Dossier/3: Forse che sì forse che no
Massimiliano Gobbo
«S’atterrò nel sogno e nel prodigio, sicuro e lieve, di smemorato e inconsapevole, quasi al frangente dell’onda.» Con questa immagine, celebrazione e apoteosi del nascente mito aeronautico e, assieme, metafora dell’uomo che osa, penetrando i misteri dell’ignoto, Gabriele d’Annunzio s’accingeva al compimento della propria opera mirabile – la prima, dopo un silenzio narrativo decennale. Allo stesso modo desideriamo, dopo un muto intervallo e un lunghissimo oblio, durato dodici anni, tornare a discorrere del manoscritto rinvenuto a Montecatini.
Da qui il titolo di questo scritto, il quale, ispirandosi al verso dannunziano, racchiude nella sua formula asciutta e ambivalente tutto il senso delle nostre riflessioni.
Un giorno, dodici anni fa, Roberto Leggio ebbe in sorte di rinvenire un vecchio manoscritto in forma di diario, scritto forse da H. P. Lovecraft. Fin qui giungono i fatti documentati. Verrebbe allora da chiedersi il motivo del tanto clamore sorto intorno alla vicenda: dopotutto, non sarebbe la prima scoperta avvenuta in modo fortuito di documenti di cui nessuno avrebbe mai sospettato l’esistenza. Pensiamo ai famosi diari di Mussolini o, tanto per restare in tema storico, a Le conversazioni a tavola di Hitler. A seguito di scoperte come queste, generalmente, si leva un gran polverone. Gli specialisti s’interrogano, il pubblico si meraviglia, gli storici arricciano il naso dubbiosi – ma, sotto sotto, speranzosi.
In seconda battuta, dopo lo sconcerto iniziale, si formano quasi sempre, in modo simmetrico, due fazioni contrapposte, due scuole di pensiero in acerrimo e sempiterno dissenso: i possibilisti e gli scettici. Ne deriva, nella maggior parte dei casi, una ridda infinita di polemiche e accuse, dibattiti accesi e diatribe intellettuali insanabili, che, spesso trincerandosi nelle reciproche (op)posizioni, di tutto fanno fuorché ricercare la verità. Così è andata nel caso del diario di viaggio attribuito a Lovecraft. Gli appassionati della narrativa fantastica e dell’orrore hanno gridato al miracolo, travolti dall’entusiasmo (i cultori di esoterismo avranno danzato intorno alle effigi di Dagon…), mentre l’immancabile plotone degli scettici s’è arroccato sulle proprie posizioni, coll’intransigenza di un diacono della controriforma.
Risultato? Nulla, o quasi. Una parità ai punti, per usare una metafora pugilistica. Come sappiamo, furono girati un film e un documentario sull’argomento: due prodotti invero pregevoli, in termini di fattura e contenuti, con un tocco misterioso che, come possiamo leggere nell’introduzione a questo dossier, sarebbe piaciuto allo stesso Lovecraft. Poi, inspiegabilmente, l’oblio, accompagnato da un silenzio tombale. Su tutta la vicenda parve discendere un manto, nero come l’ala della morte. Tutti o quasi sembrarono dimentichi del manoscritto misterioso, come se questo fosse precipitato nel sepolcro abissale del possente Cthulhu.
Sennonché, oggi, a distanza di anni, proprio come un mito lovecraftiano riportato in vita da rituali aborriti, tutto sembra tornare d’attualità. I dubbi e i quesiti riemergono dalle nebbie del tempo, riproponendo di nuovo il mistero. Possibilisti contro scettici: eccoli ancora a fronteggiarsi, colle reciproche ragioni. Stavolta, ne siamo persuasi, in vista di uno scontro finale, che decreterà il vincitore.
Come già accennato, gli autori di questo dossier propendono per un cauto scetticismo, non sentendosi assolutamente in grado di fornire una risposta definitiva – la qualcosa non toglie, tuttavia, che si siano posti dei dubbi che li hanno portati a formulare, provocatoriamente, domande come: «E se ci sbagliassimo? E se fosse tutto vero? Se Lovecraft fosse davvero venuto in Italia nel 1926, cosa sarebbe accaduto?». E, ancora: «Perché questo maestro dell’inquietudine avrebbe intrapreso un viaggio del genere?».
