Scenario: «Moderni contro antichi. L'ideale "guerra civile" europea in "Un'altra modernità"»
Davide Bigalli
C’è una tendenza del pensiero – o in una parte di esso – a vedere una crisi continua nel presente (o, se preferite, il presente in perenne crisi). A questa tendenza – che non è detto non sia giustificata – si accompagna solitamente il richiamo ad epoche o a valori passati, richiamo che può generare due atteggiamenti: il primo è quello di una volontà restauratrice, che nel suo essere idealista può scadere fino all’ingenuità; la seconda è quella di cercare nel passato, nei valori antichi, la possibilità di concepire la modernità in modo altro.
Un’altra modernità, di Davide Bigalli, docente di Storia della Filosofia a Milano, ha proprio questo secondo fine: quello di provare a rintracciare una nuova lettura del nostro tempo, riscoprendo in chi veniva considerato inattuale le radici per superare la crisi contemporanea.
È un esercizio utile quello di Bigalli, soprattutto in un’epoca come la nostra: sarebbe ridondante in questa sede riproporre le migliaia di parole vane sulla crisi che stiamo attraversando – sia quella economica, ma soprattutto quella culturale, di saperi e di valori. L’autore ripercorre il pensiero dominante e le sue alternative per arrivare a capire in profondità il nostro tempo. Bigalli, per aprirsi al presente, recupera quello scontro che cominciò con il Rinascimento e che prosegue ancora oggi: il dibattito tra moderni e antichi, tra moderni e antimoderni.
Lo scontro tra moderni e antichi è fondato su due diverse visioni del mondo, che hanno alla loro base due diverse concezioni del tempo. I moderni si schierano per un tempo lineare e positivo, da intendersi come una progressiva uscita dalle tenebre verso la luce; agente di questo superamento costante dei limiti è il progresso, e la fiducia – scientifica e non – in esso. Dall’altra parte c’è il patrimonio ideale degli antichi, i quali, rifiutando l’idea del divenire storico progressivo, fondano la loro Weltanschuung sull’idea del tempo ciclico e sull’individuazione di alcuni principi al di sopra del tempo stessa, situati nella nostra tradizione culturale – sia greca, sia cristiana. Un’altra Modernità è un libro che non ha paura di schierarsi all’interno di questo dibattito, parteggiando chiaramente per gli antimoderni – e cercando di essere anche un manifesto-raccolta del loro pensiero.
Sono due i momenti chiave che Bigalli analizza per farci comprendere come si articola lo scontro e il pensiero degli antimoderni: il primo è il Rinascimento, preso come momento della nascita della querelle; l’altro momento è l’Illuminismo, la Rivoluzione francese e il tutto il complesso dibattito posteriore che da essa si sviluppa.
Nel Rinascimento viene individuato il primo rifiuto della modernità. Ritenendo insostenibile il presente, gli intellettuali rinascimentali palesano l’esigenza di nuovi riferimenti culturali. Il richiamo a valori altri è, però, un recupero dell’antichità classica: è un esempio straordinario di come la risoluzione della crisi presente passi attraverso un rivolgimento al passato.
Sarà la scienza a rompere questa tensione verso il passato, traslando verso il futuro la possibilità di risolvere la crisi contemporenea. Irrompe sulla scena il concetto-strumento che attua questa traslazione: il progresso, che fonda l’idea del superamento continuo del presente. Bigalli descrive così questo passaggio: “la critica rivolta alla modernità non si risolve più nel rifiuto di questa e nella nostalgia del ritorno al passato, ma si pone come oltrepassamento del presente, suo superamento”. Per uscire dalla stasi del presente si assume ad esempio il modello scientifico, che ha connaturato in sé la dimensione del progresso, del superamento e della diffusione del sapere. Il richiamo al passato, tuttavia, non scompare: il futuro è comunque “un ritorno a un lontano e perduto passato, ad antiche felici condizioni di vita”. Il vero fine della conoscenza e della revolutio è quello di purificare l’uomo, di riportare ad una condizione pre-peccato. Il mondo Rinascimentale conservava, dunque, un legame forte con il passato.
Il secondo momento analizzato da Bigalli è la Rivoluzione Francese, che, materializzando lo spirito illuminista, rappresenta il volto più dirompente della modernità. Il 1789 segna un’epoca di passaggio, la rivoluzione viene “colta come l’episodio discriminante il passaggio alla modernità, con la scomparsa di quello che si è venuto definendo come l’Ancien Regime”. La rottura è totale.
