Master(s) of Horror: "Istinto assassino" e "Istinto animale"

Matteo Marescalco
Dario Argento n. 15/2022

In L’eroe dai mille volti, Joseph Campbell sostiene che il nostro cervello sia una macchina alimentata dall’energia delle storie e dei miti. E se è vero, come scrive Jung, che il sogno è il mito individuale e i miti sono sogni collettivi dell’umanità, allora è il grande cinema a essere il nostro sogno collettivo.
A proposito di sogni, fiabe e commistioni tra linguaggi differenti, in Italia difficilmente è esistito un regista altrettanto pop e universale come Dario Argento. A partire dalla musica del suo cinema – chi non è in grado di ricondurre ai suoi incubi il la-la-la apparentemente innocente delle colonne sonore dei suoi film, tra la ninna nanna e il ritornello infantile suscettibile, però, di trasformarsi in sinistra nenia funebre? – si intuisce una concezione antinaturalistica del mondo, restituito dalle immagini come fosse preda di una fascinazione ipnotica, malata e pericolosa. Per visualizzare l’inimmaginabile e restituire l’indicibile, Argento sfrutta tecnica e genere con l’obiettivo di costruire realtà oniriche, spazi dominati da un’espressività iperbolica, luoghi deformati dall’angoscia, cammini che prendono il via dalla razionalità dello scenario urbano per poi scivolare verso il delirio irrazionale di boschi, acquitrini e serpenti. Il suo è un cinema quasi puramente visivo, che abbandona le inaridite fronde del realismo per sposare i ritmi vertiginosi delle immagini smembrate, l’iconoclastia dei cromatismi vividi del technicolor, gli abbagli e le visioni che impediscono di distinguere il vero dal falso.
Non stupisce, quindi, che una rockstar delle immagini come Argento, capace di trasformare la connessione tra schermo e platea in un’esperienza sensoriale sempre intensa, abbia attraversato le tende rosse dell’arte e si sia tuffato a capofitto tra le suggestioni inquietanti offerte dai più disparati mezzi di comunicazione.
Nel corso della sua carriera, il celebre autore di Profondo rosso (1975) è stato critico cinematografico per «Paese Sera», ha curato La porta sul buio (contenitore televisivo Rai del 1973), diretto Gli incubi di Dario Argento (nove corti realizzati nel 1987 per Giallo, programma Rai condotto da Enzo Tortora), presentato in stile zio Tibia le serie a fumetti Profondo rosso e Tenebre, giunte in edicola dal 1990. Non solo. Ha ideato la miniserie Turno di notte, diretto uno spot per l’Associazione Italiana Malati di Alzheimer nel 1999, doppiato il personaggio del Dottor Terrence Kyne nel videogame Dead Space del 2009, curato la regia di tre opere teatrali (Macbeth, Lucia di Mammermoor e Salomè) e condotto dal 2012 al 2013 100 pallottole d’Argento, format dedicato da RaiMovie al cinema di genere. Infine, ha scritto due libri (Paura e Horror. Storie di sangue, spiriti e segreti) e la storia a fumetti Profondo nero, pubblicata per la serie mensile di Dylan Dog nel 2018. Ha persino testato il 3D stereoscopico per il suo Dracula e recitato da protagonista in Vortex (2021), diretto da Gaspar Noé e presentato in anteprima mondiale alla 74esima edizione del Festival di Cannes.
Ma, soprattutto, anni prima che Ryan Murphy rileggesse la storia degli Stati Uniti d’America sotto la lente del genere con American Horror Story, Jason Blum producesse Into the Dark (antologia di film dell’orrore ispirati alle festività americane e a fatti di cronaca realmente accaduti) ed Eli Roth desse vita alla sua History of Horror, Argento si è ritrovato a far parte del gruppo dei movie brats di Masters of Horror, contenitore antologico prodotto da Showtime e andato in onda dal 2005 al 2007.
Ideato da Mick Garris e suddiviso in due stagioni da 13 tv movie ciascuna, Masters of Horror racconta ben 26 storie appartenenti al genere del body horror. Il vero punto di forza del progetto risiede nei nomi dei registi che hanno deciso di dare vita a questo best of del weird: tra tutti è bene citare, insieme al nostro Argento, Stuart Gordon, Tobe Hooper, Joe Dante, John Landis, John Carpenter, Takashi Miike, Lucky McKee, Rob Schmidt e Tom Holland.
Leggenda narra che, nel 2002, l’ideatore dello show abbia deciso di organizzare una serie di cene informali tra amici – arricchite dalla presenza di David Cronenberg, William Lustig, James Gunn, Robert Rodriguez, Eli Roth e Guillermo del Toro – e abbia affibbiato alle sublimi serate il nome di Masters of Horror. In seguito al grande successo di pubblico e critica del primo film tv (Panico sulla montagna, scritto e diretto da Don Coscarelli), Showtime ha dato il via alla produzione di due stagioni e di un reboot del progetto, questa volta denominato Fear Itself. A causa degli scadenti ascolti di pubblico, però, la messa in onda di questa copia differenziale è stata cancellata dopo nove appuntamenti.
Tornando al Masters of Horror originale, Dario Argento ha diretto Istinto assassino, quarto tv movie della prima stagione, e Istinto animale, sesto della seconda annata dello show.
Tratto da un fumetto del 1973 sceneggiato da Bruce Jones e illustrato da Bernie Wrightson, Istinto assassino racconta la storia di una ragazza dal volto deforme, ma dal fisico mozzafiato. Soccorsa da un poliziotto, che sviluppa nei suoi confronti una morbosa attrazione sessuale, e sottratta alla casa di cura a cui era stata destinata, Jenifer rivela presto un istinto omicida che porta alla distruzione della vita familiare e professionale dell’agente. Alla fine, però, il protagonista prova a opporsi alla spirale distruttiva attraverso una conclusione circolare che ricalca l’inizio del racconto.
