Intervista a Leon Surette: «La modernità in Purgatorio»
Luca Gallesi
Il tuo A Light from Eleusis (1979) è uno dei primi studi sui Cantos a concentrarsi sull’interesse e la familiarità di Ezra Pound con ciò che, in generale, potrebbe essere chiamato “esoterismo”. Quale “luce” arriva dai misteri dell’antica Grecia? Come “illumina” i Cantos?
Quando scrissi quel libro non sapevo nulla di occultismo, e supponevo che Pound usasse le allusioni a temi occulti nello stesso modo in cui Eliot aveva utilizzato la discussione di Jessie Weston sulla letteratura esoterica del Graal in The Waste Land – vale a dire per fornire una struttura fittizia per un poema altrimenti incoerente. La tecnica era stata inaugurata da James Joyce nell’Ulysses, ed era stata etichettata da Eliot come “metodo mitico”.
Poco dopo la pubblicazione di A Light from Eleusis fui contattato da William French, un occultista di vecchia data e a suo tempo habitué dell’“Ezuniversity” sul prato del St. Elizabeths, dove Pound era allora detenuto. Era stupefatto dal fatto che io avessi scoperto i temi occulti dei Cantos senza essere, a mia volta, uno degli illuminati. Ovviamente, mi stupii anch’io di fronte all’idea che ciò che avevo trattato come una struttura fittizia o arbitraria fosse in effetti una seria articolazione di una fede alternativa.
Dopo ulteriori studi, pubblicai The Birth of Modernism, dove tracciai le origini e la trasmissione di quella fede alternativa, che non aveva legami dimostrabili con i riti e le credenze di Eleusi ma discendeva, per la maggior parte, da speculazioni religiose del periodo ellenistico.
Naturalmente, fu in quell’epoca della civiltà mediterranea che nacque il Cristianesimo. Dalla prospettiva degli occultisti del diciannovesimo e ventesimo secolo – Pound incluso – il Cristianesimo è solo una delle tante religioni misteriche fiorite all’epoca, che prevalse sulle altre per essere stata scelta da Costantino come religione ufficiale dell’Impero Romano.
Pound – e altri del suo genere – credeva che il Cristianesimo avesse soppresso i legami con i culti misterici a causa della commistione con il potere imperiale. È importante ricordare che il poeta americano (nato nel 1885) visse gli ultimi, agonizzanti momenti della fede cristiana, condivisi dagli altri intellettuali. Come il suo amico T. S. Eliot, cercava una fede alternativa, e sulla piazza ce n’erano moltissime: dallo swedenborgianismo alle massonerie speculative, dalla teosofia blavatskiana al Movimento Rosacroce di Péladan – Pound si avvicinò a tutte.
Questa risposta alla tua domanda è un po’ lunga… la “luce da Eleusi” è un amalgama panottico di ogni sorta di fede, secondo cui alcune persone hanno un accesso privilegiato alla visione della vera natura del cosmo, visione negata ai più. Inoltre, la funzione dell’artista è trasmettere ai non-iniziati le regole di condotta inerenti alla natura nascosta (occulta) del cosmo.
Come si possono aiutare i lettori dei Cantos a penetrare i loro segreti? O meglio, c’è una chiave di lettura segreta da rivelare?
Il miglior modo per penetrare i segreti dei Cantos è leggere i libri che ho citato. Fatto questo, il lettore realizzerà che non c’è nessun “segreto” ma solo un sistema di credenze piuttosto confuso che è fondato su una fede che – come l’Immacolata Concezione e la Trinità cristiana – è un mistero che non può essere totalmente compreso dalla ragione.
Qual è la vera forza – se ve n’è una – dei Cantos? Nonostante la loro difficoltà di lettura, dovuta ad una certa oscurità (ma anche al loro essere davvero politicamente scorretti), attraggono ancora nuove generazioni di lettori e studiosi…
Sono molti gli elementi che attirano lettori e studiosi: dal punto di vista estetico, i Cantos contengono una poesia davvero elaborata, forse i versi visionari più raffinati del Ventesimo secolo. Molti lettori sono anche attratti dalle idee politiche fasciste del poema. Altri, dal guazzabuglio di visioni economiche radicali di Pound, che offre un rimedio rudimentale al fallimento del potere d’acquisto che afflisse l’economia mondiale prima della rivoluzione keynesiana. Altri ancora, sono affascinati dalla religiosità new age dell’opera.
Nel tuo The Birth of Modernism proponi una revisione radicale della nostra idea del modernismo, respingendo la caratterizzazione positivista del movimento letterario. Quali sono le tue conclusioni?
In quel saggio sostengo che quella sorta di religiosità new age a cui Pound era legato è una caratteristica ben più presente nell’arte modernista di quanto allora – o anche adesso – si riconoscesse. Persino la Waste Land di Eliot è infarcita delle visioni teosofiche di Jessie Weston, autrice di From Ritual to Romance. Il poeta irlandese W. B. Yeats si occupò di occulto per tutta la vita. Wassily Kandinsky, Piet Mondrian, August Strindberg e Alexander Scriabin erano notoriamente teosofi.
