Le «porte della percezione» e le «fenditure nella Grande Muraglia»

Renzo Giorgetti
H.P. Lovecraft #2 – L’orrore cosmico del Maestro di Providence n. 8/2014
Le «porte della percezione» e le «fenditure nella Grande Muraglia»

L’idea di una realtà ulteriore, differente, estranea a quella comunemente percepita – ma non per questo meno reale – è una delle caratteristiche peculiari del pensiero lovecraftiano, tema che si ripresenta sempre nelle sue opere, nelle forme più variegate. Su questo punto, almeno, Lovecraft è in sintonia con la propria epoca, rispecchiandone in pieno le ansie e le aspirazioni. In lui si può infatti ritrovare il riflesso di un più vasto movimento culturale, che è anche attitudine mentale nonché segno dei tempi, la punta estrema di un materialismo che, pur avendo negato ogni possibilità di esistenza all’invisibile, vive contemporaneamente il disagio di una mancanza e la presenza dell’inesplicabile. Verso la fine del secolo XIX, in uno scenario da “morte di Dio”, dopo aver ormai conquistato tutto, innalzandosi quasi fino al rango di religione, la scienza positivista deve a sua volta arrestarsi, di fronte agli enigmi insolubili dell’origine della materia e della forza. La costruzione di un sistema completamente materialista-meccanicista alla fine non regge, mentre l’irrazionale riemerge, anche se ormai mutato di segno, quasi sempre come forza negativa. Se permane un certo scetticismo verso le realtà superiori, si desta un nuovo interesse nei confronti di un soprannaturale più “a portata di mano”, meno spirituale, che presenta spesso connotazioni di sinistro, immediato riscontro. Ci potevano essere storie di fantasmi ma non di santi, sintetizzerà Chesterton qualche anno dopo, nel suo The Victorian age in literature (1913).

Si aprono le “fenditure nella Grande Muraglia”, lasciando passare influenze di un’altra realtà, ignota, misteriosa e non sempre rassicurante. Ma l’attitudine mentale resta scientista, positivista: si cerca ancora di spiegare il reale in termini fisici, misurare, riprodurre in laboratorio anche i fenomeni più irrazionali, perché, se tutto fa parte della natura, anche il “soprannaturale” ha diritto di esistere, ma solo in quanto fenomeno non ancora spiegato.

Ecco che gli scienziati si dedicano allo spiritismo e alle nuove (in realtà, antichissime) scienze occulte. Vedono la luce invenzioni stravaganti: strumenti per analizzare e osservare l’invisibile, gli ectoplasmi, i “microbi dell’astrale”. Crookes utilizza il suo tubo per sondare il nuovo mondo1, Thomas Edison inventa uno strumento per comunicare con gli spiriti e due fisici olandesi – Zaalberg van Zolst e Matla – con il loro dinamistografo pretendono di analizzarne la composizione chimica.

È in questo contesto che nasce il lovecraftiano From beyond (1920), sintesi di tutta un’epoca, che ben riesce a farsi testimone di speranze e paure condivise da molti. In questo racconto, ancora oggi attuale, proprio come i problemi che affronta, Lovecraft esprime uno dei temi fondamentali della sua ricerca: «Che cosa sappiamo del mondo e dell’universo che ci circonda? I nostri canali sensoriali sono pochissimi e degli oggetti che ci stanno intorno abbiamo una percezione quanto mai ristretta. Vediamo le cose come ci è permesso di vederle e non possiamo farci nessuna idea della loro realtà assoluta. Con cinque debolissimi sensi pretendiamo di capire un cosmo infinito ed estremamente complesso; eppure, esseri dotati di sensi più forti, più profondi o in grado di operare su un’altra banda non solo vedrebbero le cose in modo diverso da noi, ma sarebbero in grado di percepire e di studiare mondi di vita, di energia e materia che sono a portata di mano e che le nostre facoltà non ci permettono di scoprire»2.

Possiamo dire che From beyond costituisce l’anticipazione, per esteso e in forma narrativa, della famosa enunciazione teorica che costituirà l’incipit di The call of Cthulhu, riguardo all’isola di felice ignoranza nella quale vive l’uomo, ignaro delle terribili forze che lo circondano; una tematica basilare della produzione lovecraftiana.

