Opera è un film importante nella filmografia di Dario Argento. Rappresenta una sorta di cerniera tra un periodo di successo – anche commerciale1 – e una fase contraddistinta da certezze perdute. Viene comunemente percepito come l’ultimo grande titolo di un Argento ancora spavaldo e innovativo, sperimentatore animato da una forza creativa dirompente. Certo, è una visione riduttiva e ingiusta, dato che dopo ci saranno notevoli sprazzi di grandezza e anche ulteriori pellicole molto riuscite (su tutte, il mediometraggio Il gatto nero di Due occhi diabolici [1990] o gli episodi girati tra il 2005 e il 2006 per il contenitore Masters of Horror), ma è chiaro che qualcosa, anche a livello produttivo, dopo il 1987 si è rotto. È interessante, quindi, notare come questo film, nel quale Argento si conferma magistrale, contenga comunque in sé elementi di imperfezione quasi inattesi, che sembrano prefigurare i futuri scenari.
La trama preleva chiaramente elementi, trasfigurandoli, da Il fantasma dell’Opera, grande passione cui Argento dedicherà, anni dopo, una specifica versione cinematografica. Segue però un percorso del tutto originale, inserendo svariati riferimenti specifici. Il regista, per esempio, dice a Betty: «Queste sono cose che di solito succedono soltanto al cinema». Inoltre, il regista del Macbeth operistico proviene dall’horror: le critiche dei quotidiani, che egli legge con interesse dopo la prima, sono tutte a favore della cantante ed esprimono ampie riserve sulla sua regia troppo effettistica ed esteriore. Al regista i critici consigliano acidamente di tornare ai b-movie: i riferimenti autobiografici, naturalmente, non sono causali e sono altresì insoliti, per Argento.
Ma al di là di questi dettagli di contorno, il film, sin dalle prime battute, si dimostra visivamente sontuoso e raffinato. La macchina resta ferma di rado, ma non è mai molesta nei suoi spostamenti: li compie sempre per una ragione estetica ed è mossa da un regista in stato di grazia. Le soggettive dominano, creando sempre un tono di disagio e di mistero. Elegante, sempre originale, vivace, inventiva, inquieta, nervosa ed efficace: è una regia di forte personalità, che talvolta prevarica la narrazione al punto da abolire i momenti “normali”.
C’è, invece, una cura maniacale per il dettaglio, che rende ogni scena meritevole di esame e analisi. Il movimento all’indietro nella sartoria del teatro, per esempio, è un notevole tocco di bravura: Argento guida e distoglie l’attenzione dello spettatore portandolo con sé a vedere ciò che vuole – e come vuole – venga visto. La trama sembra quasi un impiccio, un orpello, una scusa per consentire ad Argento di ostentare il suo estro. Non mancano momenti tipici, come quello in cui l’assassino viene abbattuto, ma non finito, da una delle sue vittime designate. Tuttavia, qualche svolta narrativa si segnala per l’efficacia. Su tutte, quella che riguarda il poliziotto Daniele Soave, sviluppata in modo brillante allo scopo di creare un clima di assoluta incertezza e tensione, ben sostenuto dall’accorta regia di Argento e coadiuvato dalla presenza carismatica di Daria Nicolodi. Il proiettile attraverso lo spioncino, poi, è un esempio di maestria non solo tecnica. Lo stesso si può dire dell’apparire improvviso della bambina, vero deus ex machina, dai cunicoli: è una digressione curiosa – solo apparentemente fine a sé stessa – che consente una fuga all’interno dei condotti e serve anche a rivelare l’identità di chi spiava la protagonista.
Naturalmente la vicenda, almeno dal punto di vista programmatico-narrativo, è incentrata sulla scoperta dell’identità del colpevole. Quando questa viene rivelata, la sorpresa richiede molto alla sospensione dell’incredulità e svela un movente pretestuoso ma non impossibile; soprattutto, funzionale all’inserimento di elementi morbosi.
