Editoriale: cronache di inizio millennio

Andrea Scarabelli
L’altra faccia della moneta – Per una filosofia della sovranità politica e finanziaria n. 4/2013
Editoriale: cronache di inizio millennio

Crisi. Tutti ne parlano, ovunque sentiamo queste parole: dai telegiornali alle pagine dei quotidiani, dai talk-show alle conversazioni al bar. La crisi. Chi l’avrebbe mai detto? Pare il suo avvento sia stato imprevedibile. Non c’è dubbio: ci ha colti di sorpresa. Ed ognuno pensa a come sopravvivere ad essa, a come potersi permettere il lusso di un fine settimana al mare, l’ultimo modello di televisore, cellulare o automobile: come a poter fingere che in fondo, sì, la vita continua. Quando va bene; altrimenti, la realtà è di chi, a causa del comportamento iniquo di una finanza irresponsabile e di una politica accondiscendente, arranca fino alla fine del mese per ripetere l’esperienza in quello successivo. Certo è che la priorità assoluta, questo è poco ma sicuro, è ora come ora uscirne. Così ci dicono. Stringere i denti e resistere, di modo che, una volta superata, noi si possa (o forse solo chi ci ha condotto in questo baratro) continuare come prima.

Ma probabilmente non è sufficiente. Per presentare il conto a chi ci ha fatto arrivare sin qui bisogna prima comprende la crisi sino in fondo, capire da dove e da cosa è stata generata. Imparare a dialogare con essa, insomma. Ogni crisi ci insegna qualcosa di più su noi stessi, rivela la presenza di un volto notturno del presente, che i periodi di “salute” spesso nascondono. Dispone di una sua sapienza, ha da impartirci una lezione sua e solo sua che occorre imparare, sia per attraversarla, sia per non compiere in futuro i medesimi errori che l’hanno generata. Si tratta di un’occasione, insomma, per capire qualcosa di più su chi tiene le redini del nostro presente – basta riconoscerla come tale e il gioco è fatto.

Prima di cercare di attraversarla, occorre pertanto domandarsi: cosa è entrato in crisi? Di che modello si tratta? Non è forse un tipo di sistema che richiede periodici momenti di criticità come sua possibilità di evoluzione? In altre parole: la crisi che stiamo attraversando è episodica – dipende cioè da circostanze esterne e imprevedibili – oppure strutturale, implicita nelle premesse?

Abbiamo posto queste domande ad una serie di economisti e filosofi dell’economia, cercando di donare attraverso le loro risposte – assai diversificate, data l’eterogeneità – un affresco del nostro tempo, che ne restituisce la complessità e le intime contraddizioni. A queste conversazioni sono affiancati brevi saggi, atti ad illustrare differenti paradigmi economici, modi alternativi di interpretare il rapporto tra l’uomo e il denaro rispetto a quello che si è imposto ai nostri giorni.

Quando Ezra Pound si trovò a dirigere il Supplemento letterario del Mare di Rapallo, come esergo ai fascicoli pose una frase di Carducci: “Chi dice in dieci parole quello che può dire in due è capace di uccidere suo padre”. Una citazione assai emblematica, scelta da un poeta che sempre denunciò chi mischia le carte in tavola per rendere complicato agli occhi dei popoli ciò che in realtà non lo è. Anche questa è una strategia del potere. Mai fidarsi di chi ci dice che la situazione è complicata o di chi si esprime consapevolmente con terminologie oscure. È quanto sostiene un grande economista come  John Kenneth Galbraith, recentemente ricordato da Luca Gallesi: “Noi economisti ci proteggiamo dal mondo esterno adottando un nostro linguaggio specifico e amiamo vederci come una classe sacerdotale con un sapere o una mistica inaccessibili all’uomo comune. E se un economista ti chiede di accettare le sue opinioni come Vangelo perché poggiano sulla sua sapienza, non credere a una parola di quello che dice” (C’era una volta l’economia, Bietti, Milano 2012). Che dire? Più chiaro di così…

In passato, gli alchimisti, per comunicare tra loro, utilizzavano un linguaggio cifrato, esoterico, le cui espressioni solo loro conoscevano. Un “profano” guardava i loro trattati e non ci capiva un’acca. Lo scritto arrivava poi in mano ad un altro alchimista, che, in possesso delle chiavi di lettura giuste, lo decifrava. Lo stesso accade oggi, con i moderni alchimisti del denaro. Ma se l’oro degli antichi corrispondeva ad una realizzazione interiore, era un oro solare, quello di oggi, volgare, nero (petrolifero) o virtuale (finanziario), annuncia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo – altro che realizzazione!

