Editoriale. Cronaca di una svolta epocale

Claudio Bartolini
Rote Armee Fraktion n. 18/2024

Nel finale di Zabriskie Point, ambientato nell’immaginazione di Daria, la villa borghese John Lassen House salta in aria in ralenti. Ripetutamente, inquadrata da punti macchina sempre differenti e sempre più ravvicinati, va in pezzi sotto i nostri occhi.
Letteralmente, esplode.
Poi, sul tappeto sonoro sospeso di Come in Number 51, Your Time Is Up dei Pink Floyd, gli oggetti di quell’ambiente disintegrato iniziano a fluttuare, a uscire allo scoperto. Lo slow motion si fa esasperato, l’obiettivo inquadra i dettagli come parti di un insieme ormai scomposto. Irrintracciabile nella sua forma originale progettata dall’architetto Paolo Soleri, ma ricomponibile nel suo senso simbolico.
Tra abiti sgargianti, pezzi di tecnologia frantumata, tavolini e bottiglie, anche libri. Tanti libri, chissà quali. Pagine e pagine di pensieri, parole e racconti si (dis)perdono in un urlo – musicale, ideologico – di protesta e, insieme, di liberazione.

Due anni fa, nel concepire il nuovo corso di INLAND, con Ilaria Floreano e la redazione di Bietti Edizioni abbiamo adottato questa sequenza come punto di partenza.
Letteralmente, di innesco.
Abbiamo calato la dinamite nelle profondità di un progetto nato nel 2015 e, insieme, nelle cavità del modus pensandi che, allora, ci aveva spinti ad adottare l’autore cinematografico come nucleo da cui emettere direttrici eccentriche di riflessione.
Abbiamo chiuso gli occhi e schiacciato il tasto. Poi, li abbiamo riaperti e ci siamo goduti la detonazione.
Di fronte a noi sono esplosi diciotto numeri dei nostri quaderni. Osservandoli al rallentatore, in pezzi, li abbiamo studiati nei minimi termini concettuali, ideologici, filosofici. Frantumandoli, li abbiamo compresi a fondo, isolando gli elementi da preservare e adottare nel nuovo corso.
L’idea di monografia come elemento connotativo di ogni uscita, utile a perimetrare un campo di indagine che abbia ambizioni esaustive.
Il principio archeologico come guida metodologica, alla costante e inesausta ricerca di zone d’ombra, materiali inediti, scoperte e riscoperte.
Un eccellente parco collaboratori che, in materia di saggistica cinematografica, costituisce un invidiabile bacino di sapere.
Una grafica di copertina che, negli anni, ha reso il nostro periodico riconoscibile e, a suo modo, iconico.
Queste le scaglie che, a esplosione consumata, abbiamo raccolto da terra e messo in valigia come punti di partenza per il nuovo mosaico.
Ma ovviamente, serviva molto altro. Così, progressivamente, abbiamo accumulato riflessioni e spunti per poi levigare, smussare e definire i nuovi confini della nostra officina di pensiero audiovisivo.
Per poter superare i limiti della prima linea editoriale, questi dovevano essere innanzitutto identificati. Uno su tutti: la costrizione in ottiche ancora troppo autoreferenziali nel rapporto tra cinema e contesti. INLAND, con i suoi quaderni sui registi, restava focalizzato e ripiegato verso l’interno. Il cinema per il cinema, insomma, con confluenze che faticavano a uscire dal bacino della Settima arte e, quando lo facevano, riconfluivano comunque entro quegli steccati. La politica degli autori chiedeva il suo giusto pegno ed elargirlo, in fondo, non era che un doveroso – ma limitativo – gesto di coerenza.
Serviva, dunque, riprogrammare il focus dei nostri quaderni, concependo monografie i cui oggetti di studio fossero di volta in volta aperti e permeabili a penetrazioni teoriche ampie, variegate, interdisciplinari nel senso più pieno del termine. In altre parole, era necessario uscire dall’ottica autoriale per entrare in una prospettiva fenomenologica.
Ci abbiamo riflettuto molto e, alla fine, abbiamo messo nero su bianco i tre obiettivi che questo nuovo corso avrebbe dovuto eleggere a linee di condotta e punti fermi da perseguire con determinazione. Tre pilastri invalicabili, tanto nel definire il criterio selettivo per i temi da trattare, quanto per orientare le riflessioni interne al perimetro del numero.

