From What Is Before. Viaggio all’inizio del mondo
Lav Diaz n. 3/2017
di Carlo Chatrian
«This is from a memory». Sulle immagini di un bambino accovacciato irrompe una voce. Pronuncia parole che sembrano provenire da un tempo fuori dal racconto. E tuttavia queste parole, che suonano come la voce indistinta di un popolo, raccordano quel racconto a un’esperienza. Richiamano qualcosa che qualcuno ha vissuto. La voce si pone come un controcampo alla scritta, apparsa sulla prima inquadratura, che fissa una data, 1971.
La data (la Storia) e la voce (la Memoria) sono i due assi su cui questo film e la prassi filmica di Lav Diaz si sviluppano. Perché se il cinema non è la Storia ma una lettura della stessa, la memoria da sola non basta. Il cinema secondo Lav Diaz è un movimento che si apre alla comunità, che nasce per essere condiviso. È un assunto che può sembrare paradossale, se riferito a un regista che produce film dalla durata esorbitante; in realtà la posizione non è diversa da quella dei grandi romanzieri russi – dove la quantità di pagine prodotte è una forma di rispetto verso l’importanza o la complessità della storia narrata. Dietro queste immagini, frutto dell’elaborazione memoriale, si agitano persone reali, le inquadrature pertanto non possono essere sbrigative, non possono tradire quel tempo “vissuto” di cui il film è testimonianza prima che racconto.
Andiamo a vedere allora questo racconto che inizia disponendo alcuni personaggi in uno spazio dove la natura appare più forte degli uomini. Il bambino su cui il film si è aperto si chiama Hakub, i suoi genitori sono lontani e lui è affidato allo zio Sito. Hakub trascorre le giornate con amici o facendo visita alla zia Tinang. Nel villaggio vive anche Itang, che si prende cura della sorella Joselina, affetta da disturbi mentali e che si dice abbia poteri da guaritrice. Poco lontano abitano un poeta e Tony, che produce alcol e abusa in segreto di Joselina. Il villaggio è sovente oggetto di visite da parte di Padre Guido e di una venditrice ambulante. Il primo è una sorta di confidente, mentre la seconda non perde occasione per seminare zizzania e ispezionare di nascosto le case. Questo precario equilibrio è spezzato da una serie di accadimenti violenti: una capanna prende fuoco nel cuore della notte e capi di bestiame sono trovati morti nella foresta… Senza che sia richiesto ecco palesarsi l’esercito che si accampa nel villaggio. Ma più che protezione gli abitanti chiedono elettricità e infrastrutture. L’arrivo dell’esercito sarà l’inizio della fine, ovvero una lenta ma inesorabile transizione verso uno stato di controllo che coincide con la promulgazione della legge marziale.
« Tutto ciò che vedete proviene da Mindanao. Per From What is Before – sapete – le riprese sono state dure. Ma la scrittura, la creazione dei personaggi, le situazioni, tutto questo proviene dal ricordo. È una composizione di così tanti personaggi, che derivano dai miei genitori e dalla mia giovinezza».
Lav Diaz parla di questo film come di un racconto che nasce dal fondo della memoria di se stesso bambino. Nato alla fine del 1958 e cresciuto in una sperduta regione delle Filippine da genitori che avevano deciso di offrirsi volontari per un progetto educativo, Lav Diaz non è ancora un adolescente quando viene dichiarata la legge marziale. Sebbene non se ne potrà accorgere che a cose fatte, da quel momento il mondo dell’infanzia è perduto per sempre.
From What Is Before non è però un film su un’innocenza perduta e mai più ritrovata; Lav Diaz non s’identifica nel piccolo Hakub né in un altro personaggio: il suo sguardo non è mai soggettivo anche perché questa visione contrasta con il suo modo di intendere il cinema, che non è il racconto di “uno” ma una commedia umana, dove il senso è la risultante delle relazioni tra i personaggi, e tra gli stessi e quel movimento superiore che dà forma alla Storia. Detto altrimenti, la memoria personale non è il risultato ma la base da cui prende piede il racconto.
Il richiamo alla memoria è il segno della volontà di ancorare il cinema alla sua natura analogica. Sappiamo che Lav Diaz ha trovato nel bianco e nero del digitale una forma espressiva con cui tradurre in maniera altrettanto efficace del 16mm degli esordi le sue visioni; tuttavia l’origine del cinema, il suo essere calco di qualcosa che è avvenuto, non viene meno. Qui più che altrove è come se Lav Diaz ci ricordasse che il cinema ha il potere di fissare per sempre dei momenti. In questo senso From What Is Before è il film che meglio spiega ciò che sta alla base del rapporto che egli ha con la storia.
Prima delle parole in fuori campo, prima della data impressa, c’è qualcos’altro. È qualcosa che abita l’inquadratura e permette di leggerla. In questo viaggio a ritroso nel tempo ciò che sta all’origine è il semplice, incessante, rumore della pioggia. Prima del tempo della storia, prima del tempo degli uomini, prima del tempo dei riti che collegano gli uomini alla natura, c’è il tempo delle cose. Lav Diaz che è un geniale costruttore di mappe – e questo film concepito tra foresta e mare ne è un ottimo esempio – decide di partire con un dato che non è geografico ma metereologico. Il suono della pioggia raccorda la memoria a un presente che sta oltre il tempo, offre un contesto sensoriale su cui la forza espressiva delle immagini e quella di una narrazione che coinvolge una comunità si svilupperanno.
From What Is Before non è solo lo scavo in un passato personale, non è solo il resoconto di come si sia scivolati in una dittatura, non è solo la testimonianza di una comunità dove culture diverse si sono stratificate; Lav Diaz ha l’abilità di far percepire la sacralità della natura e il suo andare oltre il senso che l’uomo le attribuisce. C’è una forma di rispetto nel modo in cui i riti sciamanici vengono presentati, che si tratti di un semplice sguardo rivolto in alto o della danza di Bai Rahman, vista tra pali conficcati nel terreno che dettano linee verticali, o ancora della canzone funebre cantata come un’infinita litania. Così è il nero scoglio, detto il “volto sfregiato della vergine”. Un altare dove Itang porta le sue offerte ma anche lo spazio dove Joselina vaga nuda e infine il luogo del sacrificio delle stesse. È uno spazio dove la parola è bandita, sommersa dal ruggito del mare, che racchiude una vertigine di senso. E, sebbene il finale sia inequivocabilmente nero, questa opacità della natura, che non si fa imbrigliare in un significato, dà una luce diversa alla scena conclusiva e permette di andare oltre l’oratorio funebre. L’ultima inquadratura coglie, infatti, un accenno del prigioniero appeso a sollevarsi, come se un po’ di quella forza della natura si fosse trasferita alla resilienza dell’essere umano.
CAST AND CREDITS
Titolo originale: Mula sa kung ano ang noon; regia: Lav Diaz; sceneggiatura: Lav Diaz; fotografia: Lav Diaz; scenografia: Perry Dizon; montaggio: Lav Diaz; interpreti: Perry Dizon (Sito), Roeder (Tony), Hazel Orencio (Itang), Karenina Haniel (Joselina), Reynan Abcede (Hakob), Mailes Kanapi (Heding), Ian Lomongo (Perdido), Joel Saracho (Padre Guido); origine: Filippine, 2014; durata: 338’; premi: Pardo d’oro al Festival di Locarno (2014).