
Guido Morselli si uccide a sessant’anni il 31 luglio 1973 nella casetta che si era fatto costruire a Varese, davanti alla grande villa paterna, una splendida costruzione liberty. Si uccide con un colpo di pistola (una Browning militare, la celebre «ragazza dall’occhio nero» nominata nei suoi romanzi, allora tutti inediti), sparato nella notte, mentre è in bagno, seduto su una sedia a sdraio.
Si uccide perché è uno scrittore senza editori, perché è stanco di sentirsi ripetere «tu sei uno scrittore postumo», perché da sempre la sua vita è una tormentata corda di violino che aspira ad essere strappata dalla morte «liberatrice». Del resto, sei anni prima, Guido ha scritto: «Tutto nella vita è inutile, se la morte è invincibile». A quarant’anni di distanza, le riflessioni che si impongono possono essere tante. Quella che le contiene tutte riguarda l’amaro destino di «scrittore postumo». Destino amaro, abbiamo detto, ma, paradossalmente, «fortunato», visto che i romanzi di Morselli, pubblicati da Adelphi, hanno un pubblico di estimatori tutt’altro che esiguo. E tutti i critici sono d’accordo nel segnalarne l’originalità. Insomma, oggi il ritratto di Morselli è quello di uno scrittore a lungo ignorato, ma che poi è diventato un vero e proprio «caso» per la fertile vena creativa, la capacità di cimentarsi sui più svariati temi e una sensibilità talmente inquieta e preveggente da lasciare sconcertati.
Uno sguardo acuto, curioso, implacabile, il suo, che trascorreva dai problemi esistenziali alla investigazione politica, dall’attualità alla storia e varcava l’una e l’altra, aprendosi alle suggestioni dell’ucronico e del futuribile. Ne abbiamo una riprova in «Una rivolta ed altri scritti», un libro edito da Bietti (a cura di Alessandro Gaudio e Linda Terziroli, prefazione di Gianfranco de Turris, pp. 142, 24 euro) che contiene recensioni, articoli, saggi, ecc., pubblicati da Morselli su varie testate giornalistiche tra il 1932 e il 1966.
Gli argomenti sono i più vari: letteratura, storia, religione, arte… E, come abbiamo già accennato, Morselli è «lungimirante»: nel 1952, dunque un paio di decenni prima che si cominciasse a parlare di ecologia, pubblica sulla «Prealpina» un articolo «allarmato» come «La difesa del verde è una necessità sociale». Per non parlare di altri «allarmi», come quello contenuto nello scritto che dà il titolo alla silloge. La «rivolta» di cui si parla è quella delle macchine contro l’uomo, una delle ipotesi fantascientifiche che trova largo spazio nella cultura del Novecento. Ma in Morselli c’è una novità, giustamente segnalata da de Turris, visto che a ribellarsi non sono «i grandi e complessi macchinari ma i piccoli e semplici strumenti, come possono essere il cacciavite e l’apriscatole che, quasi per dispetto, cessano di funzionare: il ferro diventa molle, le lame perdono il filo… E da questa impossibilità di usare tanti semplicissimi arnesi inizia il decadimento e poi il collasso della nostra civiltà industriale».
Un «catastrofista», Guido Morselli? Un «apocalittico»? Uno che soffre di una sorta di «malumore cosmico»?
A noi vien fatto di dire che, piuttosto, è uno che osserva i «segni dei tempi», li coglie e ne amplia la portata in affreschi narrativi dall’impatto forte ed inquietante.
Pensiamo ad un romanzo come «Roma senza papa» scritto negli anni Sessanta e con cui Adelphi inaugura nel 1974, a un anno di distanza dalla morte dello scrittore, la pubblicazione delle sue opere. Lo scenario è collocato alle soglie del 2000: il papa, Giovanni XXIV, è irlandese (il secondo straniero dopo il turco Libero I) e a Roma non abita più, visto che ha trasferito la sede apostolica dai palazzi del Vaticano a una sorta di complesso residenziale in quel di Zagarolo, in un ambiente «asettico» dove ci sono più telescriventi che inginocchiatoi. E perché se n’è andato? Perché fintanto che era «romano» non poteva essere «cattolico», dunque universale, nella pienezza del termine. Il contrario, verrebbe voglia di dire, di quel che avviene con Papa Francesco, che ci tiene a ricordare costantemente di essere vescovo di Roma e, «proprio per questo», universale.
Ma il libro va letto in tutti i suoi intrecci perché Morselli ci ha messo dentro i fermenti di una certa Chiesa post-conciliare e «moderna» portati alla loro forma estrema, con i preti sposati e la libera circolazione all’uso della pillola. Elementi di dibattito ancor oggi, e più che mai, viste le tempeste che si sono scatenate sulla «barca di Pietro».
Ancora: Morselli «veggente»? «Vaticinante»? Certamente è un autore che fa pensare. Anche alla fine del mondo. Noi, è vero, la funesta profezia su cataclismi e dintorni, con gufi e pipistrelli maya volteggianti, ce la siamo lasciata alle spalle nel dicembre scorso. Ma vale la pena leggere ugualmente l’ultimo romanzo dello scrittore, quel «Dissipatio H.G.» (ovvero «humani generis»), scritto nel 1972-73, e pubblicato nel ‘77. Una storia ironica e feroce in cui un aspirante suicida che non ce l’ha fatta ad ammazzarsi si trova ad essere l’unico sopravvissuto in un mondo dove l’uomo si è volatilizzato. Tutti scomparsi, senza lasciar traccia.
Che fare? Voi che fareste per ammazzare il tempo?
(Mario Bernardi Guardi, «Il Tempo», 8 aprile 2013)