Scream queen e femme fatale. La donna nell’universo giallo di Sergio Martino
Laura Da Prato
Se esiste un autore a cui si può attribuire la paternità del cosiddetto “F giallo”, in cui le donne sono indiscussi personaggi trainanti, vittime e (quasi) carnefici, quello è proprio Sergio Martino. Il regista aveva potuto saggiare il potenziale e la potenza del corpo femminile già sul set di Il dolce corpo di Deborah di Romolo Guerrieri – prodotto dal fratello Luciano nel 1968 – lavorando con alcuni professionisti che da lì a poco avrebbero partecipato anche alla realizzazione delle sue opere. Il film di Guerrieri apriva la strada a un nuovo mondo (al) femminile, indugiando sui corpi e sulle forme sinuose di donne belle e tormentate e indagando talvolta la psiche e la paranoia di personaggi maschili in minoranza.
Così, con La coda dello scorpione (1971) Sergio Martino porta sul grande schermo un nuovo universo: storie di donne risolute e passionali, appartenenti alle classi medio-alte e coinvolte in intrighi e scandali del jet-set, nuove vittime e proto-final girls, vendicative e più che mai coraggiose. Sarà che, superati gli anni Sessanta, le dinamiche tra i sessi sono in rapida evoluzione, sarà che il genere sta progressivamente abbandonando i toni scuri del gotico per i colori e la luce del “nuovo” giallo, ma si respira un’aria diversa già dai titoli di testa con la camminata di Ida Galli/Lisa Baumer che, insieme al suo cappello rosso, enorme, attraversa la città con fierezza. Quella che appare come la protagonista in realtà è solo una faccia della medaglia, o meglio del diamante di cui è composta la storia: Lisa è sicura di sé, passionale e misteriosa, intrattiene una relazione focosa con quello che potremmo definire un “toy boy ante litteram” e si circonda di figure maschili poco raccomandabili. Coinvolta in un vortice di ricatti e segreti legati alla riscossione della polizza assicurativa del marito morto in un disastro aereo, non riesce a portare a termine il proprio piano perché vittima di un assassino ancora più astuto di lei, che già era stata sospettata di avere orchestrato l’incidente del coniuge. Qui entrano in scena altre due figure femminili di straordinario carisma: l’amante crudele Lara Florakis (una magnetica Janine Reynaud), mistress elegante e potente, e l’integerrima reporter Cléo Dupont (la bellissima Bond girl Anita Strindberg), protagonista nel terzo atto del film, unica donna che meriterà di sopravvivere al folle Peter Lynch (George Hilton).
Nei suoi F gialli Martino unisce al melodramma romantico il tema del body count, in una luce completamente nuova. Spesso tacciati di misoginia e conservatorismo a causa della triade classi elevate/nudità/morte, questi film rappresentano la donna in tutto il suo splendore e lo fanno a luce piena, con inquadrature e zoom che ne sottolineano linee e lineamenti, spesso in primo piano, anche nei momenti più drammatici. Da «bambole di sangue e carne» – come Michael Mackenzie definisce le scream queens negli extra del Blu-ray Arrow Video di Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972) – le donne divengono leading ladies, colonne portanti e sex symbol del cinema di genere.
Regina assoluta e musa incontrastata è senz’altro Edwige Fenech che, reduce dalle atmosfere patinate dei servizi di moda e delle 5 bambole per la luna d’agosto di Mario Bava (1970), assume lo status di icona e modello di femminilità con il primo ruolo da protagonista in Lo strano vizio della signora Wardh (1970). La sua Julie è passionale e promiscua, instabile tanto sessualmente quanto psichicamente, una donna sull’orlo di una crisi di nervi, vittima di sogni e visioni agghiaccianti e costantemente oggetto delle attenzioni maschili. Nei primi 15 minuti del film il suo corpo è mostrato in ogni dettaglio e da ogni angolazione, s-vestito, nudo, nella narrazione al presente e nei numerosi incubi e flashback, per poi venire coperto e vestito, truccato e colorato, lasciando allo sguardo voyeuristico dello spettatore i veli, la carne, i seni delle vittime del misterioso maniaco.