Segnato da un gusto ancor più splatter e gore, Istinto animale porta in scena una maledizione legata alla realizzazione di una pelliccia depositaria di una singolare magia in grado di domare, trovare, ghermire e incatenare chiunque vi venga a contatto. Protagonista del racconto è il pellicciaio Jake Feldman, entrato in possesso di un carico di pellicce di procione rubate a una vecchia signora che ha sviluppato un particolare legame spirituale con gli animali citati. Nel corso del tempo, chi mette le mani su questi capi è posseduto da un’insana voglia di farsi del male.
Consci della capacità di Argento di ridisegnare espressioni ed emozioni, e di costruire suggestioni inquietanti a partire dai più prosaici ambienti e dettagli, non stupisce assistere all’utilizzo di un gleaming detail – il taglio alla mano del poliziotto Frank, protagonista di Istinto assassino – allo stesso modo con cui David Lynch si è servito del celebre orecchio in Velluto blu (1986): la ferita dell’epidermide sancisce l’ingresso in un altro mondo in cui le regole della quotidianità perdono la loro validità, e da cui emerge la materia oscura che giace nelle più remote profondità dell’animo umano. A partire dall’incontro con un volto sfigurato e un corpo mostruosamente conturbante, erotico e seducente, ha inizio una discesa nelle tenebre e nell’irrazionale. È la ferita sulla propria pelle – quindi, la mutazione attraverso cui Argento scortica la superficie del suo cinema per metterne in mostra il muscolo sottostante – che consente al personaggio di Frank di abbracciare una dimensione ferina, oscena e infernale.
Dalla luce al buio a causa di Jenifer, nome proprio utilizzato, in modo ricorrente, nel cinema horror dagli anni Settanta a oggi. Secondo la sua etimologia, il nome Jennifer è la variante inglese di Ginevra – letteralmente, “luminosa tra gli elfi” – e restituisce l’ossessione del cineasta romano per il ripercorrere luoghi, personaggi e fantasmi del suo cinema. L’omonima argentiana che viene in mente è la giovane signora delle mosche, la phenomena più luminosa di tutte e vestita sempre di bianco, pura anche mentre attraversa una melma di liquami, vermi e teschi. Dotata di uno straordinario potere, che le consente di avere un legame empatico e telepatico con insetti di ogni sorta, la Jennifer di Phenomena (1985) è l’archetipo dell’adolescente diversa dallo standard: vittima di derisione da parte delle compagne collegiali e presa di mira dalla direttrice dell’istituto scolastico che frequenta, la ragazza non perde mai la propria integrità morale e utilizza i suoi poteri soltanto per fare giustizia. Questa volta, la Jenifer protagonista dell’omonimo film (titolo originale) realizzato per il piccolo schermo è il controcampo osceno del personaggio interpretato da Jennifer (!) Connelly: dotata di una vis erotica ferina, la donna è energia allo stato brado, metafora dell’istinto umano più estremo, biglietto di sola andata per un viaggio verso un universo dominato dalle sole forze di eros e thanatos. È inoltre il rovesciamento satanico dei pilastri dell’estetica greca classica («Bello e virtuoso») attraverso il mantra macbethiano «Fair is foul, and foul is fair» (ovvero «Bello è orrendo, orrendo è bello»), capovolgimento del fiabesco nell’orrido e specchio dell’abisso morale che ricorda la visione terribile delle Tre Madri di De Quincy, omaggiate da Argento nella sua celebre trilogia.
Una tra le inquadrature più singolari e suggestive del progetto mostra gli occhi di Jenifer riflettere il volto del protagonista: nello sguardo del mostro, il poliziotto vede sé stesso – anticipazione della futura collaborazione tra Argento e Dylan Dog, cantore dell’idea per cui i veri mostri siamo sempre e solo noi.
Non dimentichiamo, d’altronde, che il periodo compreso tra il 2004 e il 2007 è clou per l’identità del cinema americano di genere horror. Reduce dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, il mondo ha definitivamente cambiato espressione e a caricarsi della responsabilità di canalizzare le angosce generate da quel giorno infausto è, ancora una volta, il cinema – in modo particolare l’horror, genere teorico per eccellenza. Oltre a essere costruiti attorno a scene assai esplicite di sevizie e mutilazioni, torture porn quali Saw. L’enigmista di James Wan (2004) e Hostel di Eli Roth (2005) danno fisicità ai complessi di colpa e alle ansie generate dalla mostruosità propria e altrui. L’inversione morale degli Stati Uniti dopo gli attacchi terroristici alle Torri Gemelle – dove i rappresentanti di una società civile dimostrano di essere selvaggi quanto i loro nemici – non è nuova, ma è essenziale e persino necessaria per l’universo a stelle e strisce quando si tratta di stabilire e difendere i suoi valori democratici. Inquadrato in tal senso, il poliziotto interpretato da Steven Weber è una sorta di vigilante morale che, scontrandosi con i mostri, ha offerto loro la sua anima in pegno: «Chi lotta con i mostri deve guardarsi dal non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te».
Tratto dall’omonimo racconto di F. Paul Wilson, Istinto animale porta su schermo lo Zeitgeist dei primi anni Duemila attraverso la costruzione di un folk horror basato sul più tradizionale degli scontri: quello tra wilderness e civilization. Anche in questa danza macabra di macchine umane, che si disarticolano in un profluvio di sangue e interiora, Argento fa mostra del suo stile dando vita a una sorta di vaso di Pandora che, una volta aperto, lascia schizzare via frammenti di passato, generi diversi – si spazia dal torture al wrong turn movie – e un patchwork cromatico in grado di donare a questo racconto di rifugi magici al limitare del bosco una saturazione coloristica quasi lisergica e dai toni infernali.
Anche in un’atmosfera da serial tv statunitense di serie B, il cinema dell’autore romano si afferma come un corpo mostruosamente conturbante, libero e anarchico, in grado di confermare il suo autore come uno stregone capace di cambiare pelle e mostrare il volto segreto delle cose.

