Jacques Bergier, ovvero l’alba dello yogin
Gianpiero MattanzaDue libri di Jacques Bergier, due immagini evocative: nella prima una fila di uomini dà le spalle al lettore, osservando con attenzione il cosmo (l’opera è Osservatorio, di Giuseppe Vassallo). Sembrano confabulare tra loro. Il colore della loro pelle è lo stesso del cielo nel quale sono immersi. La copertina è minimalista ma piena, uno dei tratti distintivi della casa editrice il Palindromo: si tratta di Elogio del fantastico. Tolkien, Howard, Machen e altri demiurghi dell’Immaginario. Questi sono i profeti del culto di Bergier. Molto diversi tra loro, anche in termini di successo, ma tutti immersi nella necessità vitale della creazione letteraria: se la realtà materiale è dura, la facoltà creatrice dell’uomo, come acqua contro un sasso, sa scivolare oltre la volgarità dell’apparentemente insuperabile per raggiungere altre vette e, da qui, mondi differenti.
L’altro volume, targato Bietti, ha una copertina che gioca sul conflitto cromatico tra arancione e azzurro. Vi ammicca l’occhio miope, ma dalla profondità cosmica, dell’autore. Una vaga flessione della bocca, che però non scivola nel sorriso. Gli occhi, sì: quelli sorridono eccome. Forse il contrasto dell’immagine identifica la stravagante storia, fatta di altrettanti contrasti, che vi è raccontata. Si tratta di Io non sono leggenda, l’incredibile autobiografia di Bergier, noto ai più come coautore con Louis Pauwels de Il mattino dei maghi, vero varco verso l’Altrove. Il Palindromo e Bietti hanno intenti convergenti nella volontà di presentare al pubblico nostrano due testi inediti in italiano. “Mandante” e autore materiale della bicipite impresa è l’instancabile Andrea Scarabelli.
Passiamo ora all’autore. Yàkov Mikhàilovich Bérger è un ebreo di Odessa, classe 1912. Essere della schiatta di Sem in quel momento e in quel luogo non è facile, perché l’antisemitismo non è solo spazzatura ideologica da Terzo Reich. La famiglia del futuro autore è nota per le proprie simpatie rivoluzionarie, quindi nell’ambito della controrivoluzione non ha vita facile. Yàkov è un bambino dall’acume incredibile: parla già varie lingue, legge tre quotidiani al giorno… Le cose si mettono male e i Bérger hanno la prontezza di trasferirsi; destinazione: Polonia. Qui il giovane ha la possibilità di conoscere la fantascienza: legge avidamente «Torpeda», dove incontra gli autori dell’ambito in cui diventerà una vera e propria autorità. Qui, fra l’altro, si avvicina per la prima volta ad alcuni di quei demiurghi dell’Immaginario che descriverà decenni dopo, con dovizia di particolari, in Elogio del fantastico, vero e proprio catalogo di scrittori eccellenti (non solo di fantascienza).
Qualche tempo dopo, la coraggiosa famiglia di Odessa decide di raggiungere la meta finale del proprio esodo: la Francia, luogo che favorisce una metamorfosi anagrafica. Qui Yàkov Bérger diventa Jacques Bergier. Qui, come è ben descritto in Io non sono leggenda, l’interesse per la materia e ciò che la supera si concretizza anche nell’impegno scolastico in vari istituti, fino alla laurea in ingegneria chimica, conquistata – a onore del vero – per motivi meramente alimentari. Jacques, tuttavia, ha fatto male i propri calcoli, perché i primi anni saranno per lui economicamente difficili. Mai, tuttavia, come quelli della Seconda guerra mondiale, che il Nostro avrà la sventura di assaporare in tutta la loro immonda amarezza.
Rispondendo al proprio Dharma, Bergier fa ciò che dev’essere fatto: si impegna attivamente nella resistenza ai Lanzi contemporanei. Fino in fondo: i cancelli di Neue Bremm e Mauthausen diventano per lui le porte di un gelido oltretomba. Un Cocito contemporaneo al quale Bergier, dannato senza colpa, reagisce con l’ascesi yogica. In quell’aberrante devianza transtorica che è il Grande Sacrificio, il fumo del quale forse aleggia ancora nel non-tempo cosmico, l’autore raggiunge la dimensione incommensurabile della mutazione esistenziale dopo l’orrore, compiendo l’esperimento demiurgico supremo: vivificare se stesso in prossimità della Fine. Prima e dopo la cattura, trova però anche il tempo di fare l’agente segreto e la spia, in alcuni casi contribuendo a muovere il timone della storia, come narrato nel libro di Bietti. Nel Grande Gioco a cui partecipa, nell’abisso dell’abominio, la percezione di una possibile luce lo salva.
Il genere fantascientifico contribuisce a vivificare quella luce, divenendo l’orifiamma di una religione antica ed eterna, vessillo di realtà dimenticate, scritte in geroglifici o attraverso le complicate formule delle scienze esatte. Bergier è un uomo quadrimensionale, un uomo oltre il cronotopo. Perché la fantasia scientifica piega lo spazio e il tempo. La quarta dimensione, nella quale Bergier respira, diventa qualcosa di viscoso, non più scandito dai tenui ticchettii di un orologio invisibile eppure ineluttabile.
I due libri citati fanno questo: prendono da una mensola polverosa dell’inconscio collettivo alcune delle risposte di cui abbiamo bisogno e, attraverso la figura di un grande autore, le rendono visibili, in parte interpretabili. Solo alcuni scaffali di certi negozi di anticaglie dello spirito possono vantare simili rarità. Se solo il mondo riuscisse a capire il proprio immenso bisogno d’immaginazione, di fantasia creatrice…
Forse a Bergier, per innata umiltà, piaceva pensare d’essere semplicemente un ebreo scampato ai campi di concentramento che, in qualche modo, si occupava di tecnologia. Ma noi oggi conosciamo la sua vera identità: egli era Le Sorcier. Un mago che, seguendo la propria cometa, carpì preziosi doni da Altri Mondi, portandoli prometeicamente nel nostro.
Jacques Bergier, Elogio del fantastico. Tolkien, Howard, Machen e altri Demiurghi dell’Immaginario, a cura di Andrea Scarabelli, introduzione di Gianfranco de Turris, il Palindromo, Palermo 2018, pp. 332, € 22,00; Io non sono leggenda. L’autobiografia dell’autore de «Il mattino dei maghi», a cura di Andrea Scarabelli, Edizioni Bietti, Milano 2019, pp. 350, € 20,00.