Aldo Lado è un narratore nato. Anzi, a dirla con un vocabolo inglese molto in voga tra gli addetti ai lavori, è uno storyteller coi controfiocchi.
Qualche anno fa – grazie ai buoni uffici di una nostra amica comune, anche lei scrittrice – mi contattò per revisionare un suo romanzo. Confesso di non averlo riconosciuto subito. Sono nato negli anni Settanta, quando lui era all’apice della carriera, e ricordo di aver visto alcuni suoi film solo durante l’adolescenza: L’umanoide (1979), un must per gli appassionati di sci-fi, il disturbante L’ultimo treno della notte (1975 – dire che all’epoca fece scalpore è poco) e Sepolta viva (1973).
Dopo qualche ricerca veloce per documentarmi, capii subito lo spessore artistico e professionale del personaggio, ma mi ci volle più tempo per comprendere che Aldo è un affabulatore incallito, per passione e per professione. Quando si deciderà una buona volta a pubblicare la sua biografia – scritta sotto forma di una lunga lettera indirizzata a sua nipote Alessia – che ho avuto il privilegio di poter leggere e revisionare in anteprima, potrete verificare direttamente questa sua caratteristica. Al suo interno infatti racconta come nel corso dei decenni abbia scritto una quantità spropositata di storie: soggetti, trattamenti, sceneggiature, sinossi, pitch, progetti per serie televisive e chi più ne ha, più ne metta. È questo il suo bello: Aldo ha sempre avuto molto da dire e raccontare, lo ha ancora e sempre lo avrà. Se non vorrete leggere le sue opere o vedere i suoi film vi basterà conoscerlo di persona per restare estasiati mentre inanella episodi su episodi rievocando con grande vivacità ambienti, figure e pettegolezzi, soprattutto della Venezia che fu.
Al di là della lettura della sua biografia, che è avvenuta solo in tempi recenti, il segnale più eclatante di questa sua capacità l’ho avuto pochi mesi dopo averlo conosciuto (e aver già editato un suo romanzo), quando ho letto il suo I film che non vedrete mai del 2017. Una raccolta gustosissima di parecchi dei soggetti/trattamenti/progetti che Aldo ha accumulato durante i decenni del suo lavoro e che non è riuscito a concretizzare, né in un film né in una serie televisiva. I soggetti, le storie (molte davvero felici e riuscite, qualcuna un po’ meno) spaziano tra i generi più disparati: western, bellico, commedia horror, fantascienza. È leggendo questo libro che ho capito che Aldo è avanti.
Un eterno cruccio del mondo cultural-editoriale-scolastico italiano (soprattutto da un ventennio a questa parte) è che in Italia si legge poco e leggono poco soprattutto i giovani. Però poi constatiamo che i giovani sono grandi fruitori di serie tv, video musicali e social network (soprattutto Instagram). Quindi, in realtà, non disdegnano di fruire di contenuti culturali, di qualsiasi qualità essi siano. Questo perché i giovani, ma non solo loro, sono interessati soprattutto alle storie, comunque esse vengano narrate. E un libro è solo uno dei modi per narrare una storia.
Ecco perché Aldo è avanti: perché lui narra fondamentalmente storie, senza fissarsi, senza necessariamente incaponirsi sulla forma-libro. E le sue storie sono così essenziali, coerenti e ben fatte che possono passare da un formato all’altro: tanto è vero che per esaltare la versatilità delle sue narrazioni, dopo aver letto I film che non vedrete mai, mandai ad Aldo una sorta di breve report (intitolandolo scherzosamente I film che non vedrete mai… Allora facciamone dei romanzi!) in cui gli indicavo quali di quei suoi soggetti potevano essere “convertiti” in romanzi. E potevano esserlo praticamente tutti, senza soffrire del “passaggio” da un medium all’altro. Aldo passa con estrema disinvoltura dal racconto di come – durante la Seconda guerra mondiale – un drappello dell’esercito inglese e uno di quello nazista si scontrino nel deserto africano per poi tentare di unire le forze per sopravvivere, a quello di denuncia sociale alla Ken Loach (o Elia Kazan, per i più tradizionalisti); da una disturbante storia di pedofilia all’horror comedy alla delikatessen, fino al romanzo storico tipo peplum, alla Spartacus (1960). L’eclettismo narrativo che ha sempre mostrato al cinema lo ha mantenuto nella carriera di scrittore, che negli ultimi tempi ha deciso di intraprendere seriamente e continuativamente: di sua mano ho letto qualche buono scritto storico, la suddetta biografia-fiume e diversi altri interessanti abbozzi più o meno completi, tra i quali sono emersi quelli che ritengo i migliori – finora – romanzi di Aldo.
