Antonio Gnoli, Franco Volpi, «I filosofi e la vita»

Andrea Scarabelli
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Antonio Gnoli, Franco Volpi, «I filosofi e la vita»

Lo scorso luglio è uscito, per i tipi di Bompiani, un volumetto, firmato da Antonio Gnoli e Franco Volpi – studioso di fama internazionale tragicamente scomparso di recente la cui immagine umana e professionale è stata adeguatamente tratteggiata da Gnoli in una introduzione assai incisiva – con il titolo di I filosofi e la vita. Lo studio, oltre ad offrire un’ampia documentazione degli interessi dei due personaggi, permette di gettare uno sguardo intorno ad una sfaccettatura della Modernità ancora, almeno a parere di chi scrive, ampiamente dimenticata, soprattutto in sede accademica. Un altro Novecento emerge violentemente, nonostante decennali censure ed adombramenti. Il materiale contenutovi è di una ricchezza d’eccezione e si coagula intorno a fi gure del calibro di Carl Schmitt, Ernst Jünger e Martin Heidegger – solo per evocare i nomi la cui presenza è più insistente. Nelle pagine che qui presentiamo, i tre giganti del pensiero novecentesco sono in ottima compagnia. Intellettuali come Jaspers, Mohler, Gadamer, Bordewijk, Nolte, Hermann Heidegger, Brandt, Brague, Feinmann e Albert Hofmann – lo scienziato che sintetizzò lo LSD – vanno a comporre un mosaico ancora da esplorare adeguatamente, una mappa per chi voglia seguire le linee direttrici di un secolo assai singolare come quello appena tramontato. Chi scrive è persuaso che ciò possa essere un ottimo retaggio per chi voglia affrontare il nuovo millennio sotto costellazioni di ordine diverso rispetto alle ideologie del progressismo che infestano le categorie ideologiche del nostro tempo. Un cammino articolato in cinque tappe, in cinque figure paradigmatiche, significativamente intitolate Il ricordo di un secolo, La politica l’ideologia l’azione, Gli affetti e i dissapori, Esperienze estetiche fra droga arte e psicoanalisi e I conflitti del pensiero. Chiude l’antologia una vivace conversazione tra Gnoli e Volpi intorno al precetto biblico onora il padre e la madre.