  • INLAND è un periodico di cultura cinematografica.
  • Perciò, l’oggetto di studio di volta in volta scelto dovrà possedere una relativa mole audiovisiva tale da giustificare una pubblicazione che risulti coerente con la natura stessa del quaderno. La suddetta mole audiovisiva dovrà essere variegata in quanto a natura mediale (cinema, televisione, serialità), artistica (documentario, reportage, finzione) e commerciale (intrattenimento/autorialità, mainstream/essai), e dovrà aprire il campo a indagini quanto più centrifughe possibile.

    1. INLAND è un periodico di ricerca.

    Perciò, ogni studio monografico dovrà essere frutto di un’indagine minuziosa, tanto sulla direttrice orizzontale dell’enciclopedismo, quanto su quella verticale dell’approfondimento. Lo studio dovrà utilizzare l’arte audiovisiva come cuneo con cui aprire varchi nelle gallerie di discipline, materie e aree semantiche altre. Inoltre, ogni oggetto di tale studio dovrà essere messo in relazione con tali discipline, materie e aree semantiche attingendo al sapere e agli strumenti non solo – non più solo – di saggisti e accademici cinematografico-televisivi, ma anche e soprattutto di esperti competenti nelle suddette discipline, materie e campi semantici, incaricati di illuminare con la dovuta luce certe zone di senso e, insieme, restituire la necessaria profondità fenomenologica.

    1. INLAND è un periodico pionieristico.

    Perciò, ogni numero monografico dovrà essere apripista – quantomeno in Italia, ma anche oltreconfine – circa il fenomeno trattato attraverso il filtro privilegiato dell’arte audiovisiva. Non solo. Al suo interno, ogni quaderno sarà chiamato a contenere sì gli elementi e le coordinate essenziali – storicizzate, in alcuni casi risapute – di un fenomeno e del suo corollario filmico e letterario, ma anche materiali e approfondimenti del tutto inediti – quantomeno in Italia, ma anche oltreconfine. INLAND dovrà continuare a essere un sito archeologico su carta, un laboratorio inesausto capace di diseppellire, (ri)portandoli alla luce, reperti preziosi e rimasti per troppo tempo al buio.

    I dogmi del nuovo corso sono stati redatti e affissi al muro della redazione il 25 novembre 2021. Ed è stato allora che, guidati da questi obiettivi, mettendo sul tavolo le ipotesi per i primi, possibili numeri, tre lettere ci hanno folgorati: R(ote)-A(rmee)-F(raktion).
    Ogni altra proposta è stata subito messa in un cassetto, da riaprire in data da destinarsi.
    Con la sua costellazione di volti, accadimenti, testi e produzioni artistiche, l’evento RAF ha risposto immediatamente, e con forza dirompente, ai tre dogmi.
    Il fascicolo è stato messo sul tavolo con un’etichetta: «Prima uscita, primavera 2024».
    Poi, di nuovo, abbiamo preso la dinamite, l’abbiamo collocata al centro del fenomeno-Fraktion e abbiamo azionato l’innesco.
    La deflagrazione ha mandato in frantumi un Moloch che affondava le sue radici in meandri che, in Italia, in pochi (e non sempre a proposito) avevano esplorato. Scaglie di Storia, biografie, audiovisivi, arte contemporanea, musica, politica e giurisprudenza sono affiorate in superficie, consentendoci di disporre sul tavolo innumerevoli tessere come altrettante domande, bisognose di risposte e interlocutori adeguati.
    Da quel novembre 2021 abbiamo trascorso settimane, mesi, anni a mettere ordine tra i detriti dell’esplosione.
    A prepararci.
    Abbiamo studiato a fondo, letto migliaia di pagine, visionato chilometri di pellicola, ascoltato ore di conversazioni.
    Abbiamo tradotto, ricercato, analizzato.
    Infine, abbiamo chiamato a raccolta il miglior parterre di contributori possibile, provenienti dai territori – geografici e intellettuali – di volta in volta più adatti ad affrontare un determinato taglio, una spigolatura, un’opera.
    Ci siamo ritrovati a comporre un indice all’apparenza più adatto a un volume – o a una serie di volumi – che a una rivista. Lo abbiamo sottoposto all’editore, certi che ci avrebbe imposto un freno o, quantomeno, paletti e restrizioni. Invece no. Come sempre, ha compreso le ragioni della svolta e la pertinenza del progetto, sposandolo e rincarando la dose: nuovo formato (con conseguente aumento di foliazione, fisiologico nel passaggio da un A4 a un vero e proprio quaderno), necessità di fotografie a corredo – che sono tante, e molto utili – e un numero di pagine decuplicato rispetto alla precedente linea editoriale.
    Il risultato lo avete tra le mani.
    Un tomo in grado di mappare l’intera produzione di immagini che hanno riflesso la Rote Armee Fraktion e sulla Rote Armee Fraktion hanno riflettuto. Un lavoro mastodontico, in cui si intersecano contributi di docenti di diritto penale, storici, critici cinematografici, studiosi di mass media, poeti, artisti, filosofi, politologi, esperti di RAF, sceneggiatori, registi e attori. Uno scavo profondo, durante il quale sono stati rinvenuti libri, cataloghi, film, tv movie e documentari del tutto inediti in Italia (alcuni mai sottotitolati nella nostra lingua) e che, tra gli altri, ha visto protagonista al nostro fianco Stefan Aust, il cui volume Der Baader-Meinhof Komplex – unanimemente considerato il punto di partenza per ogni studio del fenomeno RAF – abbiamo deciso di inserire nella collana I libri di INLAND e, così, (ri)mettere a disposizione dei lettori italiani, per la prima volta in edizione integrale.