Questo numero si muove in direzione contraria. La persuasione che lo anima è fornire elementi per comprendere l’economia che siano semplici e chiari. Non è diretto agli specialisti, ma a tutti coloro – come chi scrive, d’altra parte – che non sono “iniziati” ai moderni misteri dell’economia. Di un’economia, per la precisione, la nostra.

Poiché è anche di questo che si tratta. Non è crollata l’Economia né la Politica ma una economia e una politica fra tante. Per ogni civiltà, ce n’è una, come c’è una matematica, una filosofia, una numismatica, e via dicendo. Sono tante quante sono le civiltà. Usare le maiuscole è fare pessime astrazioni: l’economia non è separata dal resto della realtà ma obbedisce alle leggi della civiltà che – volente o (come spesso accade) nolente – l’ha adottata. L’essenza dell’economia non è crematistica (monetaria, finanziaria o virtuale che sia) ma culturale, antropologica.

È crollata l’economia della modernità, e solo essa. Quale il suo nome, che i tecnocrati hanno paura di menzionare? Il Capitale. Esso ha dichiarato bancarotta. La presente crisi, come tutte le altre, non rappresenta alcunché di imprevedibile ma è implicita nelle premesse del capitalismo, come lo stesso Karl Marx aveva già denunciato. La globalizzazione del mercato, la riduzione di qualsiasi attività, relazione ed essere umano alla natura di merce, operatasi sotto il segno del denaro livellatore: questo già venne indicato dal filosofo di Treviri quale rischio congenito del capitalismo. Eppure, nonostante il nome di Marx venga spesso e volentieri citato – sovente a sproposito, anche da taluni che volentieri strizzano l’occhio al capitalismo – continuiamo a ripeterci che non eravamo preparati a tanto.

Il volto della modernità, a seguito del suo ingresso in questo circuito suicida, è intanto profondamente mutato. Una mondializzazione realizzata sui presupposti del liberismo più sfrenato – oggi dogma non passibile di discussione alcuna, come sottolineato da Antonio Venier nel suo contributo – le delocalizzazioni che prosciugano le risorse lavorative dei popoli, un capitalismo selvaggio che, come intuì profeticamente sempre Marx, considera ogni limite come ostacolo alla sua realizzazione totalitaria, una dittatura finanziaria avversa a qualsiasi controllo da parte dei poteri politici, i piani intrapresi per salvare quelle stesse banche che ci hanno fatto precipitare nel baratro. Questi i fenomeni del nostro tempo, che non possono che rivelarne il carattere parossistico e declinante. Da qui occorre prendere le mosse a che questa impasse sia superata.

A ciò va aggiungendosi una gestione biopolitica – per dirla con Foucault – a carattere planetario delle risorse umane. Lo smistamento e smembramento delle comunità segue le maree dei flussi di denaro che, in ogni istante, si spostano fulmineamente da una parte all’altra del globo. Da qui un’immigrazione selvaggia il cui fine, come ha scritto recentemente Alain de Benoist, ben lungi dall’essere la solidarietà e l’umanitarismo, si risolve nel controllo dei salari, affinché rimangano i più bassi possibile. Un terrorismo umanitario realizzato su scala globale. Le “truppe di rincalzo del capitale” vengono accolte da una parte da una xenofobia retrograda e dall’altra da un ipocrita umanitarismo da sradicati. Pochi si sono resi conto che i flussi migratori sono consustanziali al capitale, alla sua vecchia idea di sopprimere le frontiere nazionali per una “libera” circolazione della merci. E la merce umana viene sottoposta alla medesima formula.

Questa crisi ha riportato alla ribalta anche la vecchia questione dei rapporti tra politica ed economia. Ci ha rivelato l’essenza apolide del denaro, naturale nemico del limite, anche politico. Il suo potere svuota le democrazie, le relega ad essere braccio secolare della finanza, come intuì Giano Accame negli anni Novanta.

