
Il Manuale di zoologia fantastica, scritto da Borges con Margarita Guerrero e uscito in Messico nel 1957, proponeva ottantadue voci. Dopo dieci anni il sodalizio si rinnovò e ne vennero aggiunte trentaquattro, che comprendevano non più soltanto animali, ma “creature” in genere; il nuovo testo venne pubblicato con il titolo Il libro degli esseri immaginari. In Italia il Manuale uscì per Einaudi, mentre le trentaquattro nuove voci, precedute da un prologo, furono pubblicate da Theoria in un bel libriccino. Infine Adelphi riunì i due testi in un’edizione integrale che mantenne il secondo titolo. Nel Prologo alla nuova edizione ampliata Borges scrisse: «Il titolo di questo libro giustificherebbe l’inclusione del principe Amleto, del punto, della linea, della superficie, dell’ipercubo, di tutte le parole generiche e, forse, di ciascuno di noi e della divinità… Ci siamo attenuti, tuttavia, a quanto immediatamente suggerito dall’espressione esseri immaginari, e abbiamo compilato un manuale di quegli strani enti che la fantasia degli uomini ha generato nel tempo e nello spazio»(1).
Sia il Manuale sia il Libro elencano le creature più disparate, in ordine rigorosamente alfabetico, mescolando “animali fantastici” tratti da svariate mitologie – classica, norrena, cinese, araba e indiana, solo per citare le più frequenti – con esseri nati dalla fantasia di autori contemporanei come Kafka e C. S. Lewis, ma anche dalla tradizione popolare. I mostri mitologici vengono affiancati agli angeli e ai demoni di Swedenborg; Oriente e Occidente si alternano senza soluzione di continuità. Il risultato è una “carrellata” apparentemente casuale, in quanto priva di articolazioni interne e classificazioni, un’enciclopedia, come quelle tardo-medioevali, che non pretende di essere esaustiva ma rispecchia i gusti e le vaste conoscenze del suo Autore. «Non pretendiamo che questo libro, forse il primo del suo genere, comprenda il numero totale degli animali fantastici… sappiamo bene che il nostro tema è infinito»(2) avverte Borges nel Prologo al Manuale del 1957.
Nella sua introduzione all’edizione completa delle opere borgesiane di Mondadori, Domenico Porzio riporta una riflessione di Michel Foucault di fronte allo straniamento causatogli dalla lettura di una tassonomia cinese, riportata dal Maestro argentino: «Animali che appartengono all’imperatore, imbalsamati, favolosi, disegnati con un finissimo pennello di peli di cammello…»(3). Secondo Porzio, «la mostruosità che Borges fa circolare nella sua enumerazione consiste nel fatto che viene distrutto lo spazio comune alla riunione… Egli semplicemente abolisce la più discreta ma importante delle necessità: sottrae la collocazione»(4). Si viene così a creare una sorta di eterotopia: la sottrazione dei luoghi in cui le cose si possono incontrare, la quale, secondo Porzio, sarebbe espressione della cecità con cui lo scrittore argentino ha dovuto imparare a convivere: «Un luogo diventa infinito… in conseguenza di una cecità reale o metaforica»(5).
Infinito anche perché non ha né inizio né fine, com’è tipico della poetica borgesiana: «Non è stato scritto per una lettura consecutiva. Vorremmo che i curiosi lo frequentassero come chi gioca con le forme mutevoli svelate da un caleidoscopio»(6). Secondo Borges, un libro non va letto in cerca della verità ma della meraviglia, e il caleidoscopio è uno strumento che permette di scomporre e ricomporre le figure in forme sempre nuove e inconsuete, affascinanti proprio per la loro irrealtà.
Confrontando il Manuale e il successivo Libro degli esseri immaginari con i Bestiari medievali, che ne costituiscono certamente una delle fonti principali, notiamo come in questi ultimi prevalga un intento morale del tutto assente dall’opera borgesiana, dove si evidenzia una curiosità divertita e ironica. L’intento dello scrittore argentino è mostrare la propensione fantastica della mente umana, Creatrice di Immagini in una realtà che è essa stessa apparenza mutevole e cangiante, velo di Maya, secondo la filosofia di Schopenhauer da lui tanto amata.