    Il nostro ringraziamento va a Herr Aust, ma anche a Volker Schlöndorff e Margarethe von Trotta che, con entusiasmo e coinvolgimento, hanno accettato di impreziosire con le loro testimonianze – oltre che con le loro immortali pellicole a tema RAF – un numero già di per sé epocale.
    Ma il nostro grazie più sentito è rivolto a tutti i collaboratori che hanno messo a disposizione di INLAND il loro tempo, il loro sapere e le loro penne, contribuendo a trasformare quell’esplosione di schegge impazzite nel mosaico che siamo fieri di presentarvi.
    E adesso?
    Semplice: siamo già al lavoro sulla seconda tappa di questo nuovo viaggio.
    Una tappa che ci condurrà in Romania per esplorare, scoprire e portare alla luce audiovisivi in larga parte tra(o)scurati nel nostro Paese.
    Una tappa che si lega indissolubilmente a un nome: Nicolae Ceaușescu, Conducător di Romania dal 22 marzo 1965 al 22 dicembre 1989, attore, regista e soggetto occulto di tutto un cinema che, a seguito della sua destituzione forzata, lo ha raccontato seguendo innumerevoli direttrici centrifughe e, spesso, prive della sua “presenza in scena”.
    In relazione al fenomeno del terrorismo di sinistra coevo alla sua dittatura – RAF in primis – Ceaușescu si espresse senza mezzi termini il 3 agosto 1978, nella relazione alla seduta dell’attivo centrale di partito e di stato di Romania: «Noi abbiamo fatto e facciamo una differenza netta tra la lotta armata per la liberazione nazionale e sociale e le azioni terroristiche individuali. Noi consideriamo che il terrorismo non può costituire in nessuna circostanza una forma della lotta politica. Indifferentemente dai problemi che devono essere risolti in un paese o in un altro, la via del terrorismo non può che complicare e in ultimo impedire la soluzione dei problemi. Bisogna naturalmente analizzare le cause di questo fenomeno, per agire verso il loro allontanamento; ma indifferentemente da ciò, le azioni terroristiche non possono essere in nessun modo giustificate e approvate […]. Nel mondo capitalista, leso profondamente dai fenomeni di scomponimento sociale e morale […] appaiono concezioni nichiliste, anarchiche di ogni tipo – alcune di estrema sinistra, altre di destra – che non hanno niente a che fare con lo sforzo di soluzione dei problemi acuti delle masse, di trasformazione democratica, socialista, della società. Sfortunatamente simili teorie trovano ogni tanto appoggio anche da parte di alcuni comunisti».

    Con queste parole, INLAND chiude a suo modo un cerchio.
    E ne apre un altro.
    Buon viaggio.

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