«I miei film nascono per essere visti, non per essere letti. Nascono per immagini e non per concatenazioni di storie. Nascono […] con un cammino che prende il via dal razionale per […] approdare all’irrazionale e, come ultima spiaggia, al delirio. […] Trovo il thrilling uno dei modi più sfrenati per fare cinema, uno dei generi che permettono all’autore di far volare in sala sulla testa degli spettatori, per molti minuti, grandi vele di irrazionale e di delirio. Contribuisce a far vacillare solide convinzioni e tranquillità, quieti modi di vivere, banali e false sicurezze».

CAST & CREDITS
 
ISTINTO ASSASSINO
Titolo originale: Jenifer; regia: Dario Argento; soggetto: Bruce Jones (fumetto omonimo); sceneggiatura: Steven Weber; fotografia: Attila Szalay; montaggio: Marshall Harvey; musiche: Claudio Simonetti; interpreti: Steven Weber (Frank Spivey), Laurie Brunetti (Spacey), Carrie Anne Fleming (Jenifer), Harris Allan (Pete), Brenda James (Ruby); produzione: Lisa Richardson e Tom Rowe per IDT Entertainment; origine: Canada, Stati Uniti, 2005; durata: 58’; home video: Blu-ray inedito, dvd 01 Distribution; colonna sonora: Simonetti Music.

ISTINTO ANIMALE
Titolo originale: Pelts; regia: Dario Argento; soggetto: F. Paul Wilson, Matt Venne; sceneggiatura: Matt Venne; fotografia: Attila Szalay; montaggio: Jacqueline Cambas; musiche: Claudio Simonetti; interpreti: Meat Loaf (Jake Feldman), Link Baker (Lou Chinaski), Emilio Salituro (Sergio), Elise Lew (Sue Chin Yao), Ellen Ewusie (Shanna), John Saxon (Jeb Jameson), Michal Suchánek (Larry Jameson); produzione: Lisa Richardson e Tom Rowe per IDT Entertainment; origine: Canada, Stati Uniti, 2006; durata: 58’; home video: Blu-ray inedito, dvd inedito; colonna sonora: Simonetti Music.

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