Ma non fu certo l’unico. Inutile ricordare le voci di tutti coloro che rivendicarono il primato della politica sull’economia, facendosi profeti della catastrofe delle tecnocrazie al potere e dei vangeli delle austerity. Il ricordo di taluni di questi critici può forse dimostrare che, anche in tempi non sospetti, qualcuno – regolarmente inascoltato – ci ha messo all’erta innanzi ai pericoli di una economia scatenata. Così, ad esempio, Oswald Spengler (Forme della politica mondiale, Ar, Padova 1994, pp. 79-80) ebbe a scrivere: “Qualsiasi vita economica priva di una giusta guida politica del Paese è destinata alla rovina. Questo è ciò che l’orgoglio del dirigente economico non vuole accettare. Egli nutre l’accentuata tendenza a rifiutare l’operato e il modo di agire del politico come dettati da eccessiva arroganza e nocività, per poi chiamare immediatamente in soccorso la politica quando e fintanto che crede di poterla usare per i propri interessi (…). Anche se oggi questa è la regola in tutto il mondo, si tratta ugualmente di un atteggiamento meschino, superficiale e sbagliato, che diventa una sciagura quando la politica stessa è debole e malata, priva di fini propri e senza orgoglio, esposta così agli interventi dell’economia, concepiti in modo disordinato, estemporaneo, e privo di lungimiranza. La vita economica di una nazione necessita di una guida politica sempre sovraordinata, non di una politica subordinata e accondiscendente”. Un’autentica profezia di quanto sta succedendo, che il filosofo colse nella sua forma aurorale negli anni Trenta. Sarebbe sufficiente leggere certi libri, invece che metterli all’indice, come spesso accade. Potremo così evitare di fare spallucce e dichiararci “impreparati”.

Per poi non parlare del già citato Ezra Pound (Lavoro e usura, Scheiwiller, Milano 1996, p. 82), che vide nell’asservimento del potere politico delle banche una modernissima schiavitù: “Il sistema democratico è di questa natura: due o più partiti si presentano al pubblico, tutti al comando dell’usurocrazia”. Secondo toni analoghi, in un altro suo scritto (Jefferson e/o Mussolini, Il Falco, Milano 1981, p. 134), il poeta americano – che già aveva processato gli istituti di credito per la creazione del denaro dal nulla, ex nihilo – notava: “«Nessuno possiede un diritto innato alla funzione di prestatore di moneta, tranne chi ha denaro da prestare». Così ovvio, così semplice, così prevedibile anche dal lettore profano, da rappresentare anche oggi un reale stato di fatto, e nello stesso tempo un impedimento così rovinoso per le illecite pratiche bancarie come è abituale in tutto l’arco della nostra vita presente”.

E il romanziere Robert Heinlein? In uno dei suoi due romanzi ispirati al Credito Sociale (A noi vivi, Urania, n. 1505, p. 193), scriveva, in merito al rapporto tra potere pubblico e privato: “Alle banche non doveva essere affatto permesso di creare denaro, poiché esse, di necessità, sono interessate soltanto ai profitti. Inflazioneranno o deflazioneranno la valuta per fare profitti, senza riguardi per i bisogni monetari della nazione”. Subordinare la gestione della cosa pubblica a privati comporta numerosi rischi. Può capitare, infatti, che questi ultimi decidano di non agire per conto di tutti ma solo per se stessi. Così elementare…

E sul valore del denaro e il suo rapporto con le merci, ennesimo tema – molto antico – riproposto da questa crisi? Tra gli eretici del pensiero economico ricordiamo anche che il Maggiore Douglas (I principi del credito sociale, in A. R. Orage, Il lavoro debilita l’uomo, Greco&Greco, Milano 2008, pp. 82-83) sottolineò, con notevole anticipo, che “il denaro non ha alcuna realtà intrinseca (…). La cosa che lo rende denaro, di qualsiasi cosa sia fatto, è puramente psicologica, e di conseguenza non c’è limite alla quantità totale di denaro, tranne che un limite psicologico”. Il denaro è una risorsa simbolica: rimanda sempre ad altro. Sottomettere i popoli alla sua autorità è tanto insensato come, parafrasando un detto famoso, affermare che non si possono costruire strade perché mancano i chilometri. Non eravamo forse stati avvisati? Chi, alla luce di queste testimonianze, alle quali potremmo aggiungere quelle di Jünger, Simmel, Sombart, Anders e tanti altri, può ancora fingersi sorpreso?

Esse convergono verso un nocciolo centrale, sul quale bisogna soffermarsi e meditare, non solo perché questa crisi sia superata, ma anche affinché non sia seguita da altre, ancora più terribili, come è prassi comune in quelle regioni sottomesse ai Diktat del Capitale. La si può oltrepassare solo discutendo le basi stesse del capitalismo, moderno Caronte che ci ha traghettati verso la nostra fine. Non scendere a patti con esso, come vorrebbero molti dei cosiddetti “contestatori” o “indignati” ma ridiscuterne interamente le basi, sterrare le sue radici per coglierne i presupposti, e salvare così quella terra che la sua dittatura ha fatto avvizzire. Affinché questa operazione vada a buon fine, non occorre ingannarsi ulteriormente: non è di revisione che occorre parlare, ma di rivoluzione, nel senso etimologico del termine, ossia come distruzione dell’errore e reintegrazione. Ma, si badi!, senza per questo cadere in assurdi primitivismi, che propongono il ritorno ad una realtà preindustriale, basandosi sull’assurdità della “bontà naturale dell’uomo” al di fuori della società. Si tratta di rifondare un modus vivendi alieno da una modernità usurocratica e sanguinaria, luogotenente di un progresso sempre meno sostenibile e di una globalizzazione intesa come imposizione totalitaria di un solo paradigma, quello occidentale, che ora sta dichiarando pubblicamente, in prima serata, il suo fallimento.

