Editoriale

Ilaria Floreano
Carlo Verdone n. 12/2019
Editoriale

Riconosci un autore di commedia dal numero di battute cult con cui ha inciso le rupi dell’immaginario collettivo. Se tali battute sono calate in un contesto a cui non appartieni, vuol dire che hanno centrato il bersaglio dell’universalità. Se vengono pronunciate in un dialetto che non è il tuo e ti fanno sganasciare, vuol dire che l’autore in questione è un talento di razza. Se, ancora, l’autore in questione è il preferito di tuo padre, il numero di battute cult mandato a memoria subirà una crescita esponenziale e potrebbe arrivare a inserirsi nel tuo lessico famigliare. Dunque, «ah puffo, che me tiri una penna?»: ecco, partiamo.

Poter dedicare il numero #12 di INLAND. Quaderni di cinema a Carlo Verdone è per svariati motivi fonte di immensa soddisfazione. Un po’ perché nasce per il terzo anno di fila dalla felice collaborazione con il festival Presente Italiano di Pistoia, che omaggia l’autore romano il 4 e 5 ottobre 2019 proiettando quattro dei suoi 26 lungometraggi (del ventisettesimo, Si vive una volta sola, si sono appena concluse le riprese). Un po’ perché, come ormai è diventato consueto (ma guai a considerarlo scontato o facile), il direttore Claudio Bartolini è riuscito a coinvolgere nuove, prestigiose firme, grazie anche al contributo di Roy Menarini che ha co-curato il fascicolo: la presenza di quest’ultimo e la costanza con cui a ogni uscita le fila dei nostri contributori si rinsaldano e ingrossano sono un segnale inequivocabile di quanto siamo cresciuti. Crescita confermata dalla gioia con cui Carlo Verdone in persona ha accolto l’idea di un numero dedicato alla sua carriera, a suggello del riconoscimento che INLAND continua a ricevere sia dal pubblico sia da addetti ai lavori, critici, giornalisti o appunto registi che siano.

Un po’, infine, perché la nostra rivista è nata, ormai quattro anni fa, con l’intento di offrire ai lettori – insieme ai libri Bietti Heterotopia – scritti di pregio dedicati, da una parte, al lavoro di autori poco o affatto o male conosciuti, dall’altra ad autori fin troppo conosciuti, ma non del tutto o per niente compresi nella loro totalità; e pensiamo di avere mantenuto fede all’intento anche in questo caso.

Carlo Verdone può infatti essere incluso nel novero dei registi la cui vocazione a fare un cinema popolare (come lui i fratelli Vanzina a cui abbiamo, non a caso, dedicato il nostro numero #7; non è un caso nemmeno che Enrico di Verdone sia grande amico) è diventata una ragione per non considerarlo autore. L’etichetta “popolare”, si sa, una volta affibbiata è difficile da levare (come tutte le etichette, in effetti), tanto più in Italia dove sottintende una facilità di scrittura, una velocità di realizzazione, una routine di pratiche e temi, una preminenza del volto sul movimento di macchina (leggi del mattatore sul regista, soprattutto quando coincidono) tali per cui non è il caso di spenderci troppe parole o analisi.

Ma da ormai diversi numeri (Martino, Soavi, Lado, Avati) stiamo cercando di – e crediamo di essere riusciti a – dimostrare che oltre all’incasso al botteghino, oltre alla risata di pancia, oltre alle griglie di genere, oltre al tormentone può esserci, e in effetti c’è, di più. Lo ribadiamo nel numero che state per leggere, grazie all’intervista ad hoc con il regista e alle riflessioni sagaci dei nostri contributori.

Carlo Verdone si è dedicato anima, cuore e faccia a un cinema schiettamente popolare, è il “Woody Allen nazionale” per prolificità, percentuale di riuscita, abilità nel miscelare commedia e dramma, talento nel cogliere l’aria che tira, spesso anticipandola. Ma lo ha fatto con coerenza pur nella versatilità, e solidità pur nella leggerezza. Con in più un pessimismo leopardiano probabilmente unico nel panorama nostrano: come il poeta, ha dimostrato da subito di avere una profonda consapevolezza dell’ontologica meschinità dell’essere umano. Ma questo, lungi dal renderlo acido o cinico, lo ha condotto al contrario a un’inscalfibile, bonaria (non buonista) generosità: Verdone tratta tutti i suoi personaggi, anche quelli più orribili (e ne ha riprodotti tanti), con gentilezza. Perché sa che stanno combattendo una segreta battaglia. E questo ha un significato.

Qu’est-ce que c’est un auteur? Nelle prossime pagine ve ne presentiamo uno.

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