Forse, come ai tempi di Socrate e Platone, è ancora il dialogo a poter riassumere tesi e antitesi. Ascoltiamo dunque Mucius Incrēdŭlus e Gaius Persuāsus parlare dell’ipotesi di questo viaggio di Lovecraft in Italia, nel 1926. Diamo subito la parola allo scettico.
Mucius Incrēdŭlus: «Non è possibile! Tutti sanno che Lovecraft non lasciò mai gli Stati Uniti.»
Gaius Persuāsus: «Nulla ci vieta di crederlo. Il manoscritto sembrerebbe autentico: grafia e stile appaiono molto simili a quelli di Lovecraft, come pure i disegni che lo corredano. Esiste poi un buco temporale, relativo al periodo in esame, in cui questo viaggio potrebbe essere avvenuto. Certo, è pur vero che del corpus epistolare lovecraftiano disponiamo di una piccola parte…»
Mucius Incrēdŭlus: «E perché mai lo scrittore non ne avrebbe fatto parola con alcuno?»
Gaius Persuāsus: «Non si può dirlo: come ho già ricordato poco fa, Lovecraft ha scritto decine di migliaia di lettere, molte delle quali risultano perdute. Nulla c’impedisce di supporre che queste missive avrebbero potuto contenere informazioni del suo viaggio.»
Mucius Incrēdŭlus: «Nel 1926, dopo aver trascorso due anni frustranti a New York, lo scrittore si era appena separato dalla moglie, per tornare nella sua amata Providence. Perché mai, dopo così poco tempo, sarebbe partito per l’Europa?»
Gaius Persuāsus: «Una cosa comprensibilissima, per un uomo desideroso di lasciarsi alle spalle una dolorosa separazione, compiere un viaggio per distrarsi attraverso la visita di luoghi (per lui) di grande fascino.»
Mucius Incrēdŭlus: «D’accordo, è possibile. Ma perché proprio il Polesine?»
Gaius Persuāsus: «Lovecraft è chiaro in proposito: desiderava trovare nuove ispirazioni nelle leggende locali e nelle atmosfere lugubri del posto. Fu un suo conoscente, stando alle sue stesse parole, a raccontargli certe cose. Non dimentichiamo che Providence, all’epoca, pullulava d’italiani.»
Mucius Incrēdŭlus: «Tutto questo secondo il diario. Ma se si trattasse d’un falso?»
Gaius Persuāsus: «E per quale scopo qualcuno si sarebbe preso tanto disturbo? Falsificare un documento del genere è cosa complessa e dispendiosa. Se poi si pensa che fu trovato tra le pagine di un vecchio libro, abbandonato su una bancarella…»
Mucius Incrēdŭlus: «Hai parlato della ricerca di nuove ispirazioni: ma Lovecraft, autore assai prolifico, dotato d’una fantasia portentosa, ne avrebbe avuto bisogno? Ne dubito.»
Gaius Persuāsus: «Davvero? E come spiegare la grande svolta nella sua narrativa, in cui comparvero nuovi e decisivi miti – come quello di Cthulhu – proprio a partire dal 1926?»
Mucius Incrēdŭlus: «Beh, ecco… forse si tratta di semplici coincidenze.»
Gaius Persuāsus: «Ed è solo una coincidenza che ne La maschera di Innsmouth compaiano delle corrispondenze incredibili con quanto è ancora ben visibile nel Polesine, come se il suo autore avesse realmente visitato quei luoghi?»
Mucius Incrēdŭlus: «Sì, ma…»
Gaius Persuāsus: «E che dire della storia della misteriosa confraternita di Loreo? Dei fradei? E della biblioteca Marciana, che lo scrittore descrive con minuzia di particolari? E dell’homo saurus, i cui primi avvistamenti in epoca moderna risalgono solo agli anni Ottanta del secolo Ventesimo? Come faceva Lovecraft a sapere tutte queste cose? In quegli anni, non c’era di certo la Rete a rendere disponibili d’immediato notizie su Paesi lontani…»
Mucius Incrēdŭlus: «…»
Dov’è la verità, ammesso che ve ne sia una? Il “mistero Lovecraft” s’infittisce: non appena vi si scruta dentro, emergono altre domande e nessuna risposta definitiva. E a noi, semplici testimoni di questa storia, non rimane che dar ragione al Vate: «Forse che sì, forse che no».