Il racconto è in sé piuttosto semplice: uno scienziato riesce a trovare, per mezzo di un apparecchio di sua invenzione, il modo per osservare e interagire con la realtà che supera quella dei comuni cinque sensi. Ed è, naturalmente, una dimensione sconcertante, che mette chi la percepisce di fronte alla consapevolezza dell’illusorietà delle proprie percezioni, così come delle certezze da queste derivate: «Forme indescrivibili, vive o no, parevano mescolate in un disordine disgustoso e intorno agli oggetti familiari c’erano mondi interi di entità ignote sconosciute»3.

La dimensione degli uomini è invasa da forze ostili, che arrecano a essa tutto il loro potenziale distruttore. È un tema già affrontato trent’anni prima da Arthur Machen, con il suo celeberrimo The great god Pan, e che le nuove scoperte della scienza e i modelli teorici da questa elaborati non riescono per nulla a esorcizzare. Tutt’altro. L’ignoto riemerge di nuovo, si apre come un continente da esplorare; le entità descritte nel racconto non sono poi molto diverse da quelle percepite negli esperimenti portati avanti in quegli anni con i più svariati mezzi. Ma l’apertura è reciproca, in quanto lascia possibilità di ingresso a esseri che con la dimensione umana hanno un rapporto conflittuale. Le antiche superstizioni non erano così assurde, ma ora la religione, secolarizzata, non riesce più a tenere a bada le forze che l’incauta scienza ha fatto penetrare.

Cosa resta da fare? La fuga, la follia, il ritorno alle vecchie certezze ormai infrante sono vie che mostrano tutta la loro debolezza, inefficaci per riconquistare l’illusoria tranquillità perduta. Rimane solo il cosiddetto orrore cosmico, inteso come consapevolezza della nuova situazione venutasi a creare, una disperazione che non restituisce ciò che è stato tolto ma può almeno portare alla soddisfazione, eroicamente drammatica, di avere compreso la vera sostanza della realtà. Riescono a ottenere questa comprensione i due protagonisti di From beyond, pagandola a caro prezzo, in maniera diversa ma sempre in prima persona.

Fin qui ci porta un inquadramento generale, che può essere valido anche per altri racconti della produzione lovecraftiana. Ma il discorso su questo particolare racconto si fa più interessante in riferimento a qualche nota “tecnica”: ad esempio, considerando la natura dello strumento utilizzato per entrare in contatto con l’“altro mondo”. È una macchina, uno strumento artificiale costruito con criteri scientifici, secondo i dettami della vecchia scienza che si voleva superare. Anche qui lo “spirito del tempo” è ben rappresentato: Lovecraft conosceva il tubo di Crookes (esplicitamente citato in un suo racconto di qualche anno più tardi) così come il Tesla coil (quasi negli stessi giorni viene scritto il racconto Nyarlathotep, con le sue allusioni all’“impostura” dell’elettricità statica).

Ma anche l’occultismo si muove in una direzione simile. Prendiamo ad esempio Les microbes de l’astral di Marius Decrespe 4. In questo libro (che Lovecraft probabilmente non conosceva), dopo una trattazione la più scientifica possibile del mondo invisibile, vengono fornite delle istruzioni per la costruzione di un apparecchio simile a quello del racconto lovecraftiano. I componenti sono i seguenti: «1° una macchina elettrostatica o una bobina di Ruhmkorff, assieme alla sua pila; 2° un grande riflettore metallico, dalla lunghezza focale di circa un metro; 3° una massiccia barra d’acciaio magnetizzata o, meglio, un potente elettromagnete diritto, che presenti al polo negativo un disco con un’apertura, collocato orizzontalmente, perpendicolare alla barra; 4° una lanterna magica [cioè una lampada per proiezioni]». Il progetto continua con la descrizione delle varie parti e le indicazioni per il corretto funzionamento della macchina nel suo insieme. Il tutto è molto più dettagliato dei vaghi accenni lovecratiani a batterie chimiche o a enormi grappoli di lampadine.

Quel che vogliamo far notare è come nel racconto di Lovecraft vi sia qualcosa di più, che lo distacca dai punti di vista più comuni dell’epoca e lo porta, con Machen, a prospettive decisamente più originali. In un breve passaggio troviamo un importante accenno: «Hai mai sentito parlare della ghiandola pineale? Mi fanno ridere gli endocrinologi, stolidi quanto i parvenus freudiani… quella ghiandola è il più importante degli organi di senso, e io l’ho scoperta. La si può paragonare a una vista molto più perfetta e trasmette al cervello sensazioni visive»5.

