La Parigi occulta di Jacques Yonnet
Andrea Scarabelli
Parigi, 1465. Nel vicolo d’Amboise lavora un orologiaio, giunto da Oriente. Vive miseramente, frequenta gli zingari, gira voce sia ricchissimo. Tra l’altro, sembra che molti dei suoi clienti ringiovaniscano invece d’invecchiare. Si viene a sapere che i suoi orologi sono di un tipo particolare: le loro lancette vanno all’indietro. E così quelle biologiche di chi li possiede. I clienti formano una confraternita, cui è ammesso solo chi conosce il terribile segreto. Un giorno vanno tutti insieme da lui: gli chiedono di arrestare il processo. Già, perché va bene ringiovanire, ma tornare alle turbe dell’adolescenza, all’inconsapevolezza dell’infanzia non è altrettanto gradevole. E poi, significa conoscere il momento esatto in cui si morirà. Il povero orologiaio è sbigottito: se non avesse tarato in questo modo gli orologi, sarebbero morti da tempo… Ma loro non vogliono sentire ragioni. Tra l’altro, gli chiedono, com’è che lui non invecchia né ringiovanisce? Semplice: il suo maestro, a Venezia, gli ha donato un orologio che un giorno va avanti e l’altro indietro. Insoddisfatti, progettano una spedizione notturna, per carpire il segreto della vita eterna. In casa non c’è nessuno: mettono tutto a soqquadro e trovano il mitico orologio. Sfondano il quadrante: i loro orologi si fermano. I cadaveri vengono seppelliti il giorno dopo.
Parigi, anni Quaranta del secolo XX. Jacques Yonnet, militante nella Resistenza, si aggira, armato di penna, carboncino, block notes e album da disegno, tra i bistrot della Rive Gauche, a caccia di aneddoti e leggende, in cerca di quel meraviglioso urbano (Marc Schweizer) che si annida tra i vicoli di Parigi. La penna di questo realista magico sonda il ventre di una città decifrandone gli arcani, quella luce serotina che, squarciando i vapori della Senna, trasfigura uomini e cose, facendo di ogni barbuto un profeta, di ogni prostituta l’ancella di un culto il cui nome è andato perduto. «In certe zone di Parigi il meraviglioso è moneta corrente»: donne che si trasformano in gatti e uomini che attraverso la Notte sovrana riconquistano la giovinezza, marionette che si lanciano in sfrenate danse macabre e guarigioni sovrannaturali, un’umanità «dignitosamente affranta» che si trascina per vie e boulevard…
Questo e altro il lettore troverà in Rue de Maléfices, appena uscito in nuova edizione per EDT. Il manifesto di un modo di vedere la realtà: chi non ha sentito, scrive Yonnet, almeno una volta nella vita «un certo Richiamo verso l’Altrove, tanto imperioso quanto enigmatico»? Anche i più insospettabili «hanno ammesso di essersi trovati, magari per una manciata di secondi, nella situazione di chi è “ispirato”, informato da mezzi di comunicazione e conoscenza tutt’altro che normali riguardo le possibilità di penetrare l’Interdetto, di varcare limiti considerati inaccessibili, di entrare direttamente in un “universo parallelo” che non è affatto l’antitesi del nostro “quotidiano”, ma ne rappresenterebbe il complemento».
Tra i lettori di Yonnet – Raymond Queneau, Paul Fort, Jacques Prévert, Claude Seignolle… – figurò anche Louis Pauwels, che, pochi anni dopo, assieme a Jacques Bergier avrebbe scritto Il mattino dei maghi, proclamando la vittoria definitiva dell’Altrove. Il 4 agosto 1954, sulle colonne del giornale «Carrefour», Pauwels curò una recensione di Rue des Maléfices intitolata Parigi capitale della magia. Yonnet, «poeta, avventuriero dei vicoli notturni, storiografo e forse detentore d’importantissimi segreti», non l’apprezzò molto, a dire il vero. Poco importa: l’Altrove aveva vinto di nuovo.
Jacques Yonnet, Rue de Maléfices, tr. di Guido Lagomarsino, EDT, Torino 2016, pp. 330, € 23.