
È risaputo – anche, ma non solo, grazie al Romanzo dell’adolescente miope (di cui esistono diverse redazioni tra il 1921 e il 1925) e al successivo Gaudeamus (terminato nel 1928), entrambi pubblicati in edizione italiana da Jaca Book – che Mircea Eliade ha amato scrivere fin dalla prima adolescenza. I due libri in chiave “autenticistica”, seguiti dai grandi romanzi realistici pubblicati nella prima parte degli anni Trenta e da altri cicli narrativi che si muovono sempre più verso una dimensione mitica, magica e, finalmente, criptico-fantastica dell’esistenza, furono preceduti da racconti scritti in tenera età, che rivelano un talento narrativo certo e una fervida immaginazione artistica. Passeranno diversi anni prima che Eliade conosca, grazie al romanzo Maitreyi (1933), quel “rischioso successo” che lo renderà, almeno in Romania, un narratore consacrato. Molti di questi racconti, spesso fantastici, furono pubblicati dal “liceale miope” sulla stampa del tempo, ma tanti altri rimasero inediti fino agli anni Settanta e Ottanta del XX secolo. Fu in quel periodo che alcuni di essi apparvero su riviste culturali romene – ad esempio, «Manuscriptum» – meno subordinate alla censura politica e a quei divieti che, a ondate alterne, colpivano non solo le opere teoriche ma anche quelle letterarie dell’esule Eliade.
Anche il breve racconto che presentiamo ai lettori di «Antarès» fa parte di questa consistente produzione novellistica risalente all’adolescenza e alla prima giovinezza (1921-1928), in Italia ancora poco discussa e tradotta. Pubblicato a cura di Mircea Handoca sulla rivista «Manuscriptum» (a. XVIII, n. 3/1987, pp. 83-86) e datato 1925, il racconto Taina è stato incluso nell’addenda del volume di novellistica Maddalena, a cura di Mircea Handoca e Nicolae Florescu (Ed. Jurnalul Literar, Bucarest 1996, pp. 249-253).
Horia Corneliu Cicortaş
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Ecco una strana vicenda, che devo annotare su questo quaderno. Mi è stata raccontata dal mio collega, il dottor Bentu. Il dottore è anziano quanto me ed è una persona molto sgradevole. Parla pochissimo, in modo sguaiato, guarda tutti con sospetto e si mostra sempre afflitto. Era già così quando lo conobbi, in Facoltà. È basso, nervoso, brutto – e porta occhiali con stanghette di nichel. Per le donne mostra un disprezzo totale, unito al disgusto. Afferma che tale antipatia nasce da una concezione personale e si fonda su uno studio prolungato della psicofisiologia del gentil sesso. I colleghi, invece, mormorano una storia diversa. Da giovane, il dottore si sarebbe innamorato di una farmacista, che mai lo considerò. Anzi, sposò poi – per amore – un luogotenente. Da allora il dottore avrebbe iniziato a odiare le donne. Questo è quello che dicono i colleghi.
Qualche giorno fa il dottore è venuto da me – sapendo che sono uno specialista – e mi ha raccontato quanto segue. Una sera, stava tornando dall’ospedale. Nonostante avesse fatto tardi, non prese la carrozza ma preferì andare verso casa a piedi. Si sentiva stanco e annoiato. Camminava rasente ai muri a testa china, pensando alle correzioni dell’ultimo studio per il Bollettino che non era riuscito a terminare per mezzogiorno. Era, come al solito, vestito miseramente, con barba e baffi in disordine e le scarpe sporche di fango. All’angolo di una viuzza, vicino alla sua abitazione, c’è l’elegante salone di un parrucchiere, nel quale il dottore non era né – pensava – sarebbe mai entrato. Non ricordava di essersi mai fermato nemmeno davanti alla vetrina, per guardare le boccette colorate e le parrucche sistemate sui manichini di legno. E, invece, quella sera si fermò. A tormentarlo era il desiderio vivo e incomprensibile di entrare nel salone – desiderio cui, poco dopo, dovette cedere. Non cercò di pensare – mentre il parrucchiere gli pettinava i baffi e la barba – al motivo per cui stava facendo tutto ciò. Avvertiva solo uno strano piacere sapendosi più bello e curato, piacere al quale si abbandonò totalmente.
Quando ritornò sulla via, il suo primo pensiero, come ricorda lui stesso, fu di farsi pulire le scarpe. Il dottore era meravigliato nel raccontarmi questo insolito desiderio di eleganza, che mai aveva provato nella sua vita e per il quale aveva mostrato fino a quel momento un insolente disprezzo. Ammetteva che sapere di avere scarpe pulite e abiti lindi lo aveva trasformato del tutto. Il suo cuore sembrava essere quello di un giovane; lo sguardo non era più basso e l’allegria delle passanti non lo infastidiva più come prima. Aveva iniziato a sorridere, dimenticandosi completamente dell’ospedale, della sala delle dissezioni e delle correzioni per il Bollettino. Avrebbe voluto incontrare amici e fare le ore piccole, come i giovani spensierati. Il dottore non sa dire quando siano avvenuti tutti questi cambiamenti.