Nel Prologo al Manuale Borges paragona ciascuno di noi a un bambino che si reca per la prima volta al giardino zoologico: di fronte alla «sfrenata varietà del regno animale» potrebbe provare timore, ma ne trae piacere e divertimento. Il comportamento del bambino è un fatto comune e insieme misterioso, di cui si potrebbero tentare diverse spiegazioni, alcune più semplici e quotidiane, altre di natura filosofica: ad esempio, secondo Platone, avendo contemplato gli archetipi di ciascun animale nel mondo delle idee saremmo in grado di riconoscerli pur non avendoli mai veduti nel mondo sensibile. In modo ancora più ardito, Schopenhauer direbbe che il bambino non si spaventa di fronte alla tigre perché sa inconsciamente che lui e le tigri sono espressioni della medesima essenza: la Volontà.
Borges, in ogni caso, non risolve l’enigma né, almeno apparentemente, prende posizione, passando a trattare il giardino zoologico delle mitologie. In quanto produzione della mente umana, la sua popolazione dovrebbe essere ancor più numerosa e varia, dato che mostri e creature nascono come combinazione di elementi di animali reali e l’attività combinatoria è pressoché infinita. Ma così non è, perché alcune creature sembrano “necessarie”, come il drago, mentre altre semplicemente non nascono o cadono ben presto nel dimenticatoio, come il catoblepa. La conclusione è che «la zoologia dei sogni è più povera di quella di Dio»(7).
Significa forse che Platone aveva ragione e anche la zoologia fantastica deve corrispondere a modelli ideali per realizzarsi? Non lo sappiamo, ma certamente Borges utilizza Platone e Schopenhauer come possibili chiavi di lettura del mondo, senza identificarsi con le loro dottrine, ma servendosene in primo luogo esteticamente. Le creature della zoologia fantastica sono espressioni dell’Immaginazione Produttiva della mente umana, che non può creare se non a partire dai dati sensibili, come ha spiegato Kant, e nello stesso tempo è veramente Creatrice solo se riesce a realizzare (o cogliere) l’intima necessità di una Realtà, espressione e metafora di un bisogno della psiche o di un aspetto della natura stessa. Per questo, mentre la chimera o il catoblepa sono semplici curiosità prive di vita propria, il drago è presente in Oriente e in Occidente, resiste al tempo e continua ad abitare il nostro immaginario. Come afferma Tolkien nel suo Saggio sulle fiabe, porta impresso il marchio Made in Faerie ed evidentemente, direbbero gli junghiani, è un archetipo dell’Inconscio Collettivo e non una costruzione arbitraria della mente di un qualche studioso del passato.
La produzione fantastica è sempre e soltanto uno specchio deformante della Natura, che è inesauribile e sorprendente proprio perché Mistero.
Nel bestiario borgesiano compaiono animali fantastici più o meno conosciuti che vengono trattati in tono ironico, come il cane Cerbero, le cui cinquanta teste originarie si ridussero a tre per «maggiore comodità delle arti plastiche», o il Gatto del Cheshire, il cui sorriso sardonico divenuto proverbiale viene spiegato attraverso ipotesi divertenti e assurde, come quella che si vendessero formaggi a forma di gatto che ride o che, «siccome il Cheshire era una contea palatina o earldom, questa distinzione avrebbe causato l’ilarità dei gatti»(8).
Il Bahamut, mostro della tradizione araba che gli uomini alterarono e ingrandirono, trasformandolo da ippopotamo o elefante in un pesce gigantesco che regge un toro, il quale a sua volta regge una montagna di rubino su cui si erge un angelo che sostiene la Terra, diviene l’occasione per illustrare l’infinito rimando a una causa che non è dato conoscere. Il fondamento dello stesso Bahamut sarebbe infatti il vento, il cui principio sarebbe a sua volta la nebbia. E il fondamento della nebbia s’ignora. Il mito, afferma l’Autore, sembrerebbe illustrare la prova cosmologica dell’esistenza di Dio, secondo cui ogni causa rimanda a una causa anteriore, con la conseguente necessità di una Causa Prima. Certamente, però, lo scrittore argentino conosceva la critica al concetto di sostanza di Locke, che utilizza un mito analogo proprio per dimostrare come il fondamento ultimo della realtà sia indimostrabile. Il testo mantiene pertanto il tono ironico di tutta l’opera.
