Dio salvi la Regina! Elisabetta II sovrana di iconologia tra fiction e realtà
Anna Maria Pasetti
Queen/Seen
Her Majesty’s a pretty nice girl
But she doesn’t have a lot to say.
Her Majesty’s a pretty nice girl
But she changes from day to day.
Quando The Beatles pubblicarono il loro penultimo album, Abbey Road nel 1969, compariva una sorpresa alla fine del disco che, come da elenco delle tracce segnalato sul retro della cover, si concludeva con un track titolato The End. Ma con un po’ di pazienza, e lasciando scorrere la puntina nella scanalatura del LP per 14 secondi, si rimaneva spiazzati da un accordo in Re maggiore che introduceva un pezzo bonus segreto. Si trattava della canzone più corta mai registrata dalla band – Her Majesty – un divertente jingle di 23 secondi scritto un anno prima da Paul McCartney.
Da tipico esempio dello humor irriverente dei Fab Four, nel clima più che sedizioso della Gran Bretagna dei Sixties, Her Majesty osava immaginare la Regina come una ragazza qualunque, una che si può perfino invitare fuori per un drink. Chissà se la decisione di McCartney di tagliare la canzone dall’album fosse influenzata da qualche timore inconscio di commettere un “regicidio musicale”, e se la disobbedienza dell’ingegnere del suono John Kurlander – che ha raccolto la sezione scartata del nastro contenente Her Majesty dal pavimento dello studio inserendola alla fine del master di Abbey Road – fosse da intendersi come un atto rivoluzionario..
Comunque sia andata, la vera ironia sta nel fatto che l’atto di “lesa maestà” dei Beatles era stato adombrato da un devoto della stessa famiglia reale. Per un anno intero, infatti, i Windsor avevano aperto le porte di casa reale alle cineprese per il documentario Royal Family, messo in onda da BBC e ITV il 21 giugno 1969 davanti a una platea di oltre 30 milioni di spettatori – inclusi, immaginiamo – The Beatles che 10 giorni dopo avrebbero registrato la canzone Her Majesty.
Il documentario era stata un’idea del principe Filippo: in un periodo di contestazione contro-culturale alla classe dirigente, voleva (di)mostrare ai sudditi fedeli – nonché contribuenti – che la famiglia reale effettivamente si guadagnava i suoi “benefici”. Ma come Anna Maria Pasetti segnale nel suo avvincente Dio salvi la regina! Elisabetta II sovrana di iconologia tra fiction e realtà (Bietti Edizioni) – il primo testo saggistico sul ritratto di Elisabetta II tra cinema e tv – i reali giudicarono il prodotto finito come un vero proprio disastro. Dopo il 1972 è stato bandito dalla circolazione su diretto ordine, a quanto pare, della Regina in persona secondo la quale essere “troppo normali era tanto pericoloso quanto essere troppo diversi”.
Il tema di distanza e di prossimità è sempre stato al centro di ogni tentativo ritrattistico della Royal Family e della donna al suo vertice, ad oggi la più longeva regnante britannica della Storia. Adottando un approccio semiologico e analizzando sia i documentari che i lavori di fiction, il piccolo ma affascinante volume di Pasetti dimostra come, paradossalmente, sia stata la finzione ad avvicinarsi maggiormente a cogliere certe “verità” fondative sulla monarchia, e a drammatizzare le tensioni esistenziali di una figura istituzionale che, come di recente ha lei stessa dichiarato scherzando, è stata in “lockdown per 95 anni”. È responsabilità dello sceneggiatore Peter Morgan la creazione di quell’illusione di prossimità-nella-distanza presente sia nel suo script per The Queen (2006) di Stephen Frears (del quale il libro riporta un’intervista esclusiva a tema regale..) sia nell’ambiziosa serie di 60 ore per Netflix The Crown.
Opportunamente, la Regina stessa è arrivata ad accettare che forse la cosa più onesta che la monarchia potesse fare sullo schermo era di “interpretare” una versione di se stessa, come del resto ha fatto per il cortometraggio Happy and Glorious di Danny Boyle in occasione dell’inaugurazione del Giochi Olimpici di Londra nel 2012.
Mentre Elisabetta II si prepara a celebrare i 70 anni della sua ascesa al trono, vale la pena chiederci quanti altri monarchi regnanti permetterebbero a loro stessi di abbracciare l’ironia post-moderna come ha fatto lei. Her Majesty è una graziosa ragazzina che forse ha anche parecchio da dire, se solo la stiamo ad ascoltare.
Lee Marshall ©Redshoesuk 21 gennaio 2022