Il primo della lista è Un pollo da spennare, che racconta le avventure surreali del timidissimo Penny alle prese con una donna seducente, con il di lei figlioletto birichino e con una schiera di criminali da strapazzo. Ariosa e divertente, la storia è in equilibrio tra la pochade e la farsa e mi ha ricordato molto certi film d’animazione francese con mille situazioni e personaggi svagatamente ridicoli e stralunati. Sulla stessa rotta sbilenca naviga un altro romanzo, inedito nel momento in cui sto scrivendo (fine novembre 2018 – il libro vede la luce a inizio 2019, ndr), che quasi sicuramente si chiamerà Hotel delle cose. L’Hotel, a differenza del Pollo, ha una struttura a episodi comunque inscritti in una cornice che fa da collante tra i diversi siparietti che si aprono su spaccati di vita ora ridicoli ora poetici, visti da un punto di vista abbastanza inusuale.
Come editore, Aldo ha mantenuto la stessa versatilità accogliente: oltre ai suoi romanzi, la Angera Films ha in cantiere numerose opere di genere disparato: a oggi ho personalmente revisionato un avventuroso investigativo e un romanzo storico, ma so che sono in preparazione altri scritti completamente diversi. Perché anche come editore credo Aldo voglia condurre la stessa missione che porta avanti come scrittore: raccontare storie. Non importa di che tipologia, purché siano interessanti e ben confezionate.
Ma quando scrive, come procede Aldo? Me lo sono chiesto spesso, in questi anni.
E ho costruito le mie personali ipotesi, sulla base dei suoi racconti quando ci facciamo una chiacchierata al cellulare o quando lo vado a trovare nella sua elegante casa di Venezia. Innanzitutto Aldo dorme poco, quindi, riposatosi quelle 4-5 ore ogni notte, si alza e scrive. Quando sta completando un romanzo scrive praticamente tutte le notti perché gli è ben chiara – da decenni oramai – l’etica necessaria al lavoro artistico che vuole raggiungere risultati concreti e non restare velleitario: applicazione costante, quotidiana, come un qualsiasi altro lavoro, forse anche di più.
La prosa di Aldo mi è sempre sembrata molto scorrevole, gradevole, senza eccessive elaborazioni o artifici. Un narrare, il suo, che spesso – soprattutto nelle opere più riuscite, quelle umoristiche – procede per immagini, descrizioni, lampi, squarci vivaci. Immagino allora che dal suo “pentolone” creativo, in cui sobbolle di tutto (come ogni artista eclettico che si rispetti, Aldo divora film, libri e musica di ogni tipo), emerga a un certo momento un personaggio bizzarro o particolare, una scena plastica e inusuale, lo scheletro baluginante di uno scenario grandioso o anche solo una battuta folgorante. E poi giù a definire, sbozzare, ampliare, tirare i mille fili della storia, giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Finché, alla fine, arrivo io.
Bontà sua, Aldo dice che sono uno dei pochi del cui parere si fida ciecamente. Questo perché – a quanto pare – sono uno dei pochi che gli sbatte in faccia la verità. E io gliela sbatto in faccia perché se l’attività artistica (che sia quella di regista, sceneggiatore, scrittore, montatore, scenografo o altro) necessita di pazienza, impegno, umiltà e voglia di imparare (tutti figli della passione) allo stesso modo le storie devono rispettare regole precise, poche ma ferree, altrimenti si inceppano, affannano, crescono storte, straniscono, annoiano, allontanano.
E quindi, così come Aldo deve riordinare – senza pietà, ma con divertita efficienza – tutto il materiale che fluidifica e si rimescola nella fucina creativa della sua anima, allo stesso modo io devo richiamarlo con la massima sincerità al rispetto di quegli schemi che, dalla nascita dell’uomo, improntano l’attività del raccontare storie.
Perché io e Aldo – ognuno a modo suo, beninteso – siamo entrambi al servizio delle Storie che, dopo l’azzopparsi e il cadere delle Verità, sono rimaste forse l’unico modo per cercare/creare un senso per la nostra presenza su questa terra.