La concentrazione ideologica dello studio raggiunge il suo momento apicale negli interventi dedicati a Heidegger, la cui esistenza si fa indice delle “complicate nozze mistiche tra la filosofi a e la politica” (p. 173). Egli fu il maggiore punto di riferimento di Volpi, il quale si dedicò alla traduzione di buona parte dei suoi scritti. In questo studio, la personalità del filosofo tedesco viene abilmente delineata, tanto nei suoi versanti filosofici, quanto ideologici e politici. Così all’ultimo sciamano è dedicata una intervista a Hermann Heidegger, un colloquio con Gadamer nonché numerosi articoli, quasi tutti apparsi su Repubblica, e svariate introduzioni a volumi dedicati al filosofo dell’Essere. Non mancano, tra i contenuti, numerosi accenni alle controversie che legarono il filosofo – “paradigma di una diffusa e problematica dissociazione di filosofia e politica, di teoresi pura e capacità di giudizio” (p. 179), diagnosi di “una nuova, profonda lacerazione fra la teoria e la prassi, tra l’intellettuale e il potere, tra l’eremitaggio del pensatore solitario e la comunità degli uomini” (Ibid.) – alle vicende politiche degli anni Venti e Trenta. Eventi analizzati criticamente e volti a ridimensionare tanto gli acritici j’accuse di certa pessima esegetica quanto la patente noncuranza di chi ignora volutamente determinate rifrazioni di determinati pensatori per condurli trionfanti ai banchetti delle democrazie. L’atteggiamento di Volpi poté dirsi d’eccezione anche per questo. È lo stesso Gnoli ad evocare, nella già citata Introduzione, similare modus operandi: “La semplice condanna indignata, liquidatoria, limitata alle dichiarazioni certamente gravi e compromissorie, Volpi l’ha sempre respinta. E non per un malinteso esercizio di reticenza o, peggio ancora, di connivenza con il crimine politico. Bensì perché ai suoi occhi la politica andava indagata come il teatro su cui il nichilismo aveva pericolosamente recitato” (p. 14). Accanto all’ultimo sciamano di Friburgo, spicca la ieratica figura di Ernst Jünger, il cui rango non ha ancora trovato una ricezione accademica adeguata; emerge, nelle commoventi righe dedicate al mondo di Wilflingen, la statura intellettuale di un uomo che fu, tra le altre cose, allo stesso tempo scrittore, filosofo, entomologo, diarista, soldato in entrambe le guerre mondiali e artista; definizioni molteplici, tuttavia incapaci di esaurire il senso profondo di una monade metafisica la cui vita ripercorse ed assunse su di sé tutti i fantasmi della Modernità. Diverse giornate di conversazioni racchiuse nel volumetto, uscito presso Adelphi, con il significativo titolo de I prossimi titani, permettono di ricostruire una vicenda spirituale che attraversò tutte le fasi e le tragedie del Novecento, facendosi di esse testimone e sismografo, come ebbe a scrivere Alain de Benoist, incarnandone di volta in volta le maschere e le figure; dell’autore, i due studiosi seguono tutte le metamorfosi: “l’antico esteta e flâneur, quell’ufficiale dell’esercito tedesco così a suo agio nella caleidoscopica mondanità parigina […] ha lasciato il posto ad un curioso patriarca che sembra osservare il mondo con lo sguardo di un ironico entomologo alle prese con una nuova specie di coleotteri” (p. 40). Vita la cui multiformità affascinò tanto Gnoli quanto Volpi: le testimonianze di questo magnetismo sono appieno riscontrabili nel volumetto in questione. Veniamo ora all’ultimo membro di quella triade le cui espressioni possono considerarsi come segnavia di un volto della Modernità ancora perlopiù celato, ossia Carl Schmitt, “una delle facce con cui questo secolo ha amato mascherarsi” (p. 47). La personalità del grandioso giurista è ricostruita e rievocata nelle testimonianze di Armin Mohler, il cui nome è legato al suo studio sulla cosiddetta rivoluzione conservatrice, nonché di Gadamer e di Ernst Nolte – la cui voce permette, peraltro, di stabilire una singolare equazione tra il pensiero di Schmitt e quello di Marx. Gli scritti in merito intendono questionare tanto la parabola ascendente del giurista, legata al nazionalsocialismo (verso il quale non mancò di avanzare numerose riserve) quanto quella discendente, allorché, “dopo la guerra, alla resa dei conti, anziché la facile strada dell’ammissione di colpa e del pentimento, preferì inerpicarsi per l’arduo sentiero della coerenza con le sue teorie e le sue scelte. Finì nell’isolamento, suscitando a volte l’insopportabile impressione di una impenitente recidività” (p. 80). Parabola che, microcosmicamente, riproduce l’interezza del XX secolo, Giano bifronte di tecnica e ideologia. Nella tensione che si sviluppò tra le figure appena citate è possibile intravedere buona parte di quell’avvicendarsi ideologico che, al contempo, glorificò e insanguinò il ventesimo secolo e la cui eredità spirituale attende tuttora un adeguato riconoscimento ed assunzione. Esperienza che si traduce in un compito per l’Europa a venire, come magistralmente enunciato nella recensione al lavoro di Rémi Brague, Il futuro dell’Occidente: “La perdita, o meglio, lo smarrimento delle nostre radici è ormai una realtà con cui occorre fare i conti. Sotto la forza unificante della moneta unica, si nasconde un’Europa dispersa, dimentica di se stessa. Incapace di affrontare le proprie tradizioni e curarle laddove sono malate. Un’Europa la cui nascente identità appare esposta alle insidie ideologiche, alle difficoltà storiche, ai pericoli politici” (p. 167). Un lascito ancora da realizzare, per il quale l’antologia di Gnoli e Volpi offre punti di riferimento ben saldi. A. Gnoli, F. Volpi, I filosofi e la vita, Bompiani, Milano, 2010, 211 pp., 10,90 euro.

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