
La giornalista Bruna Magi in occasione dell’anniversario in un libro immagina «L’intervista impossibile» alla Monroe
Le vere icone non muoiono mai. Tanto più quando esse incarnano il concetto di bellezza secondo canoni estetici non transeunti. Marilyn Monroe
per dire. Provvide a rinascere a nuova vita nella notte tra il 4 agosto e il 5 di sessant’anni anni fa. E sarebbe il caso di non indulgere più di tanto sulle cause probabili della sua morte, sulle congetture di una fine avvolta ancora nella nebbia. Suicidio? Overdose di droghe? Cale poco. Di un cosa si può e si deve andar certi. Quei 90-60-90, le misure da pocket venus di Norma Jeane Mortenson (questo il suo nome all’anagrafe) rappresenteranno per sempre la quintessenza della bellezza, un concerto unico e irripetibile di sex appeal. Non è un caso se dopo averne studiato con acribia da entomologo le perfette proporzioni del volto, alcuni studiosi hanno voluto sovrapporle addirittura ai canoni di perfezione teorizzati dallo studio delle proporzioni del viso di Leonardo da Vinci. Se ad un viso dai tratti regolari, si aggiunge un corpo esplosivo e capelli biondo platino, il risultato è alfine quello di una sex bomb senza precedenti. Mitigato o forse accentuato da una intrigantissima aria da bambina.
Poi c’ è la Marilyn tormentata, i suoi amori vulcanici, le sue intime fragilità, i segreti svelati troppo tardi. E l’immagine della Marylin sensualissima e oca, ma che oca non lo era neanche un po’. Parola di BrunaMagi, la scrittrice che in occasione dei sei decenni dalla scomparsa di Norma ha concepito una intelligente chiacchierata immaginaria con la diva. Marilyn, l’intervista impossibile» (Bietti edizioni, 103 pagine, 4,99 euro) il titolo del libro.
«Oriana Fallaci ha inseguito Marilyn Monroe a lungo, nonostante non fosse nota per la pazienza. Ma la sua perseveranza non è
stata premiata: Marilyn è rimasta la sua grande intervista mancata». Ecco, la Magi ha provato ad assemblare un parziale risarcimento di questa intervista impossibile. Impossibile perché l’intervistata non c’è più da un pezzo. Impossibile perché inventata più o meno di sana pianta.
«Di Marilyn è stato detto e scritto tantissimo e oggi, sessant’anni esatti dopo la sua morte, che cos’altro si potrebbe raccontare di nuovo? – scrive l’autrice – Forse niente, forse tutto». Di certo Bruna Magi conosce bene la diva: per anni ha letto biografie, articoli, cronache del tempo e non, romanzi dedicati a lei. Più al suo mito che alla sua persona, va sottolineato. Per anni ha visto immagini, documentari, servizi televisivi. E ne ha scritto. «Sessant’anni dalla morte, era il 4 agosto 1962. Se fosse vissuta, Marilyn Monroe nel 2022 avrebbe compiuto novantasei anni – scrive la Magi in introduzione -. Tutti le avrebbero augurato di campare sino a cento e probabilmente lei li avrebbe mandati al diavolo. Figuriamoci, non sopportava l’idea di una ruga a trentasei, avrebbe giudicato banale e noiosa la teoria secondo la quale stiamo guadagnando punti con le possibilità di durata che la vita oggi ci offre. Tanto più che la morte l’aveva cercata molte vol-
te, guardandola bene in faccia, attraverso una continua escalation nell’assunzione di alcol e barbiturici di ogni tipo, per riuscire a vivere, a dormire, a essere sveglia, ad amare e disperarsi». Marilyn donna fragile, vittima di uno star system spietato. Di cristallo ma di grande prismatica sensibilità. «Molte volte, nel corso dei miei lunghi anni di giornalismo cinematografico, quando tutti la giudicavano una bionda oca per eccellenza (la stessa critica cieca che a lungo ha considerato Totò una maschera cretina, salvo un giorno scoprirne la genialità), l’ho difesa, scrivendo che oscillava tra il prendere in giro sé stessa e gli altri, con la sua ironia innata che anticipava i tempi, e la necessità di adeguarsi a un modello abusato e obbligato, ai tempi in cui Hollywood optava ancora per la netta distinzione fra angeli del focolare, pure eroine di immani tragedie, donne diaboliche che attiravano gli uomini in cerchi infernali, o svampite che con vocine gorgheggianti puntavano all’unico traguardo sensato: sposare un uomo ricco. La macchina del cinema produceva senza sosta immagini scontate e costante-
mente riciclate – conclude Magi -. “Santini” a sfondo fisso che portavano fiumi di dollari nelle casse delle major».
Alberto Fraja ©Il Tempo 5 agosto 2022