Anche gli Animali sferici «diventano l’occasione per una breve trattazione filosofica espressa in tono leggero: secondo Platone, il demiurgo diede al cosmo e agli astri la forma più perfetta, quella della sfera, facendone degli esseri viventi dotati di anima. Dotò così di vasti animali sferici la zoologia fantastica, e censurò la pigrizia mentale degli astronomi, i quali rifiutavano di ammettere che il moto circolare dei corpi celesti fosse spontaneo e volontario»(9).
Un’altra caratteristica delle voci del Manuale è di seguire lo sviluppo e le trasformazioni letterarie e popolari di una figura fantastica. Ne sono un esempio le Sirene: da uccelli con petto e volto di donna alle fanciulle dalla coda di pesce, dai testi classici alle testimonianze popolari secondo cui una sirena nel 1403 abitò ad Haarlem, dove imparò a filare e visse fino alla morte, anche se nessuno riuscì a capire il suo modo di esprimersi.
Dall’infinito spaziale si passa a quello temporale, l’unica dimensione che per lo scrittore ha valore: la narrazione – costantemente al presente – crea una sensazione di eternità per questi fantasmagorici abitanti del mito, come l’Idra di Lerna uccisa da Ercole, la cui ultima testa immortale giace ancora sepolta sotto una grande pietra, «odiando e sognando». Ogni cosa vive finché è presente nella memoria degli uomini. Altri animali, del resto, abitano un tempo aldilà delle leggi fisiche: le tre teste di Cerbero rappresentano passato, presente e futuro.
Vi sono anche esseri che consentono i viaggi attraverso il tempo: il Buraq, cavalcatura celeste di Maometto, accompagna il Profeta nel suo volo presso l’Unico Dio, e nel farlo rovescia una giara. Al ritorno, si scopre che da essa non è uscita una sola goccia, segno inequivocabile che il tempo si è fermato. Il diverso scorrere o la sospensione del tempo sono d’altronde temi onnipresenti in fiabe e miti: a volte il protagonista, che si trova nelle terre fatate, crede siano passati pochi istanti, mentre nel mondo dei mortali sono trascorsi secoli, laddove in altri casi lunghissime avventure che sembrano durare anni – addirittura, vite intere – corrispondono nel nostro mondo a un battito di ciglia. In entrambi i casi viene sottolineato come il Tempo sia consustanziale alla nostra realtà, scandita da nascita, crescita e morte, mentre in dimensioni ove risiedono entità immortali o divine non trascorre, o lo fa in modo differente.
Nel bestiario incontriamo esseri particolarmente significativi, probabilmente inventati dallo stesso Borges, come l’A Bao A Qu, che vive in stato letargico nella Torre di Chitor e prende vita, assumendo forma e colore, se qualcuno si avvicina, per poi spegnersi fin quasi a dissolversi quando il visitatore si allontana – personificazione della tesi secondo cui il mondo, così come il libro che di questo è cifra, esiste solo nella percezione del lettore e della coscienza umana.
Nella raccolta compaiono altri simboli borgesiani, come gli Animali negli specchi e la Tigre. Secondo un racconto cinese, all’epoca leggendaria dell’Imperatore Giallo gli specchi erano porte che mettevano in comunicazione mondi diversi, tanto che per loro tramite si poteva viaggiare dall’uno all’altro. Un giorno, gli abitanti aldilà dello specchio tentarono di invadere il nostro mondo: l’Imperatore, esperto di magia, li imprigionò, riducendoli a meri riflessi condannati a ripetere all’infinito gli atti degli uomini; ma queste imago un giorno emergeranno dalla loro dimensione e invaderanno il mondo. Nulla potrà fermarli: «Il primo a svegliarsi sarà il Pesce. Nel fondo dello specchio sorgerà una linea sottile […]; poi verranno svegliandosi le altre forme. Gradualmente, differiranno da noi. Gradualmente, non ci imiteranno più. Romperanno le barriere di vetro e metallo, e questa volta non saranno vinte. […] Altri intende che, prima dell’invasione, udremo nel fondo degli specchi il rumore delle armi»(10).