Questo l’insegnamento della fase storica che stiamo vivendo; questo il vantaggio più grande che possiamo trarre da quella crisi di cui, più o meno seriamente, andiamo blaterando da anni.

[Vai all'indice]

Scarica il pdf

Ultime uscite

François Ozon

François Ozon

Inland n. 2/2016
Il secondo numero di INLAND è il primo volume dedicato in Italia a François Ozon. Regista tra i generi, firma sfuggente all’etichetta d’autore, nei suoi film Ozon fa riverberare echi [...]
Fiume Diciannove - Il Fuoco sacro della Città di Vita
1919-2019. Un secolo fa Gabriele d’Annunzio entrava in Fiume d’Italia, dando vita a quella che sarebbe stata una rivoluzione durata cinquecento giorni. Un’atmosfera febbricitante e festosa, ma anzitutto sacra, qui [...]
Aldo Lado

Aldo Lado

Inland n. 9/2019
Quello che stringete tra le mani è il numero più complesso, stratificato, polisemantico del nostro – vostro – INLAND. Quaderni di cinema. Lo è innanzitutto grazie al parco autori, mai [...]
Dylan Dog - Nostro orrore quotidiano
Detective dell’Occulto, Indagatore dell’Incubo, Esploratore di Pluriversi: come definire altrimenti Dylan Dog, dal 1986 residente al n. 7 della londinese Craven Road? Le sue avventure – che affrontano tutti gli [...]
Dino Buzzati - Nostro fantastico quotidiano
Vi sono autori, come disse una volta Conan Doyle, che «hanno varcato una porta magica». Tra questi spicca Dino Buzzati, che ha condotto il fantastico nel cuore pulsante della materia. [...]
William Lustig

William Lustig

Inland n. 13/2020
Gennaio 2015, riunone di redazione: si discute a proposito della nascita di INLAND. Quaderni di cinema. A chi dedicare i primi tre numeri? Idee tante, unanimità poca. Restano quattro progetti, [...]
Jorge Luis Borges - Il Bibliotecario di Babele
Jorge Luis Borges è un autore oceanico, un crocevia di esperienze, storie, civiltà e piani dell’essere, un caleido­scopio nel quale il passato si fa futuro e il futuro si rispecchia [...]
Antonio Bido

Antonio Bido

Inland n. 11/2019
Girata la boa del decimo numero, INLAND. Quaderni di cinema compie altri due significativi passi in avanti. Innanzitutto ottiene il passaporto. A rilasciarlo è stato il Paradies Film Festival di Jena [...]
Carlo & Enrico Vanzina

Carlo & Enrico Vanzina

Inland n. 7/2018
INLAND. Quaderni di cinema numero #7 nasce nell’ormai lontano dicembre 2017, in un bar di Milano dove, di fronte al sottoscritto, siede Rocco Moccagatta, firma di punta di tutto quel [...]
Lav Diaz

Lav Diaz

Inland n. 3/2017
È da tempo che noi di INLAND pensiamo a una monografia dedicata a Lav Diaz. Doveva essere il numero #1, l’avevamo poi annunciato come #2, l’abbiamo rimandato in entrambe le [...]
Mike Flanagan

Mike Flanagan

Inland n. 16/2023
Lo specchio è un simbolo polisemantico. Investe la sfera delle apparenze, ma anche quella dei significa(n)ti. Chiama in causa l’estetica, la filosofia e, insieme, la psichiatria. È l’uno che contiene [...]
Manetti Bros.

Manetti Bros.

