I film che non vedremo mai. La corta notte dei progetti incompiuti
Donato Dallavalle
Cosa sono i progetti irrealizzati di un artista? Sogni ricorrenti e tormentati? Gemme mitizzate cadute in fondo a un cassetto? Un cimitero nel quale riposano idee che avrebbero potuto diventare grandi opere? Il poeta Thomas Gray, nella sua Elegia scritta in un cimitero campestre, dice: «Più di un fiore si schiude all’universo/ per colorarsi non visto e disperdere/ vana fragranza nell’etere immoto».
Allora, i film mai nati di un regista potrebbero essere come fiori effimeri e preziosi fatti avvizzire dai venti di prosaici problemi economici o di tematiche troppo precoci per i tempi. Fiori il cui profumo “disperso nell’etere”, forse, è riuscito a influenzare quei film che la luce delle sale l’hanno vista davvero.
Ogni regista continua a coltivare in questo suo cimitero, o giardino segreto, almeno un progetto irrealizzato. Celebre è il biopic su Napoleone che Stanley Kubrick fu sul punto di girare dopo 2001: Odissea nello Spazio (1968), così come lo sci-fi comico Porno Giove di Mario Bava. Persino il potentissimo Walt Disney non vide mai il suo Don Chisciotte, cosa che invece è riuscita, dopo un’ossessione durata trent’anni, a Terry Gilliam.
Che i film mai nati debbano restare tali?
I progetti irrealizzati sono fiori al vento, sono ossessioni e azzardi come quella volta, alla fine degli anni Sessanta, in cui Aldo Lado rinuncia a un ingaggio sicuro da aiuto regista sul set di un western per scrivere, finalmente, un soggetto tutto suo. I cinque di Normandia è uno strano gangster-movie ambientato nella Seconda guerra mondiale, in cui un oscuro colonnello francese deve ricostituire la sua vecchia banda di rapinatori per liberare un partigiano rapito dai tedeschi. Egli è l’unico a conoscere i punti deboli della difesa germanica in Normandia e non trovarlo significherebbe il fallimento dello sbarco americano. Storia colossale! Delirante precognizione tarantiniana! In realtà Lado cavalca la moda dei film bellici perché all’epoca è un giovane padre di famiglia senza più un centesimo che passa le notti a scrivere il suo primo soggetto, ispirandosi ai suoi scrittori preferiti Kafka ed Hemingway, chiuso in una villetta a Torvaianica presa in prestito dall’anziana cameriera dell’osteria di cui è cliente abituale.
Il film, per fortuna, piace e viene acquistato da un produttore ma, alla fine, non viene realizzato: «Il genere di guerra non va più!», gli dicono. Ma Lado non si fa intimorire. Lui è uno che i generi li conosce profondamente, li maneggia lucidamente, e questo piccolo soggetto non realizzato (ma ben pagato) è comunque il suo ingresso nel mondo della scrittura cinematografica che può veicolare messaggi importanti, sollevare le folle e, soprattutto, mettere insieme il pranzo con la cena.
A cinquant’anni da quell’esordio, il regista ha deciso di dissotterrare, almeno sulla carta, molti dei suoi sogni di celluloide e riunirli in un libricino dal titolo flemmatico: I film che non vedrete mai. In queste pagine intense e luminose, Lado racconta la genesi dei suoi film mai nati fotografando i cambiamenti, spesso repentini, dei generi in Italia, e finendo per tracciare l’identikit di se stesso. Un ragazzino cresciuto tra le ombre dei sestieri veneziani, un fine intellettuale che ha abitato a Parigi negli anni Sessanta, ha diviso il set con Bertolucci, frequentato Moravia e Pasolini. Uno sceneggiatore elegante («Ho a lungo avuto un complesso di inferiorità rispetto alla scrittura»1) che ha collaborato a pietre miliari come La vittima designata di Maurizio Lucidi (1971) e L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento del 1970 («L’ho inventato io»2, scrive Lado. Argento, invece, dice: «Io gli spiegavo le mie idee e lui mi diceva se ci sarebbero state difficoltà nel realizzarle»3).
Lado è un artista sfuggente, che tra una manciata di cult scritti o diretti si è dedicato con passione ad altri progetti, fiori di un cimitero segreto che danno la prospettiva di un animo inquieto, mai fermo, difficilmente pronto a ripetersi e integerrimo nel desiderio di osare. Qualunque sia il genere à la page, Lado cerca sempre di raccontare storie che siano lo specchio della società del momento. Lo fa con l’ambizioso western psicologico Una stella per Kinney Stanton e, soprattutto, con il politico Caino contro Caino, storia di due fratelli meridionali – un poliziotto e un operaio – che si ritrovano uno contro l’altro durante gli scontri di piazza del ’68.