Il tema dello specchio – come quello del doppio, anch’esso presente nella raccolta – richiama l’Ombra che accompagna ciascuno di noi: quando viene rimossa e repressa tende a vendicarsi, invadendo la coscienza. Il Pesce è l’abitante del regno sommerso che rispecchia nelle sue profondità quello emerso: con lui, dice la leggenda, combatteranno tutte le creature d’acqua. Per la psicoanalisi le acque sono il simbolo dell’inconscio e la storia delle religioni ci insegna che in ogni cultura rappresentano il luogo del mostruoso e dell’informe da cui nasce la vita e cui occorre ritornare, per purificarsi e riemergerne rinnovati. Quando l’Ombra viene riconosciuta e integrata arricchisce la personalità, così che il soggetto diventa davvero individuo e non un semplice riflesso della società e dell’opinione comune.
Benché non sia un essere fantastico, per lo scrittore di Buenos Aires la Tigre è certamente un animale favoloso ed è uno dei temi ricorrenti della sua poetica. Egli ricorda come fosse attratto dalla sua immagine nelle illustrazioni dell’enciclopedia paterna fin dall’infanzia, e come queste si fossero poi unite a suggestioni letterarie. La tigre contemplata è un archetipo che si salda con l’immagine della tigre reale vista, finalmente in carne e ossa, al giardino zoologico. La poesia L’altra Tigre(11) esprime l’incapacità della pagina letteraria di cogliere la tigre vivente di carne e sangue, ma nel medesimo tempo la sua immagine evocata fa trasparire la Terza Tigre: il modello ideale di cui tanto l’animale in carne e ossa quanto la sua espressione letteraria sono manifestazioni. Vive aldilà dello specchio, e solo stando di fronte al potere numinoso della sua figura possiamo incontrarla e riconoscerci in essa. Come già ricordato, nel Prologo al Manuale si dice che «il bambino non ignora che lui è le tigri e le tigri sono lui»(12), specchio reciproco, manifestazione dell’unica volontà di vivere.
Ne Le Tigri dell’Annam Borges cita una credenza malese secondo cui nel cuore della giungla vi sarebbe una città «con travature d’ossa umane, mura di pelli umane, grondaie di capigliature umane, costruita e abitata da tigri»(13): un luogo speculare alle abitazioni umane costruite con ossa e pelli di animali delle epoche più arcaiche, nelle quali i nostri antenati ominidi divennero cacciatori, identificandosi con i grandi predatori. La Tigre è insomma la nostra componente inconscia e selvaggia, che abita aldilà e sotto la coscienza, pericolosa nella sua ferocia eppure affascinante espressione dell’innocenza del divenire e dell’eterno presente della natura.
Ma perché proprio la tigre e non un altro felino? Sebbene Borges parli di una fascinazione del tutto personale e perciò inspiegabile, possiamo azzardare una risposta ricordandone gli attributi simbolici: nel Manuale e nel già citato Le Tigri dell’Annam, queste ricoprono il ruolo di Geni guardiani dei quattro punti cardinali: una Tigre Rossa per il Sud, che corrisponde all’estate e al fuoco, una Nera per il Nord, legato all’inverno e all’acqua, una Azzurra per l’Est, che corrisponde invece alla primavera e alla vegetazione, e infine una Bianca per l’Ovest, cui corrispondono l’autunno e i metalli. Ve ne è poi una quinta, di colore giallo, che governa tutte le altre ed è situata al centro; le cinque tigri combattono, assieme, contro i demoni. In un altro capitolo si parla della Tigre come animale Yin, complementare e opposta al Drago, Yang. Tra gli altri simboli dello Yin, continua Borges, troviamo la donna, la terra, il colore arancione, le valli e il letto dei fiumi(14).
