«Il gesto di toccare ciò che ci appare come altro da noi ha una dialettica segreta, è come una lotta per il riconoscimento: l’oggetto dovrà riconoscerci e noi dovremo riconoscere che l’essenza dell’oggetto risponde ad un ritmo, il quale poi in noi darà vita ad una catena di rimandi metaforici, significativi». Nell’età moderna, i ritmi continuano a svilupparsi, incessantemente, ma il nostro orecchio non è più abituato a udirli. Le riflessioni di Roberto Cecchetti (Il ritmo del desiderio, 2019) attraversano questa geografia dell’invisibile, tentano di cartografarla, mostrando le plurime connessioni che collegano i diversi piani del reale: è nel dialogo-scontro col negativo – che è a sua volta epifania multidimensionale, attraversando tanto l’esperienza dell’autocoscienza e del singolo, quanto della comunità e della storia – che ogni affermazione affronta il lavacro dell’Origine e torna rinnovata alla manifestazione.
Come ci si rapporta a questa dinamica archetipica, che risuona del ritmo dell’Essere? Mediante simboli e miti. All’ermeneutica mitico-simbolica – così ci piace chiamare quel fil rouge che attraversa l’intera cultura occidentale “eretica” – si ricollegano numerosi autori, più o meno noti, forieri di prospettive più o meno coincidenti, tutte dirette, nelle rispettive differenze, a una riunificazione dei piani del reale mediante le strutture del mito e del simbolo. Evola, Guénon, Zolla, Jung ed Eliade sono tutti Ermes novecenteschi, impegnati a edificare un ponte fra il visibile e l’invisibile nell’evo della secolarizzazione. Vie diverse – in alcuni punti incompatibili – che il saggio di Cecchetti percorre criticamente. Al di là del dettato filologico e delle distinzioni teoretiche, rimane un punto focale: senza miti – e senza strutture di mediazione – non vi è conoscenza, e neppure vita.
Così, secondo Cecchetti, il superamento del nichilismo si rende possibile soltanto attraverso la rifondazione del reale condotta nell’ascesi filosofica, pratica che è esercizio costante su di sé e, di riflesso, sul mondo. Infatti, «la norma giusta non sarà quella adeguata a norme già date, come quelle di natura, ma verrà contestualmente rifondata da quell’individuo capace di aderire al proprio atto personalissimo di interrogazione dell’ente». È l’opzione soggettiva formulata da Evola, la Via dell’Individuo Assoluto che, tuttavia, per non piombare in un autismo incapacitante, dev’essere integrata alla luce della Nuova Oggettività che ne consegue, quasi secondo una corrispondenza spirituale creatrice di forme. Qui il mondo non è semplice proiezione illusoria dell’io; il superamento del dualismo si fa ben più radicale: soggetto e oggetto, immanenza e trascendenza, materia e spirito si fondono su un piano superiore.
Questa prospettiva testimonia l’esigenza di una filosofia “forte”, capace di incrinare i relativismi tout court e le filosofie “deboli” o “liquide”, superando al tempo stesso le metafisiche classiche, dualiste e sostanzialiste. Una costruzione insieme teorica e attivamente pratica, osmosi fra il piano immanente e trascendente dell’esperienza.
Cecchetti ci mostra, inoltre, come proprio nella relazione fra soggetto e negativo sia riposto il segreto misterioso della magia. E qual è il posto della magia nell’epoca della cosiddetta “morte di Dio”? L’autore è convinto che la migliore risposta a tale quesito sia fornita dalla teoria junghiana e dal suo impegno nel riformare la psicoterapia, anche su un piano tecnico-operativo, per riportarla a una funzione non più esclusivamente terapeutica, bensì magico-trasformativa.
L’oggetto e il soggetto si rincorrono come polarità danzanti sul palcoscenico della tragedia della vita: le personae, le maschere teatrali che ci rappresentano, possono vivere la spontaneità necessitante dell’esistenza o farsene carico, volendo ciò che sono, in senso nietzschiano, o forse, con Evola, ponendo il proprio stesso essere come potenza, capace di trascendere il finito nell’infinito e di riportare l’infinito nel finito. I tagli di Fontana, per fare un esempio legato all’arte, sono allora delle creazioni mitopoietiche entro cui la potenza del gesto, per quanto semplice e minimale, a tratti Zen, spalanca irradiazioni energetiche potentissime: nel qui e ora l’uomo integrale squarcia il velo della materia. E, modificando l’esteriorità, modifica se stesso: «Un dinamico atto unitario, nel quale senziente e sentito sono lo stesso e non la somma, la sintesi o il rapporto di due o più cose originariamente diverse» (Romano Gasparotti, Il quadro invisibile).
Siamo, ancora una volta, nel terreno accidentato ma fascinoso della trascendenza immanente, l’ulteriore riposto nel qui ed ora. Anche Cecchetti volge lo sguardo all’avvicinamento con questo invisibile che ci attraversa, immaginando ciò che può sussistere nel regno del senza-tempo: «Forse l’abbandono della volontà di potenza sarà simile alla somma di ogni ritmo, oppure al silenzio che si raggiunge dopo aver suonato a lungo ogni numero ritmico possibile, oppure ancora assomiglierà ad una filosofia più vicina ad una narrativa o ad una poetica della contemplazione».
La dissonanza può essere allora intesa come verità dell’armonia. Qui la filosofia riconosce e invera il sensus (non) communis: la bellezza della contraddizione, la caparbia fecondità del polemos, la potenza estetica – ed estatica – del meraviglioso. I volti che hai amato, le persone che nella reiterazione della differenza (non) torneranno, l’azione (Tat) che Goethe pone nel Faust quale principio: qui la parola tace, i nomi dileguano, l’Oltre inaccessibile si apre all’avvicinamento. Il tutto è riposto in un radicale, estremo mutamento di cuore, quella metanoia che la musica sa conciliare. Adottare quest’orecchio musicale, per sintonizzare il futuro con il passato e percepirlo nella potenza dell’istante presente, è compito quanto mai arduo, ma decisivo. Alla ricerca di quell’Origine che è insieme interna al tempo e al di là del suo fluire.
Roberto Cecchetti, Il ritmo del desiderio. Da Jung alle pratiche filosofiche, prefazione di Massimo Donà, Mimesis, Milano-Udine 2019, pp. 208, € 22,00.