In ogni caso, nei film di Argento quello che conta non è (quasi) mai la destinazione, quanto il viaggio. I ripetuti incontri/scontri tra Betty e l’assassino – che, va da sé, è quello in guanti neri del giallo all’italiana – sono a volte ridondanti e poco credibili, ma la credibilità non è un valore ritenuto essenziale alla riuscita. La presenza dei corvi è molto inquietante e, con tipico tocco paradossal-argentiano, si rivela non solo decorativa, ma anche decisiva ai fini narrativi. Nel suo richiamare Edgar Allan Poe, inoltre, preannuncia il di poco successivo Il gatto nero.
Quando i corvi dispiegano in pieno la loro funzione, lo fanno in modo particolarmente efficace. Il momento, infatti, è di quelli ad alta spettacolarità, con la famosa soggettiva volante, vertiginosa, che testimonia una volta di più l’originalità e la voglia di stupire di Argento2. Sono sequenze la cui bellezza trascende del tutto l’eventuale improbabilità della svolta narrativa basata sulla memoria dei rapaci che, di fatto, scovano il killer in platea. La scena di massa, con l’isteria collettiva e il colpevole che, aggredito e privato di un occhio, inizia a sparare all’impazzata, è un coup de théâtre tanto assurdo quanto vincente. Ma tutto il film è, dal punto di vista visivo, prezioso. Anche i colori sono scelti con cura e significato: per fare un esempio tipico, la luce gialla dei lampioni e il rosso del selciato, quando Betty ritorna nel teatro a cercare il regista, sono frammenti pop abbaglianti. La cura e l’originalità riguardano anche il comparto musicale che tra arie operistiche, Brian Eno, Claudio Simonetti, heavy metal (riservato agli omicidi) e altro ancora, crea un curioso e attento mélange.
Il ritratto del mondo della lirica è forse un po’ di maniera, ma accurato e abbastanza vivace. Tutto ruota intorno alla complessa figura di Betty, classica eroina argentiana, innocente e pura quanto basta nel bel mezzo di delirio e sangue: Cristina Marsillach, attrice dalla carriera inferiore alle attese e alle capacità, si rivela una scelta calzante.
Il prefinale richiama certe atmosfere di Phenomena (1985): contiene qualche forzatura narrativa (l’assassino sembra avere le risorse e la durevolezza di un Jason), ma consente ad Argento di mettere in scena sequenze di particolare efficacia ambientale e cromatica, nonché di trovare nuove suggestioni visuali tra i boschi e il verde che si colora di rosso, sino a un simpatico finale panteista e bucolico nel quale la protagonista, dopo tanto orrore, trova finalmente – e inaspettatamente – sé stessa.
Note
1 Il film ha un consistente successo di pubblico, classificandosi al 12° posto tra gli incassi della stagione 1987/1988 con un totale di L. 4.737.204.000, secondo i dati del Giornale dello Spettacolo (n. 28, 29 agosto 1988) relativi alle capozona e alle cosiddette città-chiave.
2 Soggettiva realizzata affrontando difficoltà tecniche notevoli, come testimoniato negli ottimi extra contenuti nel blu-ray italiano.
CAST & CREDITS
Regia: Dario Argento; soggetto: Dario Argento; sceneggiatura: Dario Argento, Franco Ferrini; fotografia: Ronnie Taylor; scenografia: Davide Bassan, Gian Maurizio Fercioni; costumi: Lia Francesca Morandini; montaggio: Franco Fraticelli; musiche: Claudio Simonetti; interpreti: Cristina Marsillach (Betty), Ian Charleson (Marco), Urbano Barberini (Santini), Antonino Iuorio (Baldini), Daria Nicolodi (Mira), Coralina Cataldi Tassoni (Giulia), Antonella Vitale (Marion), William McNamara (Stefano), Barbara Cupisti (signora Albertini), Carola Stagnaro (madre di Alma), Francesca Cassola (Alma), Michele Soavi (Daniele Soave); produzione: Dario Argento per A.D.C., Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica, Rai; origine: Italia, 1987; durata: 107’; home video: Blu-ray CG Entertainment, dvd CG Entertainment; colonna sonora: Rustblade Records.