Secondo Bigalli in Europa, dopo la Rivoluzione, entra in scena una grande guerra civile. Lo scontro tra Antichi e Moderni raggiunge la sua massima tensione. La rottura portata in Francia è talmente forte da concentrare attorno a sé lo scontro: i moderni parteggiano per l’illuminismo e la rivoluzione francese, gli antichi si trovano a sposare la cultura antimoderna e controrivoluzionaria, che presenta al suo interno uno schieramento molto complesso. Bigalli, riprendendo Compagnon, individua tre modalità dell’atteggiamento controrivoluzionario: i conservatori, che auspicano un ritorno all’Ancien Regime pre-1789, i reazionari – che sono considerati i veri antimoderni, in quanto rievocano una ideale repubblica aristocratica – e controrivoluzionari in senso stretto, che si fanno promotori della monarchia costituzionale.
La cultura antimoderna si alimenta con il fallimento della Rivoluzione, e in particolare dal suo aspetto più degenerato – il Terrore. La critica degli antimoderni è severa: gli uomini che hanno attualizzato l’illuminismo più radicale, nel tentativo – fallito – di liberare l’uomo nella sua totalità, rischiano di cancellare, attraverso la volontà collettiva, la volontà individuale. Secondo il pensiero antilluministico, l’illuminismo radicale finisce per manipolare direttamente l’individuo, privandolo di ogni capacità autonoma di giudizio e di critica, che porterebbe ad uno dei mali della nostra società: il conformismo e l’omogeneizzazione della società – omogeneizzazione dovuto anche all’incedere del progresso.
La cultura antimoderna, quindi, si rinnova in contrasto ai Lumi e alla Rivoluzione: il suo spirito viene incarnato dalla filosofia romantica e i suoi esponenti, i quali esaltano la diversità, l’individualismo che crea, il superamento della ragione. Sono i promotori di una nuova modernità, che “si presenta come volontà di andare oltre, di accettare la sfida, di percorrere gli spazi del sogno, della fantasia, della allucinazione”. Non si fermano qui i romantici: nel tentativo di comprendere nella totalità una nuova modernità, riescono comunque a recuperare positivamente i principi della tradizione cristiana.
Il profilo dell’altra modernità di Bigalli è tutto qui: inventare il futuro ripartendo dalla tradizione, ricreando un’armonia del divenire che salvaguardi le differenze.
L’autore de Un’altra modernità non si ferma ai romantici, ma continua ad illustrare la produzione intellettuali di pensatori che si inscrivono alla tradizione antimoderna, proprio perché sono fedeli all’intento narrativo di Bigalli. Ad esempio analizza il pensiero di Chateubriand, che vedendo “la Rivoluzione come la catastrofe” decide “di rispondere al moderno di cui la Rivoluzione intende presentarsi come incarnazione-realizzione, per dimostrare che in una tradizione il moderno era già contemplato e difeso” – quella tradizione è il cristianesimo, ovviamente. Bigalli analizza la filosofia nietschiana, che, criticando nettamente la civiltà moderna e la sua decandenza, insita tanto nella fede quanto nel progresso, esprime la volontà di recuperare i valori del pensiero greco e del mito.
L’autore analizza la figura di Rene Guenon, il propugnatore della “rivoluzione tradizionale”. Guenon, ripartendo dallo studio dei miti della religione vedica e riscoprendo la visione ciclica del tempo, pone le fondamenta dell’uscita dalla crisi della modernità nell’aspirazione ad un ritorno – perché di ritorno si tratta per Guenon – ad una condizione migliore e preesistente, situata nel futuro e non nel passato. Qui c’è tutto il valore della re-volutio.
Insomma, la costruzione letteraria di Bigalli è fedele al suo intento narrativo, rimanendo coerente al principio da cui era partito: riscrivere la storia degli antimoderni non fondandosi sulla nostalgia del passato, ma tendendo verso il futuro. È tutto qui il senso dell’altra modernità: rinnegando il progresso come ossessione dei moderni e rivendicando il diritto alla differenza, la ricerca riparte dalla tradizione religiosa, dal mito, dai valori antichi e dai grandi del passato per stabilire le premesse e le potenzialità per uscire dalla crisi del nostro tempo.
(Manuele Gianfrancesco, «Senario», 2 febbraio 2015)