Inland n. 14/2022
Febbraio 2020. Inland. Quaderni di cinema numero #13 va in stampa con una nuova veste. Brossura, dorso rigido, grammatura della copertina aumentata. Il numero è dedicato a William Lustig, alfiere [...]
Lune d'Acciaio - I miti della fantascienza
Considerata da un punto di vista non solo letterario, la fantascienza può assumere oggi la funzione un tempo ricoperta dai miti. I viaggi nello spazio profondo, le avventure in galassie [...]
Rob Zombie

Rob Zombie

Inland n. 1/2015
Con la parola inland si intende letteralmente ciò che è all’interno. Nel suo capolavoro INLAND EMPIRE, David Lynch ha esteso la semantica terminologica a una dimensione più concettuale, espansa e [...]
Pupi Avati

Pupi Avati

Inland n. 10/2019
Numero #10. Stiamo diventando grandi. Era da tempo che pensavamo a come festeggiare adeguatamente questa ricorrenza tonda, questo traguardo tagliato in un crescendo di sperimentazioni editoriali, collaborazioni, pubblicazioni sempre più [...]
Philip K. Dick - Lui è vivo, noi siamo morti
Celebrato in film, fumetti e serie tv, Philip K. Dick ha stregato gli ultimi decenni del XX secolo. Ma il suo immaginario era talmente prodigioso che, a furia di sondare [...]
Sergio Martino

Sergio Martino

Inland n. 5/2017
Giunto al quinto numero, INLAND. Quaderni di cinema affronta uno snodo cruciale, fatto di significative ed emblematiche svolte che segnano uno scarto, un’apertura rispetto alla precedente linea editoriale. Innanzitutto la scelta del [...]
Carlo Verdone

Carlo Verdone

Inland n. 12/2019
"Vi ho chiesto di mettere la mia moto Honda Nighthawk in copertina perché su quella moto c'è passato il cinema italiano. Su quella moto io sono andato e tornato da [...]
Rob Zombie Reloaded

Rob Zombie Reloaded

Inland n. 8/2019
Giunto all’ottavo fascicolo, INLAND. Quaderni di cinema riavvolge per un attimo la pellicola della sua breve ma significativa storia, tornando a percorrere i passi compiuti nel 2015 quando aveva aperto [...]
America! America? - Sguardi sull'Impero antimoderno
L’impero statunitense ha sempre generato nella cultura italiana reazioni contrastanti, che spaziano da un’esaltazione semi-isterica a una condanna a priori, altrettanto paranoica. Sembra sia pressoché impossibile, per chi si confronta [...]
Dario Argento

Dario Argento

Inland n. 15/2022
Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che [...]
Walt Disney - Il mago di Hollywood
«Credo che dopo una tempesta venga l’arcobaleno: che la tempesta sia il prezzo dell’arcobaleno. La gente ha bisogno dell’arcobaleno e ne ho bisogno anch’io, e perciò glielo do». Solo un [...]
4-4-2 - Calciatori, tifosi, uomini
Nel calcio s’intrecciano oggi le linee di forza del nostro tempo; talvolta vi si palesano le sue fratture, i suoi non-detti. Ecco perché il quattordicesimo fascicolo di «Antarès» è dedicato [...]
Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn

Inland n. 4/2017
Perché Nicolas Winding Refn? La risposta è semplice: perché, piaccia o no, è un autore che, più di altri, oggi ha qualcosa da dire. Sebbene sempre più distante dalle logiche [...]
Michele Soavi

Michele Soavi

Inland n. 6/2018
Il nuovo corso di INLAND. Quaderni di cinema, inaugurato dal numero #5, dedicato a Sergio Martino, è contraddistinto da aperture al cinema italiano, al passato, a trattazioni che possano anche [...]

Ultimi post dal blog

Fabrizio Fogliato è un esperto di cinema e in particolare del cinema dei generi. Da anni pubblica regolarmente saggi e analisi che diventano punti di riferimento per il mondo del cinema. Lo scorso anno ha mandato in stampa un nuovo importante volume intitolato Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare di che cosa si tratta e in che modo ha analizzato il cinema criminale della Penisola. Partiamo dal titolo. Come mai ha scelto Con la rabbia agli occhi, che è anche il titolo di un film degli anni 70? Con la rabbia [...]
Benedetta Pallavidino ha raccontato un attore molto controverso nel suo Helmut Berger. Ritratto su pellicola, edito da Bietti Edizioni nella collana Fotogrammi. L’abbiamo intervistata. L’attore classe 1944 è scomparso il maggio scorso ed è stato interprete di tanti capolavori tra cui diversi film di Luchino Visconti con cui ebbe anche una relazione. Ecco le sue parole sull’artista: Come nasce la tua voglia di andare a raccontare un personaggio controverso come Helmut Berger? Nasce dal fatto che l’ho sempre trovato un attore molto sottovalutato, ricordato solo per essere stato il divo e il compagno di Visconti. È sicuramente vero che diretto da [...]