Se il pensiero corre subito a Cartesio e alla sua teoria sulla ghiandola pineale come organo di collegamento tra res cogitans e res extensa, i riferimenti agli endocrinologi fanno pensare a un interesse legato all’immediatezza dell’informazione scientifica e alle ricerche di più stretta attualità su questi temi. Come già abbiamo avuto modo di trattare in altra sede, su alcuni argomenti Lovecraft anticipava i tempi (come, per esempio, sull’uovo di dinosauro: l’idea di scrivere una storia su questo tema gli venne mentre era in corso la spedizione che avrebbe scoperto le prime uova fossili, fino a quel momento sconosciute). Lo stesso, a nostro avviso, possiamo dire in merito alla ghiandola pineale. Nel 1931 verrà sintetizzata per la prima volta una molecola nota come dimetiltriptamina (DMT), sostanza psicoattiva ad alto potere allucinogeno6. Ricavabile da erbe o piante, viene prodotta anche dall’organismo umano, nelle ore di sonno, proprio dalla ghiandola pineale. Ma definire questa sostanza semplicemente un allucinogeno potrebbe essere riduttivo, dato che venne utilizzata in contesti rituali, per i cosiddetti viaggi sciamanici, come chiave d’accesso ad altri mondi, uno strumento utile non per una fuga dalla realtà ma per una sua visione più completa, al di là dei limiti del comune sensorio umano7. Proprio come la macchina lovecraftiana, che ha come scopo – si noti – non l’azione sull’ambiente al fine di rendere percepibili ai sensi ordinari realtà invisibili, nella maniera più oggettiva, ma la mutazione dell’apparato percettivo per andare oltre i propri sensi e raggiungere una visione della realtà che sia il più “totale” possibile. Non ci troviamo più di fronte, quindi, a scienziati obiettivi che guardano al microscopio, ma a sperimentatori che mutano se stessi, aprendo le “porte della percezione” verso un ignoto che non è illusione ma disvelamento di realtà celate. È una concezione avanzata, che distacca Lovecraft dalla sua epoca, portandolo ancora una volta all’avanguardia, anticipatore di discorsi che troveranno la loro attualità solo molto tempo dopo.

E questo non solo nel “bene”, ma anche nel “male”. Se è certo, infatti, che le manipolazioni del sensorio non producono semplici allucinazioni ma forniscono anche le chiavi d’accesso a dimensioni differenti, non riservate esclusivamente all’uomo, sarà ancor più vero – e qui il racconto lovecraftiano è molto chiaro – che questi nuovi mondi non sempre sono benefici, l’espansione della coscienza avvenendo anche verso regioni inadatte alla costituzione mentale umana (così come, del resto, il contatto con gli abitatori delle medesime). Le incognite sono notevoli e gli incontri favorevoli all’uomo per nulla scontati. Sennonché, mentre gli sciamani sapevano bene come agire, gli uomini della modernità, ancora una volta, con il loro atteggiamento “sperimentale” e scientista, ieri come oggi, corrono rischi che difficilmente sono in grado di comprendere. L’universo, come ci fa giustamente notare Lovecraft, non è un habitat del tutto amichevole nel quale sia possibile compiere escursioni a proprio piacimento. La brutta fine fatta da alcuni “profeti” dell’esplorazione di questi nuovi mondi (tra cui proprio Terence McKenna, grande sostenitore del DMT) è solo un ulteriore riscontro di quanto detto finora. Tutto l’ottimismo della cosiddetta “cultura psichedelica” è già di fatto smontato in questo breve racconto del 1920, il quale, se opportunamente considerato, avrebbe sicuramente contribuito a evitare illusioni e confusioni del tutto deleterie.

 

  1. Strano destino quello del tubo di Crookes. Nato per indagare il mondo dell’invisibile, è poi mutato, fino a diventare tubo catodico e infine televisore, finestra su altri mondi nonché fenditura nella grande muraglia par excellence.
  2. Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1897-1922, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori, Milano 1989, p. 151.
  3. Ivi, p. 155.
  4. Marius Decrespe, Les microbes de l’astral, Chamuel, Paris 1895, pp. 93-94.
  5. Howard Phillips Lovecraft, op. cit., p. 153.
  6. Richard H. F. Manske, A synthesis of the methyltryptamines and some derivatives, in «Canadian Journal of Research», 1931 (5), pp. 592-600.
  7. Per un approfondimento cfr. Rick, M. D. Strassman, Dmt: the spirit molecule – a doctor’s revolutionary research into the biology of near-death and mystical experience, Park Street Press, Rochester 2000.

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