«Pillola rossa o pillola blu?» è l’arcinota domanda posta da Morpheus a Neo in Matrix. Il film è del 1999: quell’anno esce anche eXistenZ di Cronenberg, affine al capolavoro dei fratelli Wachowski per tematiche e atmosfere, che ci parla sempre di una realtà vera e una simulata. Al di là delle sfumature, a risuonare è sempre la stessa domanda: come facciamo a sapere che il mondo in cui viviamo è quello vero? I film escono a un anno dalla fine del XX secolo, rappresentandone in qualche modo l’epilogo. Il martoriato “secolo breve” delle ideologie opta così per una via alternativa, proponendo all’uomo una fuoriuscita dalla Storia: «Pillola rossa o pillola blu?». Che in Matrix significa: continuare a vivere in un mondo irreale oppure svegliarsi alla vera vita? Mobilitato dalle teologie politiche e dai totalitarismi, è ora l’uomo a dover compiere una scelta, secondo un retaggio che affonda le proprie radici in un passato molto lontano e che ci costringe a guardare alla Storia in modo radicalmente diverso. E tutto questo avviene nei prodotti cosiddetti “di massa”. Un paradosso? Fino a un certo punto.
Lo storico delle religioni Mircea Eliade ci ha insegnato a trovare nelle produzioni contemporanee patterns di tipo spirituale, tracce di archetipi che si manifestano periodicamente, spesso riemergendo nei modi più disparati e imprevedibili. È lo stesso intento che anima Pillola rossa o Loggia Nera? di Paolo Riberi, appena uscito per Lindau. Il testo, che sonda la Settima Arte in cerca di tematiche gnostiche, presenti in film e serie tv a volte secondo una precisa intenzione dei registi, altre un po’ meno, riflettendo tematiche ben presenti nell’Inconscio Collettivo. La chiave di volta è l’idea che le vecchie teorie della gnosi si affaccino oggi sul grande schermo: «Dopo un conflitto millenario con il cristianesimo, questo antico pensiero religioso trova spazio in molte opere cinematografiche». Una mitologia nascosta – e nemmeno troppo bene – che si riflette in trame e personaggi, «raccontata in maniera approfondita e sistematica, utilizzando i moderni linguaggi della fantascienza, del noir, del fantasy e persino dell’horror».
Non che ciò sia appannaggio del cinema. Solo concentrandoci sulla letteratura “di genere”, impossibile ignorare le tracce gnostiche presenti nei romanzi di Philip K. Dick e nella trilogia cosmica di C. S. Lewis (Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra e Quell’orribile forza), con il suo sistema di divinità planetarie, così come in V per Vendetta di Alan Moore, che ha dichiarato: «Nel fumetto originale può emergere qualche sfumatura di gnosticismo». L’anarchia di cui si parla nel fumetto – parola di Moore – ha anche «un aspetto spirituale: ritenevo contenesse una grande carica di romanticismo, ed ero molto interessato all’occulto e alle idee gnostiche».
Ma quali sono i principi fondamentali della gnosi, ereditati da film e serie tv? In primis, l’esistenza di una pluralità di mondi e l’idea che il nostro sia una prigione custodita da un Demiurgo e dai suoi subalterni, gli Arconti. Se l’umanità ne è generalmente all’oscuro, diversamente vanno le cose per il prescelto gnostico, il quale, a seguito di rivelazioni ottenute spesso grazie a esperienze sovrannaturali, si risveglia al mondo vero, compiendo un cammino di liberazione interiore. Ecco i filtri usati da Riberi per elaborare un atlante della “gnosi pop”, una geografia alternativa che include alcuni tra i film più visti degli ultimi vent’anni: da Jupiter dei fratelli Wachowski a Dark City, da Donnie Darko a Ghost in the Shell, fino al visionario Eraserhead di David Lynch, dal “risveglio” degli androidi di Westworld allo stato sonnambulico di Jim Carrey-Truman (True man), ispirato al romanzo di Philip K. Dick Tempo fuor di sesto.