L’ossessione e la follia della nuova diva Fenech raggiungono l’apice l’anno successivo con Tutti i colori del buio (1972), dove il giallo à la Mario Bava e Dario Argento si mescola alle atmosfere goticheggianti di Roman Polanski e al suo Rosemary’s Baby. Nastro rosso a New York (1968): Jane è tormentata dagli incubi, dalla presenza ingombrante di Richard (George Hilton) e dall’uomo che la sta perseguitando. È una figura manipolabile, fragile e confusa in un mondo ambiguo e pericoloso. Altre donne sono presenti nel film e manifestano tutto il loro sex appeal, come la sorella Barbara (Nieves Navarro) e l’intrigante nuova vicina di casa (Marina Malfatti), figura al servizio del Male. Una presenza/assenza che richiama i temi cari al gotico, infine, è quella della madre di Jane, uccisa molti anni prima, una delle cause con cui la donna motiva la propria condizione psicofisica e le continue allucinazioni.
Ma è nel cult giallo-erotico Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972) che l’attrice francese può esplorare nuove sfumature della femminilità con un ruolo da bad girl: nel film misoginia, sadomasochismo, voyeurismo e violenza sono al servizio dell’avvenente femme fatale Floriana (Fenech) e di Irina (una straordinaria Strindberg), che subiscono, lottano, vendicano e amano follemente. Irina è una moglie vessata, ripetutamente tradita e succube del terribile marito, lo scrittore libertino Oliviero Rouvigny (Luigi Pistilli), che vive all’ombra della madre morta. Floriana è la nipote, che arriva nelle loro vite complicando ulteriormente la situazione, come una benedizione (per Irina) o una maledizione divina. Mentre Irina incarna la repressione della donna e del suo ruolo nella società, condizione che la porterà inevitabilmente alla follia, la Fenech interpreta una sorta di demone tentatore: lasciva, dotata di una sensualità esplosiva, con un look moderno e coloratissimo, i capelli a caschetto e una serie di abitini che ne sottolineano tutte le forme, libera di mostrare e mostrarsi, è una giovane donna emancipata e perversa. Siamo negli anni Settanta e si respira un’aria hippy e promiscua, ma Martino sembra dirci che uomini e donne non hanno lo stesso diritto a manifestare la propria libertà sessuale. Infatti l’ira e l’odio del violento e misogino Oliviero verranno repressi dalle due donne che si coalizzano, stringendo un legame a dir poco morboso. Femmina è anche la gatta della madre di Oliviero, chiamata – non casualmente – Satana.
Ulteriore sviluppo dei personaggi femminili è quello di I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973), dove il giallo cede il passo allo slasher e le femme fatale tornano a essere scream queen. Al centro della vicenda murderous vi è infatti un gruppo di ragazze che si rifugiano in una villa in campagna per sfuggire al clima di terrore che vige a Perugia, dove un serial killer sta uccidendo le studentesse. È una società boccaccesca, quella raffigurata da Martino, in cui l’occhio meccanico di Giancarlo Ferrando si sofferma sui seni, sui fondoschiena e sugli atti sessuali delle donne: le scene di sesso si susseguono in un tripudio di corpi e corpses, di violenza e ossessioni/trasgressioni sessuali. Ma, a parte i piaceri della carne e del sesso, il film introduce una vera e propria final girl: la protagonista Jane/Suzy Kendall è diversa dalle amiche, è pudica, riservata, curiosa e, contrariamente alle altre, sessualmente inattiva. Per questo, nei minuti finali del film, dopo la brutale uccisione delle tre compagne si trasforma in un’eroina capace di ribellarsi e sopravvivere.
Anche nel successivo Assassinio al cimitero etrusco (1982) troviamo un personaggio femminile carismatico e potente: Joan Barnard/Elvire Audray è una dea che non sa di esserlo e, ancora una volta, un personaggio tormentato da terribili visioni.
Edwige Fenech torna, da donna in carriera (produttrice) e madre tormentata (attrice), nella miniserie Rai Delitti privati (1993). In un ventaglio di personaggi femminili ambigui e subdoli, affascinanti e misteriosi – qui le donne, tra le quali spicca la rigida matrona Matilde/Alida Valli al suo ultimo ruolo, sono giornaliste, magistrati e imprenditrici – la diva campeggia come la vera Regina del giallo.