«Per aggirare l’ostacolo del “genere che non va” mi servii del “giallo” che in quel momento piaceva ai produttori e soprattutto ai distributori che in quegli anni erano i veri finanziatori dei film con vorticosi giri di cambiali»4: nel 1971 nasce così La corta notte delle bambole di vetro, spietata metafora della classe dirigente che vampirizza i giovani. Da qui, Lado diventa un regista richiestissimo e alza progressivamente l’asticella delle ambizioni. Quando gli viene proposto Sepolta viva decide di dissacrare il melodramma facendo interpretare la protagonista al celebre fantasista Paolo Poli, ma la produzione non accetta.
Rifiutata l’idea di un sequel della sua commedia La cugina (un ottimo trentesimo incasso nella stagione 1974-1975), scrive un film molto più provocatorio: La prostituta bambina, corrosivo affresco di formazione ultra-erotico sulla potenza ricattatoria del sesso che non sarebbe dispiaciuto a François Ozon.
Messo nel cassetto anche questo progetto, Lado sfida se stesso, rimane nel solco del malsano e gira L’ultimo treno della notte. Il film diventa un cult del rape & revenge ma è anche una tragica, insostenibile metafora della lotta di classe, tematica così cara al regista da essere rielaborata anche in uno dei tentativi più folli di quei fertilissimi anni Settanta: Ci sai fare con la sega?, erotico-grottesco dal forte messaggio anti-razzista, pensato per il premio Oscar Glenda Jackson («Poco dopo (…) vinse un secondo premio Oscar e le sue quotazioni volarono troppo in alto»5). In realtà, leggendo il plot si fatica a immaginare la grande attrice inglese alle prese con il personaggio ultra-camp di una sadica farmacista moralizzatrice e assassina (con echi da Arsenico e vecchi merletti di Frank Capra [1944]), che si innamora di un hippy di colore superdotato accampato nel suo giardino. Ma erano gli anni Settanta, tutto poteva accadere, perfino che Lado, archiviati erotici e horror («Non andavano più»), provasse a replicare il successo di Guerre stellari (1977) con L’umanoide. Il film ha una nutrita schiera di fan, ma qualcosa suggerisce che l’altro soggetto di fantascienza scritto in quel periodo, La nuvola gialla, distopico, politico ed ecologista, sarebbe stato molto più interessante: «E man mano che la nebbia sparirà, scopriremo una città ormai morta, una città che potrebbe essere una delle nostre»6.
Il tema ecologico tornerà nuovamente negli anni Ottanta nella serie tv La stella del parco, con Ray Lovelock guardia forestale che combatte i bracconieri in Val d’Aosta. Un mix di avventura e sociale che spinge Lado a riprovarci, senza fortuna, coinvolgendo la Marina Militare nella serie I moschettieri del mare, del quale esiste anche il trattamento della puntata pilota. L’ennesimo stop non ferma l’antico desiderio di incidere sulle coscienze del pubblico. Nascono così soggetti impegnati sul traffico di organi in Sudamerica (Un infame commercio), il reboot di uno Spartacus televisivo con grandi effetti digitali e soprattutto un’affascinante variante sul rape & revenge, L’autobus della morte, che spinge Lado a trasferirsi a New Orleans per assorbire il magico colore della città in previsione delle riprese.
Quali di queste storie irrealizzate avrebbe potuto diventare un grande film? Quale una grande delusione? Vogliamo veramente saperlo? Non ci basta quella manciata di grandi pellicole che Aldo Lado è riuscito a dirigere tra mille difficoltà e limitazioni? Forse è giusto che i film mai nati restino tali ma anche che vengano raccontati, come Lado ha fatto, svelando forse le sue più profonde ossessioni.
Note
1 Lado Aldo, I film che non vedrete mai, Edizioni Angera Films, Angera 2017, p. 6.
2 Ivi, p. 34.
3 Cozzi Luigi, Profondo Argento. Il cinema e la televisione di Dario Argento, Profondo Rosso, Roma 2015, p. 38.
4 Lado Aldo, op. cit., p. 35.
5 Ivi, p. 75.
6 Ivi, p. 94.