Molti dei modernisti tentarono di frenare le proprie inclinazioni verso l’occulto invocando la natura “immateriale” della fisica moderna – dai raggi X fino alla quarta dimensione e alle radiazioni. Nell’Europa delle prime decadi del ventesimo secolo, con l’invenzione della fotografia, ci furono diffusi tentativi di “catturare” le immagini dell’anima mentre questa lasciava il corpo. Alcuni dichiararono persino di esserci riusciti.
Qual è l’“occulto” che ritieni essere alla base dei lavori di Pound, Eliot, Yeats e (in termini canzonatori) Joyce?
Denis Saurat definì l’occultismo come “la patologia della religione”. Intendeva dire che, quando sistemi di credenze organizzati come le religioni cessano di attrarre devoti, il desiderio di una qualche fede in ciò che Wallace Stevens chiamò “qualcosa oltre noi stessi” devia dai canali dell’ortodossia e scivola in qualsiasi sorta di rivolo, pozza o corrente. La facilità con cui, nel ventesimo secolo, decine di migliaia di individui credettero ad ogni sorta di guru e ciarlatano conferma la sua tesi.
La parola “occulto” significa “nascosto”, ed è questa proprietà a permettere ai ciarlatani di cui sopra di raggirare i creduloni, come il Mago di Oz fa nel romanzo fantasy di Lyman Frank Baum. Saurat stesso era convinto che ci fosse in effetti “qualcosa oltre noi stessi,” ma non aveva la pretesa di conoscere alcunché delle sue proprietà o caratteristiche.
Il tuo terzo e ultimo contributo agli studi poundiani è Pound in Purgatory, che tratta delle sue dottrine economiche. Quali sono le conclusioni a proposito? Non è Pound più utile di molti economisti ortodossi per comprendere la crisi contemporanea?
Francamente, credo non lo sia. Come ho sostenuto nel libro che hai citato, Pound aveva ragione a credere che le teorie economiche dominanti del diciannovesimo e ventesimo secolo fossero errate. Questo non toglie però che i rimedi al malfunzionamento delle economie capitaliste che il poeta mutuò dal Maggiore Douglas fossero wishful thinking e cattiva matematica, mentre quelle adottate da Silvio Gesell si concentrassero solo su una parte degli errori delle economie classiche o di quella ricardiana. La teoria generale dell’impiego, interesse e denaro (1936) di J. M. Keynes mostrò gli errori delle economie classiche, ma Pound ne respinse le tesi, legandosi piuttosto alle dottrine di Douglas e Gesell (non conta nulla che le economie classiche abbiano ristabilito la propria supremazia – inizialmente rinominandosi microeconomie e più recentemente monetarismo).
Perché collochi Pound in Purgatorio? Quanto gli manca per arrivare in Paradiso?
Uno dei miei recensori contestò al titolo la sottintesa redenzione di Pound, che un giorno arriverà in Paradiso. Personalmente non avevo in mente categorie teologiche così specifiche, ma volevo solo indicare come il poeta soffrisse per l’incapacità del mondo di risolvere i propri problemi seguendo i suoi consigli. Come forse ricordi, Pound credeva che il Paradiso fosse uno stato mentale, non un luogo fisico, e che fosse – come disse in italiano – “spezzato”. In questo senso, intravide il paradiso nel piacere psichico legato alla bellezza e, non in ultimo, in quella della forma femminile.
Nel tuo ultimo lavoro ti occupi del coinvolgimento politico di Pound, Eliot e Lewis: a quali conclusioni approdi?
Dreams of a Totalitarian Utopia è uno studio delle opinioni e simpatie politiche degli autori che hai citato: due americani e un anglo-canadese. I tre si autoproclamavano avant-gardistes nel regno dell’arte – da poeti gli americani, da pittore e romanziere l’inglese. Tutti e tre nacquero nel 1880 e crebbero in un clima di ottimismo per un futuro che sarebbe stato prosperoso e confortevole, grazie alle meraviglie di tecnologie prima sconosciute (automobili, aeroplani, elettricità, fonografo, cinema e radio). Videro se stessi “conquistare” le potenzialità di una nuova civiltà che sarebbe emersa dalla rivoluzione scientifico-tecnologica in cui si trovavano. Come Ficino, Leonardo, Michelangelo o Shakespeare, erano fermamente intenzionati a partecipare alla costruzione di quella nuova civiltà.
