Tutto è nato da Occhiali neri (2022). Dalla sua visione, certo, ma anche dal dibattito che il film ha riaperto a proposito di Dario Argento e di tutto ciò che da sempre gli gravita dentro e intorno. Dentro, la parabola di una carriera dai tratti e dai perché sfuggenti, approdata in un selvaggio boschivo in cui dirottare una nera storia d’amore mai prima d’ora sperimentata; intorno, le questioni sul destino del genere made in Italy, sul presunto declino dell’immaginario del terrore nostro contemporaneo o, più concretamente, del nostro sistema di produzione di quel terrore.
La ferita, del resto, non si era mai ricucita del tutto. Non erano bastati libri, nemmeno quando scritti da Argento stesso (si pensi a Paura, quanto di più distante da un’autobiografia raziocinante e quanto di più prossimo a un incubo a mente aperta). Non erano bastate mostre e relativi, sontuosi cataloghi (il riferimento è a quella Exhibition allestita dal Museo Nazionale del Cinema di Torino sempre nel 2022), ma nemmeno fumetti (Profondo nero, n. 383 della serie regolare di «Dylan Dog», scritto dal nostro e illustrato dalle gotiche chine del mostro sacro Corrado Roi) o saggi critici. La letteratura su Argento è ormai sterminata, tra analisi di singole opere, tomi cine-biografici e volumi-intervista (senza contare speciali e focus su periodici specializzati), eppure la cicatrizzazione non si è mai compiuta. Occhiali neri, semplicemente, ha riaperto la ferita.
È stato perciò necessario, nel nostro piccolo, soffermarci su Dario Argento, anche a costo di mettere in momentaneo stand-by progetti che, pochi mesi fa, erano in avanzato stato di composizione.
«INLAND. Quaderni di cinema» ha con il genere italiano un rapporto privilegiato. Negli anni ha portato alla luce riflessioni e materiali inediti su Sergio Martino, Michele Soavi, Carlo & Enrico Vanzina, Aldo Lado, Antonio Bido e i Manetti Bros., ma non ha mai ritenuto di doversi misurare con il Moloch argentiano. Il dibattito post-Occhiali neri, però, ha illuminato un asse di riflessione che qui a bottega abbiamo ritenuto essere (da sempre) nelle corde della nostra multiforme ed eccentrica creatura editoriale.
Quale sia quest’asse è presto detto.
Molti, quasi (?) tutti i precedenti tentativi di sutura a fil d’Argento avevano operato sui terreni comodi della teoria, dei testi-cardine, dei fili conduttori stilistici, poetici, grammaticali. Fedeli al verbo argentiano, non osavano distaccarsi dai testi sacri, relegando a piè di pagina le opere considerate minori ed entrando con il bisturi nelle cavità di quelle maggiori. Lo sguardo sempre lì, dentro, alla ricerca del dettaglio mancante come in molti titoli del nostro. Risultato? La pedissequa riproposizione, sempre più imbastardita e sempre meno utile, dei capisaldi sfornati dal primario di chirurgia argentiana Alan Jones (da Mondo Argento, del 1996, a quel Profondo Argento del 2004 diventato Dario Argento. The Man, the Myths & the Magic nella riedizione del 2020). Pochi avevano alzato lo sguardo. Pochissimi avevano avuto l’ardire di adottare approcci teorico-analitici autenticamente eccentrici (se non addirittura personali, procedimento quantomai argentiano, in fondo) o di scavare a fondo in quei tessuti ancora molli, sanguinolenti, costituiti proprio dai titoli facenti parte di quella fase comunemente etichettata come risacca creativa.
Eppure.
Eppure, oggi, opere come Il cartaio (2004), Giallo (2009) e Occhiali neri ci parlano del thriller di Argento con voce tonante, ben più chiara e udibile rispetto agli echi che giungono dai lontani titoli animaleschi o dalle Tenebre (1982) di Profondo rosso (1975). Pellicole come Masters of Horror. Istinto animale (2006) e La terza madre (2007) sono i veri abissi da illuminare per trovare le coordinate horror del Maestro. L’Argento post-2000 non è altro-da-sé, né una propaggine sfuocata della sua personale età dell’oro. Piuttosto, è parte integrante – quantomai viva e parlante – di un percorso d’autore che oggi, con mezzi ridotti, ha preso strade ancor più criptiche, personali e autentiche.
Comprendere questo assunto è, a nostro avviso, la conditio sine qua non per approcciare all’opera omnia dell’autore romano. Senza la presunzione di voler sembrare unici, ma con la convinzione di aver dato forma a un’operazione saggistica con pochi precedenti. I contributi che leggerete sono tanti, sfaccettati e in molti casi inediti nel taglio libero – che da sempre è peculiarità di «INLAND» – e nelle interpretazioni. Ringraziamo dunque il nostro parco autori, composto da penne volutamente al di fuori dei prevedibili schemi della critica e dell’accademia, per aver dato forma a materia pulsante. Qualche esempio? La ricognizione sull’Argento new millenium compiuta da Sergio Sozzo, il pezzo di bravura cine-musicale di Francesco Castelnuovo, l’abissale riflessione mitico-filosofica sui luoghi di Luigi Coluccio, la seduta psichiatrica su Profondo rosso tenuta da Marco Lazzarotto Muratori e i viaggi ai confini dell’esoterismo intrapresi da Andrea Scarabelli e Paolo Bottazzini, rispettivamente su Inferno e Suspiria.
Per questo motivo, al numero #15 dei nostri Quaderni – che precede una piccola rivoluzione, di cui daremo conto nella prossima uscita – abbiamo riservato una veste editoriale deluxe. Come nel caso del numero #10 dedicato a Pupi Avati – altra vittima di un certo manicheismo critico – si è optato per un formato esteso, con rilegatura in brossura e foliazione pressoché doppia rispetto ai consueti spillati. Uno sforzo editoriale di questi tempi titanico, per il quale siamo grati al nostro editore.
Ma la materia prima era tanta e quella sutura a metà necessitava di ulteriori, precisi punti fermi. Se la cicatrizzazione analitica sarà stata completata con successo non lo stabiliremo certo noi. A voi l’ardua sentenza, dunque, assieme al nostro ringraziamento e all’augurio di una buona, ancorché traumatica, lettura.