello di Vivere, non c’è la componente di tensione che accompagna molti attori su un set nuovo. Ma mentre in Vivere avevamo uno schedule molto rigoroso e questo rendeva tutto più semplice, togliendoci un po’ di responsabilità, in Coliandro, siccome giriamo in poco tempo – i Manetti sono molto veloci – cerchiamo sempre di mantenere uno standard alto. Quando capitano giornate in cui non lavoro bene mi sento veramente in colpa – cosa che non succedeva in Vivere – però devo dire che Marco e Antonio ti dirigono, ti danno delle indicazioni di personaggio, ti rimettono sempre in riga.
Ecco, come lavorano? Fammi qualche esempio…
Antonio rappresenta più la parte tecnica. Se non c’è Francesca Amitrano [direttrice della fotografia delle stagioni 5 e 6, ndr] fa anche l’operatore, soprattutto con la camera a mano, quindi è più concentrato sulle riprese. Marco, invece, è quello che approfondisce le caratteristiche del personaggio. Se perdo la bussola, è lui a rimettermi in riga. I Manetti sono complementari. Spesso si scontrano, però alla fine tutto si aggiusta. Anche quando temi che stiano per tirarsi una lattina di Coca-Cola – che non manca mai sul nostro set, vorrei aggiungere [ride, ndr] – in qualche modo poi risolvono e tutto torna calmo. Sono veloci, molto veloci, quindi l’attore ha una forte responsabilità su quello che fa. Il loro è un set completamente privo di fronzoli, per cui non ci sono particolari agevolazioni per il cast. Abbiamo avuto anche grandi nomi, come per esempio Claudia Gerini, ma chiunque venga sul set di Coliandro non deve aspettarsi trattamenti diversi dallo sconosciuto. È un modo di lavorare molto democratico, molto imparziale, molto bello, che la serie si è guadagnato: sapendo di prendere parte a un prodotto a cui tanti vogliono bene – anche se non paga cifre astronomiche e non garantisce un alto livello di stardom – pure i grandi nomi accettano volentieri. Perché i Manetti hanno credibilità, e ce l’avevano anche prima del David ad Ammore e malavita [2017, ndr].
Il momento di maggiore aggregazione tra me e i Manetti è la pausa pranzo. Sui loro set ogni tanto arrivano cestini, ma il più delle volte c’è un catering, quasi mai italiano, quindi la mia domanda, la mattina, è quasi sempre: «Che menù abbiamo?». Pur pesando 50 chili da sempre – sono uno scricciolo – mi piace magna’ e con loro è sempre una sorpresa, una grande festa, la reiterazione del momento conviviale.
A livello di set non abbiamo mai avuto uno screzio, un contrasto. Loro sono sempre anche generosi, per esempio rispetto all’abbigliamento che un attore può avere o non avere. Ci siamo sempre trovati in linea, non ho mai avuto difficoltà… Anzi no, forse una volta, quando hanno buttato Longhi sotto l’autobus, ho provato un po’ d’ansia, però poi c’erano il manichino, lo stunt, ed è stato a suo modo facile.
Si ride tanto, sempre. Giampaolo è uno che ti fa ridere, con Sassanelli ridi, con Soleri ancora di più: è un set su cui non manca mai la giovialità, anche quando Giampaolo è stanco morto. Lui è sempre in scena, quindi è spesso stravolto, ma non c’è mai nervosismo.
Nell’episodio Smartphone i Manetti mi hanno fatto un bellissimo complimento dicendomi che, nonostante fossi di età più avanzata rispetto alla media delle Coliandro Girls, la scena di seduzione era risultata molto conturbante. Erano molto contenti dell’essenza, della sensualità di quel momento, e questo mi ha fatto piacere.
Accanto agli elementi tipici della serialità, trovo che in Coliandro ci sia anche tanto cinema, a differenza della media delle fiction prodotte dalla Rai…
Dal giorno 1 dell’episodio pilota, Marco e Antonio sono riusciti a far passare il loro linguaggio cinematografico: pochi primi piani, per esempio, costringendo lo spettatore medio Rai a stare attento ai dialoghi pur di fronte a un grandangolo in ascensore. Ci sono scene volutamente al buio, oppure senza campo e controcampo… Loro hanno avuto la capacità, rara, di parlare un linguaggio diverso dalla classica fiction. Per cui Coliandro è sì cinematografico, assolutamente, ma in un contenitore televisivo senza grandi nomi – soprattutto la prima stagione. Perché Giampaolo è diventato Giampaolo, un attore incredibile, ma nella prima stagione, in Rai, c’è stato chi ha deciso di mandarlo in onda con un grande atto di coraggio. Bene o male eravamo io, Silvestrin, Giampaolo, mica nomi nazionalpopolari come Terence Hill e la Laurito! In più con una regia che spesso non narra in campo e controcampo, con musiche anni Settanta tipo Serpico, con risse, immigrazione, mafia cinese, roba lontana anni luce da noi. Marco e Antonio sono stati bravissimi a farsi leggere: in primis dal funzionario che ci ha messo in onda, poi dal pubblico che ci ha accolti, quindi dal corpo della polizia che è fan assoluto e si rivede in un personaggio umano, non supereroico.
Nel tuo episodio – definisco Smartphone il tuo episodio…
Sì, è di diritto il mio! [ride, ndr].
…in quel caso, alla sesta stagione, ti dicono: devi fare la protagonista.
Mi telefona Elda Baldi, nostra storica segretaria di produzione: «Vero, per questa stagione ti dobbiamo prendere un appartamento»; «Perché?», le rispondo, abituata alla sistemazione alberghiera; «Perché di diritto tutte le nostre protagoniste di puntata hanno l’appartamento»; «Scusa? Torna indietro un attimo! [ride, ndr]». Poi mi arrivano i copioni, infine mi chiama anche la produttrice Rai, Doriana Caputi, dicendo che finalmente la Longhi ha la sua puntata.
Ero contentissima, anche perché quell’episodio arrivava al momento giusto. Non che me lo aspettassi, ma era una gratificazione enorme. Anche se, va detto, per me il personaggio è sempre stato cardine e funzionale, e anche negli episodi in cui appare meno non è meno. Quando sei in un progetto così bello e importante, alla fine non stai a contare le pose, però mi ha fatto piacere, anche perché i fan si aspettavano questa cosa che è rimasta un po’ ambigua, e lo rimarrà per sempre.
Immagino che tu stia parlando della liaison tra Coliandro e Longhi: anche per te è rimasta ambigua?
No no, per me non è rimasta ambigua, e nemmeno per Giampaolo, ma non ne si può essere del tutto certi. Lei potrebbe essere rimasta una stronza integrale, o averlo usato, o essersi fatta usare. Le sfumature sono molteplici, e noi non sapremo mai quel che è successo.