Ma il fatto strano accadde più tardi: tornando dalla passeggiata, incontrò una sconosciuta che, secondo lui, stava cercando una carrozza. Per anni aveva incontrato migliaia di sconosciute, eppure mai il suo sguardo si era fermato su alcuna. Quella sera avvenne però qualcosa di assolutamente nuovo. Il dottore si avvicinò alla donna, capì che era bella e indossava abiti raffinati e, senza alcuna difficoltà, le parlò. Pronunciò deliziosamente le parole che gli giungevano, incantevoli, alle labbra, trasfigurandolo. Sorrise con astuzia, roteò gli occhi e distese la fronte: la sconosciuta rise di gusto e dimenticò il disappunto iniziale. Già, perché all’inizio – rammenta il dottore – la passante si era mostrata maliziosa. Non lo aveva guardato, allungando il passo. Tuttavia, le parole del dottore la sottomisero rapidamente. Lo ascoltò benevolmente, gli sorrise e – appreso il suo nome – accettò addirittura di essere presa a braccetto.
Il dottore non è in grado di riportare nessuna delle parole pronunciate quella sera. Le ha dimenticate. Ciò che ricorda è che si trattava di scherzi e parole amorose. Parole amorose, soprattutto. Egli riconosce che la sconosciuta si trovava completamente avvinta da quelle parole affascinanti che le sussurrava incessantemente. Così, venne presto a sapere come fosse la moglie di un alto funzionario dello Stato, che amava follemente. La sconosciuta gli fece anche delle confessioni che si affidano solo a un vecchio e fidato amico. Il dottore ritiene sia stata in parte frastornata dal fascino che lui emanava, dalle parole audaci che aveva iniziato a pronunciare, che le sfioravano il viso, nonché dal braccio con cui le cingeva abilmente la vita. In meno di un’ora, era completamente in balìa del dottore. Fermò allora la carrozza più bella e scandì un nome che non aveva mai sentito fino a quel momento. Si ricorda un dettaglio: quando sentì quella parola, la donna gli posò la testa sul petto e si mise a piangere.
Il tormento interiore del dottore divenne acuto quando mi raccontò di come aveva tenuto tra le sue braccia il corpo della bella signora, e come quel corpo fosse completamente suo. Soffriva per l’iniquità dell’azione compiuta, sapeva di aver peccato contro la legge e contro i propri principi, calpestando la dignità di una donna e disonorandone il nome. Ma soffriva ancora di più perché non riusciva a spiegarsi il cambiamento avvenuto nel suo animo; non riusciva a trovare le cause di quella destrezza dimostrata nel pronunciare le parole; non arrivava a spiegarsi l’audacia e la sicurezza di quella sera; e, soprattutto, era incapace di comprendere la conclusione misteriosa della vicenda.
Infatti, la mattina dopo si svegliò in una stanza lussuosa, accanto a lei. Era talmente stupito da non sapere quale decisione prendere. Dopo ripetuti sforzi riuscì a trovare i propri occhiali, che erano scivolati in una delle scarpe della signora, scese dal letto e si affrettò a vestirsi. Aveva il volto pallido e la barba in disordine. Si sentiva stanco e arrabbiato con la donna, che continuava a dormire, nuda, tra i cuscini. Mentre stava finendo di vestirsi, la sua compagna aprì gli occhi e lo guardò amorevolmente. Aspettava che le parlasse, che le rivolgesse una delle frasi meravigliose e ardenti della sera precedente. Attendeva una sua parola.
Per il dottore fu una terribile prova. Guardando fisso negli occhi della signora, sentì spalancarsi un vuoto sconfinato, che s’insediò rapidamente nel suo cuore e, dopo un po’, anche nella sua mente. Il dottore rimase a guardare a lungo. Egli crede che la donna si sia sforzata di capire, senza però riuscirci, la trasformazione. La differenza tra l’uomo che l’aveva spinta a fare un passo talmente folle e quello che ora la osservava perplesso era abissale. Reclinò la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi.
Ma non dormiva. Il dottore lo sapeva ed era triste, non trovando il coraggio di abbandonare la stanza. Ma ecco che in quel momento qualcuno bussò alla porta, lui aprì e scese, senza più tornare.
Quando arrivò a casa, la sua domestica non osò chiedergli nulla, tanto era abbattuto. Quel giorno non andò all’ospedale. Non concluse nemmeno le correzioni dello studio per il Bollettino. Cercò la spiegazione di quella strana vicenda ma non riuscì a trovarla, nonostante avesse raccolto sulla scrivania tutti i libri di psichiatria della sua biblioteca. Il dottore era talmente angustiato che ruppe – me lo ha detto con rimpianto – un vaso colorato e, per la prima volta, si arrabbiò con la sua domestica. Poi venne da me, perché gli chiarissi la vicenda.
Ma io non ho potuto chiarirgli nulla. Capisco troppo poco di questa storia, nonostante la psicoanalisi che pratico da undici anni. E quel che capisco io può capirlo chiunque.
Io non posso sapere perché il dottore quella sera abbia parlato in modo così incantevole, né perché si sia dimostrato tanto audace e abile nelle questioni amorose, per poi svegliarsi, la mattina successiva, uguale a com’era prima.
È per questo che ho annotato in questo quaderno tutto quello che mi ha raccontato, poiché qui scrivo solo ciò che non sono in grado di spiegare. In altri quaderni raccolgo i fatti le cui cause sono riuscito a scoprire; e quegli appunti non hanno per me alcun tipo di valore, li uso solo per i contributi che mando al Bollettino…
Ma questo non lo sa nessuno e io faccio tutto il possibile affinché nessuno venga a saperlo, mai.