La Prima Guerra Mondiale, la Rivoluzione Russa e il decollo delle democrazie popolari minarono la loro fede e sicurezza. Dopo il 1918 assistettero ad una battaglia volta a conquistare l’anima delle persone da parte di coloro che solleticavano gli appetiti più bassi delle masse con le chimere delle distrazioni e delle comodità. Era una guerra che non avevano la possibilità di vincere in una democrazia popolare, perciò si concentrarono ripetutamente su soluzioni autoritarie, fiduciosi nella possibilità di catturare l’“anima” di un tiranno benevolente o di riconoscere uno spirito affine in un dittatore. Eliot optò per il cattolicesimo anglicano e l’Action Française di Charles Maurras. Lewis apprezzò per un po’ Lenin ma poi scelse la Germania – sennonché, non appena si accorse di come i nazionalsocialisti trattavano gli ebrei, ritirò immediatamente il suo appoggio a Hitler e, allo scoppio della guerra, scappò in Canada. Pound scelse Mussolini, il secondo tiranno ideologico del ventesimo secolo, dato che Lenin fu il primo, e modello per Mussolini stesso, come questi lo fu per Hitler.
Le mie conclusioni? Primo, tutti e tre erano piuttosto ingenui in fatto di politica; secondo, la loro preoccupazione per la conservazione del privilegio culturale di cui godeva l’arte sin dal diciottesimo secolo li portò a temere le masse; terzo, tale paura li condusse a sostenere regimi politici oppressivi, nella speranza che questi ultimi potessero trattenere le ondate di kitsch portate dalle mode moderne della comunicazione in una società egualitaria.
Sei stato allievo di Marshall McLuhan e il tuo prossimo lavoro parlerà di quei giorni e di quell’esperienza. Puoi prevedere ora dove siamo diretti?
Sì, mi sono formato con McLuhan; il prossimo lavoro è Art in the Age of the Machine e presto sarà disponibile in e-book su Amazon. Ma non riguarda tanto “quei giorni”, quanto piuttosto l’impatto della macchina sulle varie arti, dal quindicesimo secolo alla metà del ventesimo.
McLuhan mi diede la consapevolezza che le tecnologie influenzano non solo i nostri comportamenti ma anche le forme del nostro pensiero. Dopo la sua conversione al cattolicesimo, lo studioso divenne un nostalgico del mondo antecedente alla stampa di Gutenberg, che pose definitivamente fine all’epoca medioevale. Ma i suoi pensieri sono forse utili per capire la rivoluzione del web?
Inizialmente, ne La galassia di Gutenberg, sognò che la radio avrebbe rievocato quel mondo, strappando la gente alla pagina stampata e al dominio della visualità ad essa connessa. Ascoltare la radio avrebbe, a suo avviso, restituito importanza alla modalità auditiva e, di conseguenza, restaurato uno stato cognitivo più bilanciato. Invece di essere distaccato come un lettore, l’ascoltatore della radio sarebbe stato un partecipante coinvolto, molto più simile al membro di un pubblico medievale di fronte alle performance di un trovatore.
Tutto questo era poco più di speranza, ma quando, ne Gli strumenti del comunicare, applicò un’analisi similare alla televisione, catturò l’immaginazione degli esperti americani e divenne una celebrità. Erano gli anni Sessanta e, come negli anni Dieci e Venti, tutti si aspettavano qualche genere di cambiamento epocale nella cultura e nella società. Fortunatamente non accadde nulla di così cruciale come la Rivoluzione Comunista o la Seconda Guerra Mondiale, e McLuhan scomparve attorno alla metà degli anni Settanta.
La sua celebrità lo condusse a formulare ogni sorta di previsione riguardo a ciò che avrebbe prodotto la nuova cultura dei media elettronici. Ne fece così tante che qualcuna si avverò. Il World Wide Web sembra aver inaugurato quel “villaggio globale” che McLuhan aveva previsto come conseguenza della televisione. Ma è un villaggio ben più frammentato e violento di quanto non avesse immaginato.
McLuhan amava sostenere che, a differenza di quei molti che vedevano il mondo come attraverso lo specchio retrovisore di un’automobile, lui guardasse avanti, attraverso il parabrezza. Forse tale analogia gli piaceva così tanto perché non aveva mai imparato a guidare. Io, invece, ho guidato lungo tutto il Nord America e l’Europa occidentale, e preferisco tenere gli occhi fissi sulla strada. Ma non riesco mai a vedere più di un chilometro avanti. Tanto basta per evitare incidenti, solitamente. È inutile immaginare cosa possa nascondersi oltre la prossima collina o la prossima curva. Ma è anche una buona idea dare un’occhiata allo specchietto retrovisore di tanto in tanto, ed è quello che ho fatto ne L’arte nell’età della macchina.
Volumi citati: A Light from Eleusis: A study of Ezra Pound’s Cantos, Clarendom Press, Oxford 1979; The Birth of Modernism: Ezra Pound, T. S. Eliot, W. B. Yeats and the Occult, McGill-Queen’s University Press, Montreal 1994; Pound in Purgatory: from Economic Radicalism to Antisemitism, Illinois University Press, Urbana-Chicago 2003; Dreams of a Totalitarian Utopia: Literary Modernism and Politics, McGill-Queen’s University Press, Montreal 2011.