In molte tradizioni orientali la Tigre è principio sia maschile, in quanto creatura regale che soltanto i guerrieri possono cacciare, sia femminile, poiché particolarmente dotata di istinto materno; né si deve dimenticare che, a differenza di altri felini, è connessa all’acqua, di cui non ha timore e che ama particolarmente. In Oriente è vista come mostro dell’oscurità e della luna nuova, ma anche raffigurazione della luce nascente. È simbolo maschile e femminile, oscurità e luce, nume tutelare che difende dai demoni ma che è a sua volta un demone. La sua natura porta in sé il sacro e il numinoso, la potenza, la fascinazione, insieme, inevitabilmente, all’abisso inquietante del pericolo.
È in Nuova confutazione del tempo che la Tigre ritorna, come metafora del tempo: «Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco» (15). Nuovamente compare il tema dell’identità oltre le apparenti divisioni. Per vivere davvero occorre abbracciare la tigre e identificarsi con essa, lasciarsi divorare. Il tempo è per Borges l’unica vera dimensione che caratterizza l’esistenza umana; citando Eraclito, è un fiume che scorre e nelle cui acque non ci si può bagnare due volte. La letteratura, tuttavia, permette di rendere presenti nell’attimo passato e futuro, come un unico libro sempre riscritto e riletto: «Tutti i quadri della sua esposizione fantastica nuotano in questo fiume, assieme a chi li osserva, in ogni tempo e a ogni latitudine» ha scritto Cristina Donati(16).
Le creature nate dalla fantasia umana, da quelle più improbabili – come la chimera, troppo eterogenea per continuare a essere rappresentata e perciò divenuta sinonimo di vana immaginazione – a quelle che mantengono intatto il loro potere nell’immaginario collettivo – come il drago e la sirena –, permangono e possono essere nuovamente rivissute e reinterpretate. La loro presenza ci invita ad andare oltre l’apparenza per tuffarci nella fluidità metamorfica delle forme, ci ricorda che sogno e realtà non sono mondi del tutto distinti ma dirette espressioni di un’unica dimensione: «Noi (l’insidiosa divinità che opera in noi) abbiamo sognato il mondo. L’abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, onnipresente nello spazio e fisso nel tempo; ma abbiamo consentito nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdo per sapere che è falso»(17).
Note
- Jorge Luis Borges, Il libro degli esseri immaginari, Theoria, Roma-Napoli 1984, p. 13.
- Jorge Luis Borges, Margarita Guerrero, Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, Torino 2015, p. 5.
- Jorge Luis Borges, Nota alla presente edizione, in ivi, p. V.
- Domenico Porzio, Introduzione, in Jorge Luis Borges, Tutte le opere, Mondadori, Milano 1984, vol. I, p. XCIX.
- Ibidem.
- Jorge Luis Borges, Il libro degli esseri immaginari, cit., p. 14.
- Jorge Luis Borges, Prologo, in Jorge Luis Borges, Margarita Guerrero, op. cit., p. 5.
- Jorge Luis Borges, Il libro degli esseri immaginari, cit., p. 43.
- Jorge Luis Borges, Margarita Guerrero, op. cit., p. 13.
- Ivi, p. 10.
- Jorge Luis Borges, L’altra Tigre, in L’Artefice, in Tutte le opere, cit., vol. I, p. 1205.
- Jorge Luis Borges, Margarita Guerrero, op. cit., p. 4.
- Ivi, p. 139.
- Ivi, p. 57.
- Jorge Luis Borges, Nuova confutazione del tempo, in Altre inquisizioni, in Tutte le opere, cit., vol. I, p. 1089.
- Cristina Donati, Manuale di zoologia fantastica, in «Terre di Confine Magazine», marzo 2006 (articolo disponibile online).
- Jorge Luis Borges, Metempsicosi della tartaruga, in Discussione, in Tutte le opere, cit., vol. I, p. 399.