Ma il piatto forte del libro è sicuramente il capitolo dedicato alla temibile Loggia Nera che si affaccia nella sinistra cittadina di Twin Peaks raccontata da David Lynch e Mark Frost. Una sorta di non-luogo in cui esseri immateriali si spostano da un piano della realtà all’altro, insinuandosi nella mente degli ignari abitanti e costringendoli alle peggiori nefandezze, spesso utilizzando come medium elettricità o animali («I gufi non sono quel che sembrano» rivelava il Gigante al leggendario Dale Cooper, alter ego di Lynch stesso). Sono gerarchie di spiriti che ricordano (come ha scritto Roberto Manzocco nel suo purtroppo introvabile Twin Peaks e la filosofia) gli Arconti della gnosi. Si annidano nell’oscurità delle foreste, ma possono essere visti da personaggi dotati di un certo occhio interiore – come la “Donna Ceppo”, che parla per conto di un pezzo di legno. In Io vedo me stesso, Lynch ha rivelato trattarsi di una medium, e quel pezzo di legno altro non è che il suo “spirito guida”.
Come sanno tutti i fan della serie, la cittadina di Twin Peaks è in balia di due luoghi onirici, la Loggia Bianca e la Loggia Nera (la “Dimora del Limite Estremo” ideata da Mark Frost, che s’ispirò agli studi di Dion Fortune), abitata da uno spettrale nano che danza e parla al contrario e dai doppi dei protagonisti. Sono luoghi nei quali si può entrare attraverso varchi spazio-temporali aperti nei boschi che circondano Twin Peaks, e da cui escono oggetti (come il terribile anello di Fuoco cammina con me, prequel della serie), oppure animali e spiriti, appunto.
Ma Loggia Bianca e Loggia Nera sono precedute da una Stanza Rossa: per chi abbia dimestichezza con l’Alchimia, inutile segnalare come questi siano i colori che simboleggiano i tre stadi dell’Arte Regia, nigredo, albedo e rubedo… Nella prima fase – l’Opera al Nero, la Notte dell’Anima che folgorò Carl Gustav Jung – avviene la dissoluzione dell’individualità, la disgregazione delle certezze. Ebbene, nella Loggia Nera ogni personaggio incontra la propria parte oscura – l’ombra, direbbe sempre Jung. Con la quale occorre riconciliarsi. Parola di David Lynch: «Raggiungere lo spirito divino attraverso la conoscenza della combinazione degli opposti. È questo il nostro viaggio». Interpretazioni azzardate? Basterebbe dare un’occhiata al curriculum dei due registi di Twin Peaks… David Lynch pratica la Meditazione Trascendentale, creata e portata in Occidente da Maharishi Mahesh Yogi (il guru dei Beatles, per capirci). Una pratica non priva di legami con le sue varie attività, come ha rivelato lui stesso: «Il programma di Meditazione Trascendentale che pratico da anni ha svolto un ruolo fondamentale per il mio lavoro nell’ambito del cinema e della pittura e di ogni sfera della mia vita; è stato un modo per immergermi in acque sempre più profonde».
Quanto a Mark Frost, studioso di teosofia, è autore di due romanzi piuttosto bizzarri. Il protagonista di The List of Seven, uscito nel 1993, è nientemeno che Arthur Conan Doyle: nel libro incontra personaggi come Bram Stoker, legato alla Golden Dawn, ed Helena Petrovna Blavatsky, la discussa fondatrice del movimento teosofico. I personaggi s’imbattono in un complotto occulto volto a influenzare magicamente personalità politiche, al fine di operare stravolgimenti su scala mondiale. È sempre il detective di Baker Street il protagonista del secondo romanzo di Frost, The Six Messiahs (1996), solo che stavolta si reca in America alla ricerca di una misteriosa “Torre Nera”, i cui sinistri abitanti sognano di distruggere Dio e far resuscitare la “Bestia” che s’impadronirà del mondo.
Sono tutte tracce che ci consentono di cercare nelle serie tv e nei prodotti di massa componenti altre, che non cessano di stregare l’immaginario contemporaneo, specie nello scenario virtuale-internettiano che imperversa nel XXI secolo. Partendo sempre dalla stessa domanda: «Pillola rossa o pillola blu?».
Paolo Riberi, Pillola rossa o Loggia Nera?, Lindau, Torino 2017, pp. 213, € 16,50.